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17/10/2006 Il ''Cancro'' della Violenza (Bruno Oliviero *, http://www.korazym.org)

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Basta sfogliare i quotidiani o vedere una delle qualsiasi edizioni del telegiornale, per rendersi conto che la maggior parte delle notizie sono intrise di violenza. Una violenza che, in qualsiasi forma si presenti, "non guarda in faccia nessuno".

Basta sfogliare i quotidiani o vedere una delle qualsiasi edizioni del telegiornale,  per rendersi conto che la maggior parte delle notizie sono intrise di violenza. Una violenza che, in qualsiasi forma si presenti, "non guarda in faccia a nessuno", colpendo ovunque e chiunque nei modi a volte più assurdi e inaspettati. Una violenza che, come un "cancro", si sviluppa e si estende dappertutto.

Quando penso alla violenza mi viene spontaneo il paragone con il cancro. Quello che è il cancro per l’organismo umano, così è la violenza per "l’organismo sociale". Come le parti sane del corpo, usando la metafora del cancro, non possono restare indifferenti se una determinata parte del corpo è colpita dall’infezione cancerosa, perché il corpo è un tutt’uno e di conseguenza l’infezione di una parte del corpo è l’infezione di tutto il corpo … Così nella realtà sociale!

Occorre convincersi che tutti gli esseri umani fanno parte della grande famiglia umana. Occorre convincersi che tutta l’umanità è come un grande corpo, e il benessere di ogni sua parte è il benessere di tutto il corpo e viceversa il malessere di una parte di esso è il malessere di tutto il corpo In altre parole nessuno nel mondo può disinteressarsi di nessuno.  La violenza, in tutte le sue forme, è sempre, come un cancro, segno di degenerazione, disgregazione del tessuto sociale e provoca sempre ansia, paura, uccide la gioia, la pace e a volte la vita!

L’opinione pubblica risponde con una variegata gamma di atteggiamenti, che vanno dalla paura all’indignazione, dall’ansia alla rabbia. Una rabbia che cresce ancora di più, quando "sembra" che molta di questa violenza si sarebbe potuta evitare se le autorità competenti avessero posto in atto le dovute strategie e/o non facessero determinate scelte che sembrano, all’occhio del cittadino, andare nella direzione sbagliata. Vorrei fare riferimento qui all’indignazione suscitata dal fatto che tanti reati, alcuni davvero efferati, successi negli ultimi giorni hanno avuto per protagonisti detenuti usciti dal carcere in anticipo grazie alla legge 241/2006 sull’indulto.

Una realtà complessa

So di stare affrontando un tema di proporzioni così vaste e di una complessità tale da richiedere un approccio multidisciplinare - particolari competenze, come la psicologia, la sociologia, la criminologia, la politologia, possono dare un grande apporto per l’analisi e il superamento di questa realtà, lascio volentieri allora agli esperti (psicologi, sociologi, criminologi, politologi, etc.) il compito di analizzare dal loro specifico punto di vista questa realtà e di illuminarci sulle possibili vie d’uscita.

Ciononostante come sacerdote, da un punto di vista di fede quindi, e in particolare come cappellano, responsabile della catechesi dei padiglioni di alta sicurezza, del carcere di Poggioreale, non posso esimermi dal fare una breve e semplice riflessione, senza avere la presunzione di esaurire il tema.

Alla luce della Parola di Dio

Il punto che vorrei focalizzare, come avrete già capito dalla metafora del cancro, è che la violenza non è mai una realtà meramente individuale, ma è una realtà che abbraccia sia l’individuo che la comunità.

