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04/02/2007  Da amare e da desiderare: la vita come ''bene'' (Daniele Lorenzi,  http://www.osservatoriosullalegalita.org)

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Si celebra oggi in Italia la 29esima Giornata per la vita, occasione per mantenere vita la coscienza del diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale. Non solo vita nascente, ma anche la dignità del morire nel messaggio Cei per l’occasione.

Domenica 4 febbraio, la Chiesa italiana celebra la ventinovesima Giornata per la vita: un appuntamento che va avanti dal 1978, in modo ininterrotto, per mantenere viva, nei cristiani e in tutti gli uomini e le donne del nostro tempo, la coscienza della centralità del diritto alla vita, cartina di tornasole del riconoscimento della dignità umana in ogni fase dell’esistenza, dal concepimento alla morte naturale. Nata sulla scia del dibattito che avrebbe di lì a poco portato alla legalizzazione dell’aborto, la “Giornata” si trova ad avere a che fare, ventinove anni dopo, non solo con la non cessata esigenza di testimoniare ai quattro venti la dignità della vita nascente, ma con le sfide – non nuove ma mai così attuali – della fase terminale dell’esistenza, con la discussione sulla “dignità del morire” troppo spesso incentrata esclusivamente sulla necessità di “morire con dignità”.

“Amare e desiderare la vita” è il titolo del tradizionale messaggio inviato dal Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana: un testo che riflette sulla necessità di rapportarsi positivamente al bene della vita – di ogni vita umana – anche quando il dolore e la sofferenza portano a considerarla come peso. La vita come “bene” dunque, e come “bene non disponibile”.

“Non si può” – è l’inizio del messaggio dei vescovi -  “non amare la vita: è il primo e il più prezioso bene per ogni essere umano. Dall’amore scaturisce la vita e la vita desidera e chiede amore. Per questo la vita umana può e deve essere donata, per amore, e nel dono trova la pienezza del suo significato, mai può essere disprezzata e tanto meno distrutta”. Certo, aggiungono i vescovi, “i giorni della vita non sono sempre uguali”: “a volte si è indotti spontaneamente ad apprezzare la vita”, mentre altre “la fatica, la malattia, la solitudine ce la fanno sentire come un peso”. Ma la vita “è sempre un bene prezioso per se stessi e per gli altri e in quanto tale è un bene non disponibile”. Per la Cei “l’amore vero per la vita, non falsato dall’egoismo e dall’individualismo, è incompatibile con l’idea del possesso indiscriminato che induce a pensare che tutto sia ‘mio’”, nel senso “della proprietà assoluta, dell’arbitrio, della manipolazione”. La vita, insomma, “è il bene supremo sul quale nessuno può mettere le mani”: “anche in una visione puramente laica, l’inviolabilità della vita è l’unico e irrinunciabile principio da cui partire per garantire a tutti giustizia, uguaglianza e pace”. Per chi ha il dono della fede, - si continua - ogni vita umana “porta” l’impronta del Creatore ed “è destinata all’eternità”, con la consapevolezza che essa “ci è stata affidata e non ne siamo i padroni assoluti”.

Chi ama la vita si interroga “anche sul senso della morte e di come affrontarla”, ma “non cade nel diabolico inganno di pensare di poter disporre della vita fino a chiedere che si possa legittimarne l’interruzione con l’eutanasia, magari mascherandola con un velo di umana pietà”. Fermo restando che al tempo stesso è sbagliato anche l’accanimento terapeutico. C’è il morire, c’è anche il nascere: “amare la vita significa anche non negarla ad alcuno, neppure al più piccolo e indifeso nascituro, tanto meno quando presenta gravi disabilità”. No, insomma, alla “selezione eugenetica”, al ritenere una vita “di minor valore o disponibile per la ricerca scientifica”, al desiderio di un figlio “ad ogni costo”, mentre “può anche essere adottato o accolto in affidamento”. Di fronte alla “piaga dell’aborto”, al “tentativo di legittimare l’eutanasia”, al calo demografico, all’“umiliante sfruttamento della vita in cui si trovano tanti, soprattutto immigrati”, per i vescovi “è necessaria una decisa svolta per imboccare il sentiero virtuoso dell’amore alla vita”, con “dei ‘sì’, forti e lungimiranti a sostegno della famiglia fondata sul matrimonio, dei giovani e dei più disagiati”.

Ecco dunque la “particolare attenzione” e la “speranza” verso le nuove generazioni: “Capaci di amare la vita senza condizioni, capaci di una generosità che la maggior parte degli adulti ha smarrito, i giovani possono però talora sprofondare in drammatiche crisi di disamore e di non-senso fino al punto di mettere a repentaglio la loro vita, o di ritenerla un peso insopportabile, preferendole l’ebbrezza di giochi mortali, come le droghe o le corse del sabato sera”. Di qui il ringraziamento e l’incoraggiamento “ai genitori, ai preti, agli educatori, agli insegnanti, ai responsabili della vita civile, che si prendono cura dei giovani” e “a quanti investono risorse per dare ai giovani un futuro sereno e, in particolare, una formazione e un lavoro dignitosi”. “La vita umana – prosegue il testo del messaggio - è un’avventura per persone che amano senza riserve e senza calcoli, senza condizioni e senza interessi; ma è soprattutto un dono” di cui essere responsabili “soprattutto quando è più debole e indifesa”. “Amare e desiderare la vita è – concludono i vescovi - adoperarsi perché ogni donna e ogni uomo accolgano la vita come dono, la custodiscano con cura attenta e la vivano nella condivisione e nella solidarietà”.

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