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08/09/2006 Tutti holding e Opus Dei (Rita Pennarola – Tratto da "La Voce della Campania" - www.lavocedellacampania.it, www.disinformazione.it) 

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  • 20/09/2006 Commento all' Articolo sull' Opus Dei


  • La scomparsa del finanziere e soprannumerario Opus Dei Gianmario Roveraro, avvolta da dubbi e circostanze oscure, ci guida alla scoperta degli inediti colossi finanziari messi su dai ferventi seguaci di San Josemaria, che spaziano tra fede, business e politica, con la benedizione di alcuni vertici istituzionali del Paese. Filo conduttore è il supermanager Giuseppe Garofano, ultimo protagonista rimasto sulla scena del ciclone Mani Pulite ma, soprattutto, socio eccellente dell’Opus. 

    Un cadavere fatto a pezzi. Orrendamente mutilato, decomposto dal caldo e assolutamente irriconoscibile. Non era ancora “in voga” il test del Dna quando, all’alba di Tangentopoli, fu “suicidato” e fatto ritrovare col volto sfigurato Sergio Castellari, l’ex direttore generale del ministero delle partecipazioni statali inquisito per lo scandalo Enimont. Era il 20 febbraio 1993. A calare la pietra tombale sulla vicenda (omicidio? suicidio? oppure quel cadavere apparteneva a qualcun altro?) era stato il perito anatomopatologo Carlo Torre. Lo stesso che molti anni dopo sarà chiamato dagli inquirenti nel caso Ilaria Alpi ma, soprattutto, l’artefice dell’allucinante ipotesi del “proiettile deviato da un sasso”, che ha finora impedito di accertare con un processo i veri responsabili dell’assassinio di Carlo Giuliani in piazza Alimonda.

    Poi arrivò l’era del Dna, la delicata e complessa indagine con ampi margini di errore che fa immancabilmente capolino - con verdetti immediati e da Cassazione - nelle più scottanti inchieste degli ultimi anni: al centro, corpi massacrati, di dubbia identità, attribuiti a protagonisti delle più clamorose vicende di cronaca, molto spesso al centro di misteri, da Fabrizio Quattrocchi fino al recentissimo caso di Gianmario Roveraro, il finanziere tutto banca e Opus Dei scomparso da Milano ai primi di luglio scorso dopo un incontro nella sede della potente compagine religiosa. Poi il ritrovamento dei “resti” (la testa per ultima, in ogni caso irriconoscibile), il fulmineo intervento dei carabinieri del Ris per la prova del Dna (con quale materiale genetico di confronto?) e i titoloni a scatola sui giornali: ecco il corpo di Roveraro nelle campagne intorno a Parma. 

    La storia si ripete. Le analisi vengono affidate al capo del Ris Luciano Garofano, prontamente accorso sul luogo del delitto, che in brevissimo tempo emette la sentenza: «ucciso con un colpo di pistola». «Quando pronuncia quel “non è stato facile” - scrive a caldo la Gazzetta di Parma - il colonnello dei Ris di Parma Luciano Garofano ha il volto tirato, parla di un'autopsia complicata per un delitto “particolarmente efferato” e poi, abbassando gli occhi, esprime “cordoglio” per la famiglia del finanziere». Un uomo duro, il carabiniere-scrittore (suoi i volumi “L’enigma del boiardo” e “Delitti imperfetti”): 53 anni, biologo, fin dal ‘95 va a dirigere il Reparto Investigazioni Scientifiche di Parma, che ha competenze su tutto il Nord Italia. Insegna inoltre alle università di Parma e della capitale. Ha indagato sui più controversi casi giudiziari della storia recente italiana, dalla strage di Capaci a Donato Bilancia, fino ai casi Novi Ligure, Cogne ed, oggi, anche Roveraro. Il settantenne manager sarebbe stato squartato e martoriato - secondo la ricostruzione ufficiale - per vendetta dal piccolo imprenditore Filippo Botteri a causa di un affare immobiliare finito in crack. 

