Il piano di
Telecom Italia è di costituire due nuove società controllate, nelle
quali confluirebbero separatamente le attività di telefonia mobile e la rete
di accesso locale. Molti sostengono che queste operazioni non siano
nell’interesse della società e dei suoi azionisti, bensì soltanto del gruppo
di controllo.
Supponiamo in via di ipotesi che ciò sia vero (ma sia chiaro che chi scrive
non ha elementi per giudicarlo) e mettiamoci nei panni di un azionista di
minoranza: quali speranze ha costui che il piano non venga portato
avanti, ovvero di ottenere perlomeno il risarcimento del danno conseguente
alla sua esecuzione?
Le regole di governance di Telecom Italia
L’azionista di minoranza può anzitutto contare sul fatto
che quattro dei ventuno consiglieri d’amministrazione sono espressione di
una lista presentata da investitori istituzionali: dovrebbero essere
particolarmente sensibili all’esigenza di tutelare gli interessi di tutti
gli azionisti. Non importa che si tratti di una minoranza: la presenza di
amministratori (potenzialmente) combattivi, per pochi che siano, può avere
effetti significativi sulle dinamiche del consiglio di amministrazione.
Inoltre, nel CdA ben tredici sono gli amministratori che la società
ha qualificato come indipendenti (inclusi tra questi i quattro di
minoranza). (1) Soltanto con l’assenso di almeno una parte di questi
consiglieri il piano potrà passare.
Telecom Italia si è dotata di una specifica procedura per l’approvazione
delle operazioni con parti correlate, ossia che abbiano come
controparti, tra gli altri, i soci che detengano più del dieci per cento
delle azioni. (2) Si tratta di principi all'avanguardia nel panorama
italiano.
Peccato però che il piano in questione non sarebbe una "operazione con parti
correlate" e che dunque la procedura non si applicherebbe nel caso di specie
(a meno di una scelta in tal senso del Cda).
Di conseguenza, si applica il codice civile, che consente anche agli
amministratori in conflitto d’interessi di votare, previa
dichiarazione del proprio interesse nell’operazione (articolo 2391).
L’incompetenza dell’assemblea e il rinnovo delle cariche
Un piano come quello prospettato da Telecom non
richiederebbe un voto degli azionisti, poiché nessuna delle operazioni
previste sarebbe di competenza dell'assemblea.
Ma la prossima assemblea annuale di Telecom fornirà l’occasione per
mettere in discussione l’operato degli amministratori: il consiglio dovrà
essere rinnovato e, pertanto, tanti soci che aggreghino almeno l’1 per
cento delle azioni potranno presentare proprie liste di candidati.
La lista alternativa potrebbe raccogliere voti grazie a una sollecitazione
di deleghe di voto (che può essere promossa da qualunque azionista in
possesso almeno dello 0,5 per cento delle azioni) e potrebbe in
teoria ottenere un numero di voti sufficiente a nominare la maggioranza del
consiglio.
È però improbabile che il gruppo di controllo, al 18 per cento, si presenti
in quell’assemblea senza alleati in numero sufficiente per eleggere uomini
di propria fiducia.
I rimedi
Supponendo che il piano sia approvato dal consiglio
d’amministrazione, cosa potrebbero fare gli azionisti di minoranza per
evitare che sia eseguito o perlomeno per ottenere il risarcimento del danno?
L'annullamento della delibera per conflitto d’interessi potrebbe
essere richiesto solo da eventuali amministratori assenti o dissenzienti o
dal collegio sindacale. Il singolo azionista, quale che sia la
percentuale di azioni che possiede, non vi sarebbe legittimato. (3)
La strada del risarcimento del danno può essere percorsa, nei
confronti degli amministratori, da tanti azionisti che aggreghino almeno il
2,5 per cento del capitale. Non solo la percentuale è assai elevata,
ma la condanna andrebbe a favore della società e non dei soci, che dunque
avrebbero ben pochi incentivi ad esercitar l'azione.
Ciascun azionista potrebbe agire nei confronti della società che esercita
un’attività di direzione e coordinamento nei confronti di Telecom
Italia. Quest’azione sarebbe assai complessa: occorrerebbe dimostrare
qualcosa che Pirelli e Olimpia hanno sempre negato, ossia che esse
esercitano un’attività di direzione e coordinamento su Telecom. Inoltre, si
dovrebbe dimostrare che la società capogruppo, agendo nell’interesse
imprenditoriale proprio o altrui, ha violato "i principi di corretta
gestione societaria e imprenditoriale" (checché ciò significhi). E i
convenuti potrebbero liberarsi da responsabilità dimostrando che il danno
che l’azionista lamenta di aver subito in ragione del comportamento della
controllante "risulta mancante alla luce del risultato complessivo
dell’attività di direzione e coordinamento" (articolo 2497 codice civile).
Si tratta d’una azione così oscura nei presupposti che, anche a causa
dell’assenza di precedenti, presenta un rischio d’insuccesso notevole, quali
che siano le specifiche circostanze del caso.
In conclusione, la tutela degli azionisti di minoranza è nelle mani degli
amministratori di Telecom Italia e, in particolare, di quelli
indipendenti. Se questi approvano il piano (che qui per mera ipotesi e a
fini espostivi si è supposto dannoso per Telecom), le strade per gli
azionisti di minoranza sono due, entrambe impervie. O si coalizzano in una
maggioranza alternativa nella prossima assemblea - ma i problemi di azione
collettiva sarebbero enormi. O si cerca una tutela in giudizio, che, anche
ignorando i tempi biblici della giustizia civile, resta limitata nei mezzi e
poco promettente sul piano dei risultati.
(1) Per essere qualificati indipendenti, gli amministratori devono
essere liberi da relazioni con gli amministratori esecutivi e con il gruppo
di comando tali da inficiarne la libertà di giudizio nel perseguire
l’esclusivo interesse sociale.
(2) Principi di comportamento per l’effettuazione di operazioni
con parti correlate (http://www.telecomitalia.it/TIPortale/docs/investor/principi_operazioni_parti_correlate.pdf).
(3) A rigore, egli potrebbe tentare di dimostrare che Telecom Italia
è sotto la direzione e coordinamento del gruppo di controllo e di convincere
il giudice che, essendo mancata una motivazione analitica della
deliberazione (art. 2497-ter, cod. civ.), questa è annullabile perché
in contrasto con la legge e come tale impugnabile dal socio che abbia subito
una lesione dei propri diritti (art. 2388 cod. civ.): una strada quanto mai
impervia e con ben poche chance di successo
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