La lettura attenta della Sacra Scrittura sia del vecchio che del Nuovo Testamento, dimostra chiaramente che sin dall’inizio della creazione, Dio abbia voluto questa unione profonda tra l’individuo e la comunità: non esiste la persona umana senza la comunità che l’ha generata (la famiglia) e senza la comunità che ne permette la crescita e lo sviluppo (la società civile). In questo orizzonte di fede quindi, il problema, il disagio, la sofferenza, il malessere, il peccato della persona sono il problema, il disagio, la sofferenza, il malessere, il peccato della comunità. Lo stesso si dica degli aspetti positivi: il coraggio, l’impegno, la bontà, il successo della persona sono il coraggio, l’impegno, la bontà, il successo della società. Questo coinvolgimento della comunità, quindi, si situa sia nella genesi che nella risoluzione del cancro della violenza. La Rivelazione divina con l’avvento di Gesù Cristo, Figlio di Dio raggiunge la sua pienezza, e anche l’unione profonda tra la persona umana e la comunità umana si manifesta chiaramente. A tal punto Il Figlio di Dio lega la persona alla comunità e viceversa che è nella Chiesa, la comunità da Lui fondata, che la persona trova i mezzi della salvezza da Lui realizzata e contemporaneamente la santità della persona salvata aggiunge nuovo splendore alla Chiesa, Mistica Sposa di Cristo.

Domande inquietanti

Guidati dalla luce della fede noi crediamo fermamente che la società civile si debba interrogare innanzitutto sulle cause della drammatica realtà della violenza e, in un secondo momento, sulle possibili vie d’uscita.

Per ritornare ancora per un momento alla metafora del cancro, io resto particolarmente colpito al vedere la meraviglia e lo sbigottimento della gente di fronte allo sterminio che sta operando questa malattia che è stata considerata il flagello della nostra era. Come se questa piaga moderna fosse qualcosa di assurdo, di inconcepibile, di irragionevole, di misterioso … per alcuni, addirittura, qualcosa da addebitare a Dio.

Perché meravigliarsi dell’esistenza e della diffusione di questa piaga quando gli scienziati di tutto il mondo da decenni (almeno dagli anni ’70) stanno avvertendo i potenti della terra sui pericoli per l’umanità e per il pianeta terra prodotti dall’introduzione nell’atmosfera di veleni a causa degli stessi uomini? Sono veleni che assumiamo respirando, mangiando, vivendo! Perché meravigliarsi, dunque, delle stragi compiute dal cancro?  Lo stesso discorso vale per il "cancro" della violenza.

Perché meravigliarsi della violenza quotidiana, globale, diffusa, pervasiva, se gli esseri umani continuano a introdurre nell’atmosfera della cultura, veleni micidiali che inquinano i rapporti tra le persone, tra i gruppi, tra le nazioni originando i mostri e le mostruosità che tutti noi conosciamo?

Alle radici della violenza

Perché meravigliarsi della presenza della violenza, quando immettiamo nell’atmosfera della cultura il veleno dell’individualismo, della ricerca del proprio interesse a discapito degli altri e permettiamo, per esempio, che nella sola regione Campania ci siano 900.000 disoccupati, 140.000 lavoratori precari (400 Euro al mese senza la salvaguardia di nessun diritto) e ben 25.000 giovani che debbono emigrare ogni anno?

Quando si permette un tasso di disoccupazione che in Italia è del 7 %, a Napoli è del 17 %, e nel rione Scampia, diventato famoso per l’ultima faida tra fazioni camorristiche, è del 50 %.

Perché meravigliarsi della presenza della violenza, quando immettiamo nell’atmosfera della cultura il veleno del disinteresse e permettiamo l’evasione scolastica di migliaia di ragazzi e ragazze specialmente di quelli che vivono nelle periferie più abbandonate delle città.

Perché meravigliarsi della presenza della violenza, quando immettiamo attraverso i mass media, che qualcuno ha definito come il più grande strumento di controllo delle menti delle persone, continuamente e fin nelle case della gente, i veleni della competizione ad ogni costo, della ricchezza e della bellezza come ingredienti essenziali per avere successo nella vita e soprattutto il veleno della violenza, che, in tutte le sue forme, occupa nei palinsesti uno share altissimo?

Indulto: una misura necessaria

Certamente nessuno era così ingenuo da pensare che l’indulto avesse il potere di risolvere il problema della criminalità e della violenza. Ma è anche certo che rinchiudere persone, come fossero sardine, nelle carceri ammassando 63.000 persone (tra le quali 9.000 extracomunitari la cui sola colpa era quella di non avere il permesso di soggiorno e 17.000 ammalati di tossicodipendenza) in strutture che potrebbero contenerne 40.000, serviva semplicemente ad amplificare la violenza dei detenuti nei confronti di tutto e di tutti e rendere l’operato degli operatori penitenziari, davvero molto difficile.