    DA UN GAROFANO ALL’ALTRO 
    Tutta la vicenda appare subito poco chiara. Di “depistaggio” a proposito della prima confessione di Botteri sull’omicidio parla apertamente Maurizio Di Giacomo, il giornalista che per primo, negli anni ottanta, aveva sollevato il velo sull’Opus in un libro choc edito da Tullio Pironti. «Il reoconfesso dell'assassinio di Roveraro e della mutilazione del suo cadavere, forse tramite il manchete prestato da un complice - rivela Di Giacomo - avrebbe raccontato un paio di anni orsono al 52 enne vicentino Francesco Todescato che Roveraro aveva dirottato su un conto dell'Unione delle Banche Svizzere una forte somma legata al crack della Parmalat di Calisto Tanzi». 

    Strano anche «l’accanimento distruttivo dimostrato da Botteri nei confronti del cadavere di Roveraro: siamo certi che non abbiano pesato anche pulsioni per così dire immateriali e non riconducibili tout court al risentimento per un'operazione finanziaria che non aveva portato ai risultati sperati?». «Ci sarà - conclude il giornalista - qualche magistrato capace di verificare se l’affermazione di Filippo Botteri è un depistaggio o, al contrario, l’apertura di una pista finora ignota alla magistratura che ha indagato su Parmalat?». Di Giacomo non è l’unico ad avanzare dubbi. «A questa storia manca tuttora un pezzo», dichiara alla Stampa un altro Garofano, Giuseppe, in prima fila ai funerali celebrati solennemente a Milano nella chiesa di Santa Maria Segreta. E spiega: «Com’è possibile che un finanziere come Roveraro fosse entrato in contatto con simili delinquenti?».

    Difficilmente sarà possibile trovare una risposta certa a questi e ai tanti altri interrogativi che si affollano in quello che rischia già di diventare l’ennesimo buco nero nella cronaca giudiziaria del Paese. Di sicuro, però, con l’uscita di scena di Roveraro si chiude definitivamente un’era: quella iniziata nel 1993 con il furore di Mani Pulite e che vide nei primi mesi di quell’anno una catena impressionante di cadaveri avvolti nel mistero di una ricostruzione ufficiale tuttora al centro di dubbi. Tutti collegati alla madre di tutte le tangenti: il caso Enimont. A febbraio Castellari poi a luglio, in rapida successione, prima il presidente Eni Gabriele Cagliari, poche ore dopo Raul Gardini, entrambi “suicidati”. 

    «Alle sette di mattina - si legge sulle cronache dell’epoca - Gardini ha già fatto la doccia, è ancora in accappatoio quando gli portano i giornali, il cappuccino e un croissant: ed è proprio mentre si accinge a fare colazione che l’occhio gli cade su un titolo di prima pagina di Repubblica: “Tangenti, Garofano accusa Gardini”. Raul capisce che è finita (questa almeno la spiegazione più semplice), apre il cassetto del comodino vicino al letto e si spara un colpo alla testa». Con Roveraro - che attraverso la banca d’affari Sige aveva consentito a Gardini di scalare la Montedison - sparisce l’ultimo, ingombrante protagonista di quelle oscure pagine di storia. Ma lavorando intorno alla sua figura - e soprattutto sui suoi legami con Garofano - è possibile tracciare gli inediti assetti di un colosso economico e finanziario come l’Opus Dei, che in una recente intervista alla Voce, uno che la sa lunga come Licio Gelli, aveva definito «oggi assai più potente della massoneria». Quello che si ricostruisce seguendo le molteplici diramazioni imprenditoriali collegate ai seguaci di Escrivà è un autentico impero, una holding estesa fra istituzioni, politica ed altissima finanza. Intenta a rigenerare se stessa allevando il nuovo ceto eletto che andrà ad occupare i posti chiave del sistema Italia. Perchè, dentro, ci sono proprio tutti. Vediamo. 

    I MASSONI DI DIO 
    Dopo un’esistenza trascorsa da potente fra i potenti, Gianmario Roveraro negli ultimi tempi si era già disfatto di quasi tutte le partecipazioni societarie. Lontani i tempi delle folgoranti alleanze con big come Gardini o l’allora presidente della Banca di Roma Pellegrino Capaldo, nel suo passato più recente restava il sodalizio con Calisto Tanzi ed un legame ancora vivo con personaggi come Paolo Scaroni (oggi numero uno dell’Eni) o come i fratelli Ottavio e Giuseppe Pisante, magnate pugliesi di acqua ed energia. Prima in sella a Sige, poi attraverso la finanziaria Akros, Roveraro aveva portato in Borsa Benetton e quindi la stessa Parmalat, attraverso un’alchimia finanziaria oggi al vaglio degli inquirenti e che gli era costata di recente un rinvio a giudizio. 

