Si celebra oggi in Italia la 29esima Giornata per
la vita, occasione per mantenere vita la coscienza del diritto alla vita
dal concepimento alla morte naturale. Non solo vita nascente, ma anche
la dignità del morire nel messaggio Cei per l’occasione.
Domenica 4 febbraio, la Chiesa italiana celebra la ventinovesima
Giornata per la vita: un appuntamento che va avanti dal 1978, in modo
ininterrotto, per mantenere viva, nei cristiani e in tutti gli uomini e
le donne del nostro tempo, la coscienza della centralità del diritto
alla vita, cartina di tornasole del riconoscimento della dignità umana
in ogni fase dell’esistenza, dal concepimento alla morte naturale. Nata
sulla scia del dibattito che avrebbe di lì a poco portato alla
legalizzazione dell’aborto, la “Giornata” si trova ad avere a che fare,
ventinove anni dopo, non solo con la non cessata esigenza di
testimoniare ai quattro venti la dignità della vita nascente, ma con le
sfide – non nuove ma mai così attuali – della fase terminale
dell’esistenza, con la discussione sulla “dignità del morire” troppo
spesso incentrata esclusivamente sulla necessità di “morire con
dignità”.
“Amare e desiderare la vita” è il titolo del tradizionale messaggio
inviato dal Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana:
un testo che riflette sulla necessità di rapportarsi positivamente al
bene della vita – di ogni vita umana – anche quando il dolore e la
sofferenza portano a considerarla come peso. La vita come “bene” dunque,
e come “bene non disponibile”.
“Non si può” – è l’inizio del messaggio dei vescovi - “non amare la
vita: è il primo e il più prezioso bene per ogni essere umano.
Dall’amore scaturisce la vita e la vita desidera e chiede amore. Per
questo la vita umana può e deve essere donata, per amore, e nel dono
trova la pienezza del suo significato, mai può essere disprezzata e
tanto meno distrutta”. Certo, aggiungono i vescovi, “i giorni della vita
non sono sempre uguali”: “a volte si è indotti spontaneamente ad
apprezzare la vita”, mentre altre “la fatica, la malattia, la solitudine
ce la fanno sentire come un peso”. Ma la vita “è sempre un bene prezioso
per se stessi e per gli altri e in quanto tale è un bene non
disponibile”. Per la Cei “l’amore vero per la vita, non falsato
dall’egoismo e dall’individualismo, è incompatibile con l’idea del
possesso indiscriminato che induce a pensare che tutto sia ‘mio’”, nel
senso “della proprietà assoluta, dell’arbitrio, della manipolazione”. La
vita, insomma, “è il bene supremo sul quale nessuno può mettere le
mani”: “anche in una visione puramente laica, l’inviolabilità della vita
è l’unico e irrinunciabile principio da cui partire per garantire a
tutti giustizia, uguaglianza e pace”. Per chi ha il dono della fede, -
si continua - ogni vita umana “porta” l’impronta del Creatore ed “è
destinata all’eternità”, con la consapevolezza che essa “ci è stata
affidata e non ne siamo i padroni assoluti”.
Chi ama la vita si interroga “anche sul senso della morte e di come
affrontarla”, ma “non cade nel diabolico inganno di pensare di poter
disporre della vita fino a chiedere che si possa legittimarne
l’interruzione con l’eutanasia, magari mascherandola con un velo di
umana pietà”. Fermo restando che al tempo stesso è sbagliato anche
l’accanimento terapeutico. C’è il morire, c’è anche il nascere: “amare
la vita significa anche non negarla ad alcuno, neppure al più piccolo e
indifeso nascituro, tanto meno quando presenta gravi disabilità”. No,
insomma, alla “selezione eugenetica”, al ritenere una vita “di minor
valore o disponibile per la ricerca scientifica”, al desiderio di un
figlio “ad ogni costo”, mentre “può anche essere adottato o accolto in
affidamento”. Di fronte alla “piaga dell’aborto”, al “tentativo di
legittimare l’eutanasia”, al calo demografico, all’“umiliante
sfruttamento della vita in cui si trovano tanti, soprattutto immigrati”,
per i vescovi “è necessaria una decisa svolta per imboccare il sentiero
virtuoso dell’amore alla vita”, con “dei ‘sì’, forti e lungimiranti a
sostegno della famiglia fondata sul matrimonio, dei giovani e dei più
disagiati”.
Ecco dunque la “particolare attenzione” e la “speranza” verso le nuove
generazioni: “Capaci di amare la vita senza condizioni, capaci di una
generosità che la maggior parte degli adulti ha smarrito, i giovani
possono però talora sprofondare in drammatiche crisi di disamore e di
non-senso fino al punto di mettere a repentaglio la loro vita, o di
ritenerla un peso insopportabile, preferendole l’ebbrezza di giochi
mortali, come le droghe o le corse del sabato sera”. Di qui il
ringraziamento e l’incoraggiamento “ai genitori, ai preti, agli
educatori, agli insegnanti, ai responsabili della vita civile, che si
prendono cura dei giovani” e “a quanti investono risorse per dare ai
giovani un futuro sereno e, in particolare, una formazione e un lavoro
dignitosi”. “La vita umana – prosegue il testo del messaggio - è
un’avventura per persone che amano senza riserve e senza calcoli, senza
condizioni e senza interessi; ma è soprattutto un dono” di cui essere
responsabili “soprattutto quando è più debole e indifesa”. “Amare e
desiderare la vita è – concludono i vescovi - adoperarsi perché ogni
donna e ogni uomo accolgano la vita come dono, la custodiscano con cura
attenta e la vivano nella condivisione e nella solidarietà”.
Archivio Vi Regalo un Fiore
|