Dopo una settimana caricata di tensione fino all’inverosimile
è arrivato finalmente il momento della grande manifestazione di Vicenza. Proprio
a Vicenza è accaduto qualcosa di profondamente nuovo, qualcosa in grado di
sovvertire il condizionamento imposto dalla cattiva informazione. I cittadini
italiani hanno smesso di credere alle menzogne propinate inopinatamente dagli
uomini politici e dai giornalisti, scegliendo di riappropriarsi della realtà.
La grottesca farsa incentrata sull’improbabile “rinascita” del terrorismo
brigatista e la conseguente campagna mediatica mirante a criminalizzare ogni
movimento antagonista hanno fatto da prologo ad un intenso lavorio finalizzato a
dissuadere dalla partecipazione alla manifestazione di Vicenza buona parte di
coloro che contestavano la creazione della nuova base militare americana Dal
Molin. Rutelli, Amato, il sindaco vicentino Hüllweck e molti altri
rappresentanti del mondo politico tanto di governo quanto di opposizione,
coadiuvati da pennivendoli e opinionisti di ogni risma e colore, hanno fatto a
gara nel corso della settimana nel vaticinare ogni genere di sventura ed
accadimento luttuoso.
Hanno pronosticato improbabili quanto fantasiose colleganze fra i manifestanti
pacifisti e le frange di un terrorismo solo immaginato.
Hanno affermato di ritenere probabile il ricorso alla violenza da parte di chi
aveva deciso di recarsi a Vicenza per contestare pacificamente una base di
guerra.
Hanno diffuso l’immagine di una città in stato di assedio, presidiata da
migliaia di poliziotti, con i tombini saldati, i cestini della spazzatura
rimossi, gli abitanti in fuga, nel palese tentativo di riproporre
nell’immaginario collettivo l’incubo della tragedia del G8 di Genova.
Hanno riempito teleschermi e pagine di giornali con deliri isterici privi di
senso, producendosi in un vero e proprio esercizio di terrorismo psicologico.
Ma gli italiani, ed è questa la novità, non li hanno tenuti nella minima
considerazione. I Vicentini anziché fuggire, come era stato loro suggerito,
hanno preferito scendere in piazza a manifestare, trascinando con il loro
entusiasmo tutti i manifestanti che nonostante gli squallidi appelli a “stare a
casa” sono accorsi ancora più numerosi del previsto da ogni angolo d’Italia.
Vicenza si è svegliata con i tombini sigillati ma le strade ripiene di una
moltitudine pacifica e colorata e si è così riscoperta città che rifiuta non
solo la guerra ma anche le strumentalizzazioni.
Almeno 150.000 persone hanno sfilato come un fiume senza fine e lo hanno fatto
fianco a fianco, i giovani dei centri sociali e le mamme con i passeggini, i NO
TAV della Valle di Susa che hanno raccolto il commosso applauso dei cittadini di
Vicenza, gli anziani, i ragazzi delle scuole e soprattutto i vicentini di ogni
età e di ogni ceto sociale.
A Vicenza tutti, ma proprio tutti, hanno voltato le spalle alle cassandre,
ribadendo il diritto sacrosanto di ciascuno a decidere del proprio futuro.
A Vicenza si è costruito un momento di pace mentre la classe politica inneggiava
alla guerra, facendo perdere a questo modo di fare politica ogni residua
credibilità.
Vicenza si è imposta oggi come “una storia nuova” che potrà insegnare molto a
qualunque governo intenda rapportarsi in maniera diversa ed orizzontale con i
propri cittadini.
Purtroppo Romano Prodi dall’alto del suo scranno si è affrettato a precisare che
la lezione subita non modificherà le sue decisioni, dimostrando in questo modo
quanto sia difficile imparare quando ci si rivela incapaci di leggere la realtà.
Marco Cedolin - per Cani Sciolti
17/02/2007 Base Usa: Vicenza dice no alla servitù (Stefano Olivieri,
liblab, http://www.canisciolti.info/)
“La costruzione di un sistema di difesa italiano non sarà
un’impresa facile. Il cambiamento del quadro geopolitica intervenuto dall’inizio
degli anni 90 ha messo in discussione il principio di forza bilanciata. Dobbiamo
dotarci quindi di uno strumento flessibile, integrato a livello europeo con le
forze alleate, agendo su qualità, quantità e capacità. Due sono le questioni
fondamentali di cui dovremo tenere conto : la nuova rilevanza geo-strategica del
sud del Mediterraneo e la necessità di una significativa ridislocazione di enti
e reparti nel meridione italiano, nelle regioni dove si registra la quasi
totalità del reclutamento dei volontari. In questo quadro riteniamo necessario
arrivare ad una ridefinizione delle servitù militari che gravano sui nostri
territori, con particolare riferimento alle basi nucleari. Quando saremo al
governo daremo impulso alla seconda Conferenza nazionale sulle servitù militari,
coinvolgendo l’Amministrazione centrale della Difesa, le Forze Armate, le
Regioni e gli Enti Locali, al fine di arrivare ad una soluzione condivisa che
salvaguardi al contempo gli interessi della difesa nazionale e quelli
altrettanto legittimi delle popolazioni locali. “
Non è farina del mio sacco, Questo brano è tratto dalla pagina 108 del programma
di governo dell’Unione, quello sottoscritto da tutti i partiti che attualmente
compongono l’esecutivo, dall’Udeur di Mastella al Pdci di Diliberto.
