Basta sfogliare i quotidiani o vedere una delle
qualsiasi edizioni del telegiornale, per rendersi conto che la maggior
parte delle notizie sono intrise di violenza. Una violenza che, in
qualsiasi forma si presenti, "non guarda in faccia nessuno".
Basta sfogliare i quotidiani o vedere una delle qualsiasi edizioni
del telegiornale, per rendersi conto che la maggior parte delle notizie
sono intrise di violenza. Una violenza che, in qualsiasi forma si
presenti, "non guarda in faccia a nessuno", colpendo ovunque e chiunque
nei modi a volte più assurdi e inaspettati. Una violenza che, come un
"cancro", si sviluppa e si estende dappertutto.
Quando penso alla violenza mi viene spontaneo il paragone con il cancro.
Quello che è il cancro per l’organismo umano, così è la violenza per
"l’organismo sociale". Come le parti sane del corpo, usando la metafora
del cancro, non possono restare indifferenti se una determinata parte
del corpo è colpita dall’infezione cancerosa, perché il corpo è un tutt’uno
e di conseguenza l’infezione di una parte del corpo è l’infezione di
tutto il corpo … Così nella realtà sociale!
Occorre convincersi che tutti gli esseri umani fanno parte della grande
famiglia umana. Occorre convincersi che tutta l’umanità è come un grande
corpo, e il benessere di ogni sua parte è il benessere di tutto il corpo
e viceversa il malessere di una parte di esso è il malessere di tutto il
corpo In altre parole nessuno nel mondo può disinteressarsi di nessuno.
La violenza, in tutte le sue forme, è sempre, come un cancro, segno di
degenerazione, disgregazione del tessuto sociale e provoca sempre ansia,
paura, uccide la gioia, la pace e a volte la vita!
L’opinione pubblica risponde con una variegata gamma di atteggiamenti,
che vanno dalla paura all’indignazione, dall’ansia alla rabbia. Una
rabbia che cresce ancora di più, quando "sembra" che molta di questa
violenza si sarebbe potuta evitare se le autorità competenti avessero
posto in atto le dovute strategie e/o non facessero determinate scelte
che sembrano, all’occhio del cittadino, andare nella direzione
sbagliata. Vorrei fare riferimento qui all’indignazione suscitata dal
fatto che tanti reati, alcuni davvero efferati, successi negli ultimi
giorni hanno avuto per protagonisti detenuti usciti dal carcere in
anticipo grazie alla legge 241/2006 sull’indulto.
Una realtà complessa
So di stare affrontando un tema di proporzioni così vaste e di una
complessità tale da richiedere un approccio multidisciplinare -
particolari competenze, come la psicologia, la sociologia, la
criminologia, la politologia, possono dare un grande apporto per
l’analisi e il superamento di questa realtà, lascio volentieri allora
agli esperti (psicologi, sociologi, criminologi, politologi, etc.) il
compito di analizzare dal loro specifico punto di vista questa realtà e
di illuminarci sulle possibili vie d’uscita.
Ciononostante come sacerdote, da un punto di vista di fede quindi, e in
particolare come cappellano, responsabile della catechesi dei padiglioni
di alta sicurezza, del carcere di Poggioreale, non posso esimermi dal
fare una breve e semplice riflessione, senza avere la presunzione di
esaurire il tema.
Alla luce della Parola di Dio
Il punto che vorrei focalizzare, come avrete già capito dalla
metafora del cancro, è che la violenza non è mai una realtà meramente
individuale, ma è una realtà che abbraccia sia l’individuo che la
comunità.
La lettura attenta della Sacra Scrittura sia del vecchio che del Nuovo
Testamento, dimostra chiaramente che sin dall’inizio della creazione,
Dio abbia voluto questa unione profonda tra l’individuo e la comunità:
non esiste la persona umana senza la comunità che l’ha generata (la
famiglia) e senza la comunità che ne permette la crescita e lo sviluppo
(la società civile). In questo orizzonte di fede quindi, il problema, il
disagio, la sofferenza, il malessere, il peccato della persona sono il
problema, il disagio, la sofferenza, il malessere, il peccato della
comunità. Lo stesso si dica degli aspetti positivi: il coraggio,
l’impegno, la bontà, il successo della persona sono il coraggio,
l’impegno, la bontà, il successo della società. Questo coinvolgimento
della comunità, quindi, si situa sia nella genesi che nella risoluzione
del cancro della violenza. La Rivelazione divina con l’avvento di Gesù
Cristo, Figlio di Dio raggiunge la sua pienezza, e anche l’unione
profonda tra la persona umana e la comunità umana si manifesta
chiaramente. A tal punto Il Figlio di Dio lega la persona alla comunità
e viceversa che è nella Chiesa, la comunità da Lui fondata, che la
persona trova i mezzi della salvezza da Lui realizzata e
contemporaneamente la santità della persona salvata aggiunge nuovo
splendore alla Chiesa, Mistica Sposa di Cristo.