Certissimo invece è che sarebbe la più grande idiozia di questo mondo andare dalla vedova dell’edicolante, Salvatore Buglione, ucciso da quattro balordi a dirle che la percentuale di recidiva dei detenuti ritornati in carcere dopo aver usufruito dell’indulto è del 3 %, mentre quella generale è del 70 %. (a questo proposito vorrei dire che la vedova di Salvatore, insieme con tutte le vittime dei reati, meritano tutta la nostra solidarietà fattiva e non solo parole).

La solidarietà è l’unico antitodo contro il cancro della violenza

Eppure tutti noi cittadini, tutta la società nel suo insieme: organizzazioni, movimenti culturali, istituzioni a livello locale, regionale, provinciale, e nazionale, ( in tempo di globalizzazione io direi che è urgente pensare anche e soprattutto in termini di Nazioni Unite) dobbiamo fare un esame di coscienza. Tutti dobbiamo renderci conto che il problema della criminalità e in particolare della violenza è un problema che non possiamo delegare a qualche Istituzione, ma è un problema che deve coinvolgere tutti: soprattutto nel campo della prevenzione.

In una sua catechesi del mercoledì il Santo Padre Benedetto XVI ha detto che nessun cristiano dovrebbe essere lasciato solo. Lo ha detto a coloro che professano la fede cristiana ma parafrasando questa espressione e indirizzandola alla società civile vorrei dire che la società non dovrebbe permettere che nessun cittadino sia lasciato solo, sia abbandonato.

È l’abbandono, la solitudine, la disperazione e l’esasperazione che porta tanti dei nostri fratelli e sorelle a compiere reati anche violenti. È la cronaca di tutti i giorni a ricordarci come persone "per bene", papa di famiglia e mamme di famiglia disperati ed esasperati, per aver perso il lavoro o per ritrovarsi in ristrettezze economiche, hanno commesso dei reati e qualcuno addirittura si è tolto la vita.

Vincere il male con il bene

Molti si chiedono se davvero l’indulto era l’unica strada per risolvere il problema del sovraffollamento nelle carceri Italiane, visto che insieme ai poveri costretti dalla miseria a delinquere ne hanno usufruito anche i cosiddetti "colletti bianchi" (leggi: i vari politici, banchieri e faccendieri, i cosiddetti vip dello spettacolo ecc.) e addirittura alcuni facenti parte di clan camorristici. In altre parole avrebbero usufruito dell’indulto anche quelli che avrebbero fatto dell’illegalità il proprio sistema di vita.

Fare della solidarietà il nostro "sistema di vita"

A tutti, ma specialmente a coloro che credono in queste affermazioni vorrei dire: Impegniamoci tutti insieme, facciamo della solidarietà il nostro sistema di vita. Impegniamoci nelle battaglie per ridurre l’evasione scolastica, facciamo sì che davvero la nostra Italia sia una Repubblica "fondata sul lavoro" come è scritto nella Costituzione: Che tutti possano avere la possibilità di lavorare e vivere dignitosamente. L’abisso che c’è tra i ricchi e i poveri è segno di grande ingiustizia: Non è possibile che nel mondo il patrimonio totale dei 356 individui più ricchi del mondo supera il reddito annuo complessivo del 40 % dell’umanità, mentre un miliardo di persone nel mondo debbono vivere con un dollaro il giorno …

Lottiamo tutti insieme per questa giustizia distributiva … allora e solo allora potremo capire chi sono coloro che fanno dell’illegalità il proprio sistema di vita e allora faremo ricorso alla giustizia che non dovrà essere certamente quella retributiva (occhio per occhio), ma riabilitativa: "Le pene non debbono essere contrarie al senso di umanità, ma debbono servire alla riabilitazione del detenuto" (art. 27 comma 3 della Costituzione). Daremo grande spazio all’uso di pene alternative per la grande maggioranza dei reati e faremo uso dell’incarcerazione solo per fermare, per "arrestare" gli agenti di quei reati, veramente gravi, che causano gravi sofferenze alle persone e alla comunità.

* Don Bruno Oliviero è cappellano del carcere di Poggioreale a Napoli

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