    Membro soprannumerario dell’Opus, era stato in prima fila nelle Fondazioni Rui (le residenze universitarie d’élite che per anni hanno rappresentato il cuore economico e logistico di questa “massoneria bianca”) e del Faes (associazione famiglia e scuola), fra le prime creature, in ordine di tempo, del potere opusdeista. Ma al momento della sua scomparsa Roveraro risultava titolare di azioni in sole due società. La prima è Alter Sim spa, 387 mila euro come capitale sociale, finita al centro delle indagini giudiziarie in corso a carico di Botteri e dei suoi complici. E’ infatti alla sede milanese della Alter, in piazza Duomo 22, che la mattina del 7 luglio arriva il famoso fax con cui Roveraro chiede il disinvestimento di 1 milione di euro. Un documento che condurrà fino alla attuale ricostruzione dei fatti il pm Alberto Nobili (ex marito di Ilda Boccassini), cui sono state affidate le indagini. 

    ROVERARO IN CAMPUS
      Ma è attraverso l’altra società in cui spicca il nome di Roveraro che cominciamo ad addentrarci nei rivoli miliardari della corazzata Opus Dei. Una strada che, forse, potrà contribuire a gettare luce sulle circostanze della sua improvvisa uscita di scena. Alla data del 1 giugno 2006 Gianmario Roveraro risulta infatti titolare di 364.715 azioni della Campus Biomedico spa, 36 milioni e passa di euro in dote, che rappresenta oggi uno dei capisaldi nel principale intreccio italiano fra politica, religione, affari. E’ qui, infatti, che ritroviamo fianco a fianco come soci, fra gli altri, lo stesso Roveraro e Giuseppe Garofano: dentro l’università privata dell’Opus Dei alle porte di Roma, lautamente foraggiata da denaro pubblico («al solo Campus Biomedico dell’Opus Dei - scrive ad esempio l’agenzia cattolica di sinistra Adista - vengono dati 20 milioni di euro per il 2004 e 30 milioni di euro per il 2005») e benedetta fin dalla nascita da un big dell’attuale governo di centrosinistra come il vicepresidente del Consiglio (ed allora sindaco di Roma) Francesco Rutelli. 

    Ma dell’intenso feeling sbocciato fra la Margherita e l’Ovra ci occuperemo più avanti. Perchè ora seguiamo la pista che dal socio del Campus Giuseppe Garofano porta alla luce le nuove holding della fede. E cominciamo dal Cense, Promozione Centri Educativi, che come sempre parte dall’irrefrenabile “istinto” ad allevare il ceto eletto per trasformarsi subito in un sistema di potere dalle dimensioni di una multinazionale. Con la bellezza di 4 milioni 232.860 euro come capitale sociale, Cense vede schierato al suo interno - insieme allo stesso Garofano - interi pezzi del sistema Italia, in forme dirette o mediate. Sede legale nella capitale, in viale Eritrea 154, amministrata da giovani e poco noti manager generalmente allevati “in casa” dalla Prelatura (in questo caso il quarantatreenne Gian Luca Giovannucci, romano, presidente del cda), Cense racchiude nel suo parterre societario personaggi noti come l’ex ministro della Pubblica istruzione Francesco D’Onofrio o il re dei trapianti Raffaello Cortesini insieme a corazzate edili del calibro di Gico Costruzioni (attiva il Libano ed Algeria, nonchè aggiudicataria di grossi appalti per la Salerno-Reggio Calabria ) e Total Service spa (che aveva lavorato per le opere del Giubileo). 

    Ma soprattutto, accanto a decine di semplici affiliati, nell’azionariato di Cense spiccano tre autentici scrigni del sistema Opus Dei: si tratta di Associazione Centro Isec, Centro Elis e IPE, il partenopeo Istituto per le Attività Educative (vedi l’articolo che segue), con storie e protagonisti che s’intrecciano continuamente. Partiamo da Isec, che nel Cense fa la parte del leone, con oltre 2 milioni di euro del capitale, fra azioni ordinarie e privilegiate. Dettagliate news sull’attività di Isec vengono fornite direttamente nel notiziario Opus Dei, che riporta cronache ed immagini sulle numerose cerimonie relative a master privati o corsi ad altissima specializzazione organizzati in partnership con società ai vertici del panorama finanziario o delle telecomunicazioni. 