Domande inquietanti
Guidati dalla luce della fede noi crediamo fermamente che la società
civile si debba interrogare innanzitutto sulle cause della drammatica
realtà della violenza e, in un secondo momento, sulle possibili vie
d’uscita.
Per ritornare ancora per un momento alla metafora del cancro, io resto
particolarmente colpito al vedere la meraviglia e lo sbigottimento della
gente di fronte allo sterminio che sta operando questa malattia che è
stata considerata il flagello della nostra era. Come se questa piaga
moderna fosse qualcosa di assurdo, di inconcepibile, di irragionevole,
di misterioso … per alcuni, addirittura, qualcosa da addebitare a Dio.
Perché meravigliarsi dell’esistenza e della diffusione di questa piaga
quando gli scienziati di tutto il mondo da decenni (almeno dagli anni
’70) stanno avvertendo i potenti della terra sui pericoli per l’umanità
e per il pianeta terra prodotti dall’introduzione nell’atmosfera di
veleni a causa degli stessi uomini? Sono veleni che assumiamo
respirando, mangiando, vivendo! Perché meravigliarsi, dunque, delle
stragi compiute dal cancro? Lo stesso discorso vale per il "cancro"
della violenza.
Perché meravigliarsi della violenza quotidiana, globale, diffusa,
pervasiva, se gli esseri umani continuano a introdurre nell’atmosfera
della cultura, veleni micidiali che inquinano i rapporti tra le persone,
tra i gruppi, tra le nazioni originando i mostri e le mostruosità che
tutti noi conosciamo?
Alle radici della violenza
Perché meravigliarsi della presenza della violenza, quando
immettiamo nell’atmosfera della cultura il veleno dell’individualismo,
della ricerca del proprio interesse a discapito degli altri e
permettiamo, per esempio, che nella sola regione Campania ci siano
900.000 disoccupati, 140.000 lavoratori precari (400 Euro al mese senza
la salvaguardia di nessun diritto) e ben 25.000 giovani che debbono
emigrare ogni anno?
Quando si permette un tasso di disoccupazione che in Italia è del 7 %, a
Napoli è del 17 %, e nel rione Scampia, diventato famoso per l’ultima
faida tra fazioni camorristiche, è del 50 %.
Perché meravigliarsi della presenza della violenza, quando immettiamo
nell’atmosfera della cultura il veleno del disinteresse e permettiamo
l’evasione scolastica di migliaia di ragazzi e ragazze specialmente di
quelli che vivono nelle periferie più abbandonate delle città.
Perché meravigliarsi della presenza della violenza, quando immettiamo
attraverso i mass media, che qualcuno ha definito come il più grande
strumento di controllo delle menti delle persone, continuamente e fin
nelle case della gente, i veleni della competizione ad ogni costo, della
ricchezza e della bellezza come ingredienti essenziali per avere
successo nella vita e soprattutto il veleno della violenza, che, in
tutte le sue forme, occupa nei palinsesti uno share altissimo?
Indulto: una misura necessaria
Certamente nessuno era così ingenuo da pensare che l’indulto avesse
il potere di risolvere il problema della criminalità e della violenza.
Ma è anche certo che rinchiudere persone, come fossero sardine, nelle
carceri ammassando 63.000 persone (tra le quali 9.000 extracomunitari la
cui sola colpa era quella di non avere il permesso di soggiorno e 17.000
ammalati di tossicodipendenza) in strutture che potrebbero contenerne
40.000, serviva semplicemente ad amplificare la violenza dei detenuti
nei confronti di tutto e di tutti e rendere l’operato degli operatori
penitenziari, davvero molto difficile.