Non c’è molto da aggiungere, se non il fatto che malgrado questo sia un impegno
scritto e sottoscritto ufficialmente dall’attuale maggioranza, la città di
Vicenza e quella parte del popolo italiano da sempre sensibile ai temi della
pace oggi hanno sentito la necessità di lanciare un segnale inequivocabile, che
suona come un “repetita juvant” a un governo distratto. E se tante decine di
migliaia di persone, più di centomila a quanto pare, niente affatto turbolente e
facinorose come qualcuno vorrebbe far credere ma pacifiche e pacifiste hanno
deciso di rimettersi in marcia insieme dopo quattro anni da quella che fu la più
straordinaria manifestazione per la pace ( e contro la guerra in Irak) che
l’Italia abbia mai conosciuto dal dopoguerra ad oggi, se così tanti cittadini di
sinistra, di centro e di destra, se tante famiglie sono scese in strada a
Vicenza da ogni parte del paese e anche oltre, ci deve essere un sentimento
profondo che lega questa gente, e questo sentimento non può non avere il suo
peso.
Questo non è un tentativo di forzare la mano, una “spallata” al governo. E’ di
più, è la ferma esigenza democratica di un paese che esige il rispetto della
propria sovranità, perché siamo nel terzo millennio e non nel 1940. E nel terzo
millennio esiste da qualche anno una entità sopranazionale che si chiama Unione
Europea, alla nascita della quale gli italiani hanno dato il loro importante
contributo, che non contempla nel suo quadro strategico di sicurezza interna la
presenza di basi militari non dell’Onu o della Nato, ma di un singolo paese,
alleato finchè si vuole ma che si trova sulla sponda opposta dell’atlantico.
Il potenziamento della base statunitense a Vicenza non rende più sicura l’Italia
e l’Europa, perché è indubbio che i 3.700 militari USA attualmente dislocati in
Germania non verrebbero qui da noi soltanto per il clima, ma per essere più
vicini - e dunque più rapidamente operativi – ai nuovi o vecchi fronti di guerra
che l’amministrazione Bush ritiene necessario aprire e mantenere in medio
oriente e nel sud del mondo non per fare un favore a noi o all’Europa, ma per
tenere lontano il terrorismo dal suolo americano, e per mantenere inalterato il
tenore di vita dei suoi cittadini grazie al petrolio, la vera causa degli ultimi
conflitti.
E infine, l’ostinata e pervicace politica di guerra della attuale
amministrazione statunitense è ormai isolata anche dallo stesso parlamento USA,
che ha appena votato una risoluzione contro il potenziamento del contingente USA
in Irak. Bush ha fatto spallucce,e non potrebbe fare diversamente perché l’unica
speranza che ha non tanto lui, quanto i repubblicani è quella di uscire prima
della fine di questa legislatura da un Irak pacificato. Probabilmente non ci
riuscirà perché laggiù ormai imperversa la guerra civile, ma quel che conta
adesso per l’Italia, direi meglio per l’Europa è lanciare un segnale inequivoco,
un WARNING che non ammetta repliche a un alleato pur potente e prezioso, ma che
negli ultimi cinque anni si è reso responsabile, grazie a una politica estera
disastrosa, di un processo di destabilizzazione profonda di tutte le aree più a
rischio. Per fortuna fra breve scadrà il secondo mandato di George Bush e
speriamo che i cittadini statunitensi in questi ultimi otto anni abbiano
riflettuto a sufficienza. A noi adesso preme però sapere che cosa intenda fare
il governo italiano di questa base di Vicenza, come di quella di Sigonella, o
dell’isola della Maddalena da cui i sommergibili USA non sono più andati via,
come sembrava qualche mese fa.
Vogliamo sapere se stiamo con l’Europa o con gli Stati Uniti, perché alla fine è
la stessa politica di Bush che impone questa scelta. Io personalmente fra una
politica di sicurezza europea ancora troppo timida e sconclusionata e il
farneticante PNAC dei neocons di George Bush, preferisco scegliere l’Europa.
Questo è in conclusione il messaggio che il popolo della pace sceso a Vicenza ha
inteso trasmettere al nostro governo, che ora deve decidere in fretta, prima che
le ruspe a stelle e strisce si mettano in azione.
Stefano Olivieri - liblab
Archivio Base di Vicenza
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