    Al centro, sempre lui, il presidente Isec Riccardo Boccia, “nella vita” un ruolo di primo piano all’Istituto Italiano Cambi presieduto dall’attuale numero uno Bankitalia Mario Draghi. Avvocato cassazionista, Boccia vanta un passato da vicepresidente della Cassa Sovvenzioni e Risparmio, poi consigliere generale della Federazione Italiana di Mutualità Volontaria e presidente italiano della World Jurist Association. Isec finanzia, a sua volta, l’Accademia di studi universitari Il Poggio, «con sede nelle immediate vicinanze dell’Università Luiss Guido Carli a Roma», tiene a sottolineare il bollettino Opus nel raccontare la fastosa inaugurazione dell’anno accademico 2006 al Poggio, quando «l’avv. Riccardo Boccia ha illustrato la formazione a tutto campo data agli studenti universitari che la frequentano: essa mira a forgiare futuri cittadini e padri di famiglia responsabili e coerenti con i valori cristiani, ispirandosi agli insegnamenti di san Josemaría». Presidente dell’Accademia è invece Emanuele Rizzardi, che in tale veste ospita al Poggio personalità del calibro di Giuseppe Zadra, direttore generale ABI (Associazione Bancaria Italiana), per tenere conferenze e seminari su "La tutela del risparmio tra iniziative pubbliche e private".

    MESSE BOREALE
      Ma chi più di tutti ha avuto a cuore le sorti economiche dell’Isec e dell’Opus Dei è stato sicuramente il tenace senatore Udc Leonzio Borea, che nell’arco della scorsa legislatura si è adoperato per far ottenere al Centro Isec una messe impensabile di provvidenze pubbliche. E’ il 20 luglio del 2005. Borea, penalista, salernitano di Sapri, prova a far passare in Commissione giustizia - di cui è vicepresidente - un provvedimento in base al quale «è autorizzata l’erogazione di un contributo di 450.000 euro annui per dieci anni a decorrere dall’anno 2006 a favore dell’Associazione Centro Isec (Iniziative per studi e convegni), ente morale ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 25 febbraio 1972, n. 323, ai fini dell’acquisto della sede della relativa accademia universitaria». Quella volta va male, proposta respinta. La questione spunta nuovamente a ottobre. 

    E cresce, perchè da 450 mila si passa a ben 2 milioni di euro annui di denaro pubblico, sempre in favore dell’Isec. Nel fascicolo ufficiale pubblicato dal Governo contenente i provvedimenti relativi alla Finanziaria 2006, l’emendamento di Borea si ritrova sotto forma di articolo 66 bis, con la precisazione che «all’articolo 67 tabella B voce Ministero delle Finanze» vanno apportate le seguenti variazioni: meno 2 milioni (di euro) per il 2006, altrettanti per il 2007 e per il 2008. Qundo si dice la capacità di non lasciare nulla al caso... Del resto, Borea non era nuovo ad iniziative ardite di analogo segno. «Un ordine del giorno presentato da alcuni parlamentari dell'Udc (in prima fila lo stesso Borea, ndr), chiede al governo di equiparare quanto prima i titoli accademici in materie giuridiche conseguiti presso la Pontificia Università Lateranense a quelli rilasciati dagli Atenei dello Stato», fa sapere Adista. 

    ELIS per sempre ? Altro socio eccellente del Cense è poi il Centro Elis, ennesima holding targata Opus Dei che, attraverso le due principali diramazioni societarie, presenta oggi dimensioni e business da capogiro. E ci conduce dentro la vera “cupola” del sistema di potere targato Opus. Inaugurato nel 1965 da Paolo VI alla presenza del fondatore dell’Opus Dei Josemaría Escrivá, che ne aveva seguito la realizzazione nei minimi particolari, il complesso di via Sandro Sandri a Roma è proprietario di sedi anche nel quartiere Tiburtino e poi a Palermo, Milano, Castelgandolfo, Ovindoli. Il Centro Educazione, Lavoro, Istruzione, Sport (da cui l’acronimo) dichiara di dedicarsi a «promuove attività formative e di solidarietà sociale per giovani e per lavoratori»; inoltre «gestisce scuole e istituti professionali, corsi a distanza e residenze per studenti», ma recentemente è entrato anche nell’albo delle ONG per la cooperazione allo sviluppo. E che sviluppo...