Certissimo invece è che sarebbe la più grande idiozia di questo mondo
andare dalla vedova dell’edicolante, Salvatore Buglione, ucciso da
quattro balordi a dirle che la percentuale di recidiva dei detenuti
ritornati in carcere dopo aver usufruito dell’indulto è del 3 %, mentre
quella generale è del 70 %. (a questo proposito vorrei dire che la
vedova di Salvatore, insieme con tutte le vittime dei reati, meritano
tutta la nostra solidarietà fattiva e non solo parole).
La solidarietà è l’unico antitodo contro il cancro della violenza
Eppure tutti noi cittadini, tutta la società nel suo insieme:
organizzazioni, movimenti culturali, istituzioni a livello locale,
regionale, provinciale, e nazionale, ( in tempo di globalizzazione io
direi che è urgente pensare anche e soprattutto in termini di Nazioni
Unite) dobbiamo fare un esame di coscienza. Tutti dobbiamo renderci
conto che il problema della criminalità e in particolare della violenza
è un problema che non possiamo delegare a qualche Istituzione, ma è un
problema che deve coinvolgere tutti: soprattutto nel campo della
prevenzione.
In una sua catechesi del mercoledì il Santo Padre Benedetto XVI ha detto
che nessun cristiano dovrebbe essere lasciato solo. Lo ha detto a coloro
che professano la fede cristiana ma parafrasando questa espressione e
indirizzandola alla società civile vorrei dire che la società non
dovrebbe permettere che nessun cittadino sia lasciato solo, sia
abbandonato.
È l’abbandono, la solitudine, la disperazione e l’esasperazione che
porta tanti dei nostri fratelli e sorelle a compiere reati anche
violenti. È la cronaca di tutti i giorni a ricordarci come persone "per
bene", papa di famiglia e mamme di famiglia disperati ed esasperati, per
aver perso il lavoro o per ritrovarsi in ristrettezze economiche, hanno
commesso dei reati e qualcuno addirittura si è tolto la vita.
Vincere il male con il bene
Molti si chiedono se davvero l’indulto era l’unica strada per
risolvere il problema del sovraffollamento nelle carceri Italiane, visto
che insieme ai poveri costretti dalla miseria a delinquere ne hanno
usufruito anche i cosiddetti "colletti bianchi" (leggi: i vari politici,
banchieri e faccendieri, i cosiddetti vip dello spettacolo ecc.) e
addirittura alcuni facenti parte di clan camorristici. In altre parole
avrebbero usufruito dell’indulto anche quelli che avrebbero fatto
dell’illegalità il proprio sistema di vita.
Fare della solidarietà il nostro "sistema di vita"
A tutti, ma specialmente a coloro che credono in queste affermazioni
vorrei dire: Impegniamoci tutti insieme, facciamo della solidarietà il
nostro sistema di vita. Impegniamoci nelle battaglie per ridurre
l’evasione scolastica, facciamo sì che davvero la nostra Italia sia una
Repubblica "fondata sul lavoro" come è scritto nella Costituzione: Che
tutti possano avere la possibilità di lavorare e vivere dignitosamente.
L’abisso che c’è tra i ricchi e i poveri è segno di grande ingiustizia:
Non è possibile che nel mondo il patrimonio totale dei 356 individui più
ricchi del mondo supera il reddito annuo complessivo del 40 %
dell’umanità, mentre un miliardo di persone nel mondo debbono vivere con
un dollaro il giorno …
Lottiamo tutti insieme per questa giustizia distributiva … allora e solo
allora potremo capire chi sono coloro che fanno dell’illegalità il
proprio sistema di vita e allora faremo ricorso alla giustizia che non
dovrà essere certamente quella retributiva (occhio per occhio), ma
riabilitativa: "Le pene non debbono essere contrarie al senso di
umanità, ma debbono servire alla riabilitazione del detenuto" (art. 27
comma 3 della Costituzione). Daremo grande spazio all’uso di pene
alternative per la grande maggioranza dei reati e faremo uso
dell’incarcerazione solo per fermare, per "arrestare" gli agenti di quei
reati, veramente gravi, che causano gravi sofferenze alle persone e alla
comunità.
* Don Bruno Oliviero è cappellano del carcere di Poggioreale a
Napoli
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