    Partiamo dall’organigramma Elis, che come sempre vede in pista un giovane di comprovata fede, stavolta freschissimo d’investitura: si tratta dell’appena trentunenne Daniele Maturo, napoletano di Marano, che poche settimana fa è stato chiamato a sostituire il fisico Michele Crudele, 46 anni, barese, docente anche al Campus Biomedico ma soprattutto attivo in commissioni ministeriali, come quella per il Codice di autoregolamentazione Internet e Minori del Ministero delle Comunicazioni, o il gruppo di lavoro sulla protezione delle infrastrutture critiche informatizzate della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Oltre che alle multiformi attività imprenditoriali del Centro Elis, il giovanissimo Maturo dovrà dedicare le sue cure alle due principali “filiazioni” di Elis: Cedel e Consel. 

    La prima, tutta in odor di filantropia, era stata fondata negli anni ottanta per gestire scuole private, residenze universitarie e corsi professionali. Nel ‘98 viene trasformata in cooperativa sociale «retta dai principi e dalla disciplina della solidarietà sociale e della mutualità», chiariscono i dirigenti Elis, ed ora «si propone di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini attraverso la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi». “Socio sovventore” della cooperativa Cedel è la spa Cosis, la merchant bank di via Nazionale creata come “avamposto etico” della Banca di Roma. «I conferimenti dei sovventori - viene precisato a scanso di equivoci nell’atto fondativo del Cedel - possono avere ad oggetto denaro, beni in natura o crediti e sono rappresentati da azioni trasferibili del valore di euro 500 ciascuna, per un minimo di cento azioni a socio sovventore». 

    Ed eccoci arrivati al clou: il Consel, Consorzio Elis per la formazione professionale superiore. Tanto per cominciare, questi sono i soci fondatori che nel 1992 hanno dato vita al consorzio: si tratta dei colossi STET, Italcementi, Ericsson, oltre alla stessa cooperativa Cedel. Business core di Consel è ancora una volta la formazione del ceto eletto, ma stavolta le attività sono direttamente rivolte ai giganti dell’economia che siedono al suoi interno. Eccoli qui: in prima fila fra i soci del consorzio spiccano Telecom Italia spa, le stesse Ericcson e Italcementi, e poi Birra Peroni spa, Anas, Italtel, ma anche Italia Lavoro, Albacom, Wind, Siemens, EDS (Electronics Data Systems Italia), Mannessmann Investments B.V., e via via crescendo Trenitalia, Camera di Commercio Roma, Alcatel, fino a Trambus spa ed Eni Corporate. Per non lasciare nulla alla provvidenza, più di recente l’astuto socio Elis ha acquisito ampie partecipazioni in Select agenzia per il lavoro, Agricolsulting (consulenze e sviluppo di attività agricole ed ambientali), Obiettivo Lavoro (altro big dell’occupazione temporanea) e Tim, leader di telefonia mobile. Tutti riuniti, per sempre, sotto il protettivo ombrello delle imprese terrene di San Escrivà. Perchè - è il motto dell’Opus - “Anche nella borsa di Wall Street si puo' incontrare Dio''. Qualcuno però, come Gianmario Roveraro, ha incontrato l’inferno. 

    LA MARGHERITA E DIO  L’ultimo colpo vincente dell’Opus Dei è stato messo a segno nel capoluogo partenopeo con la recentissima nomina di Raffaele Calabrò, leader indiscusso del sodalizio campano, al vertice della Commissione varata dal presidente della Regione Antonio Bassolino per il controllo sugli atti amministrativi delle sforacchiate Asl locali, che negli ultimi anni avevano accumulato spaventose voragini nei bilanci. Cardiologo, tre figli, esponente di una famiglia partenopea per buona parte dedita al binomio Opus-professioni (un cognato, Salvatore Iovene, è fra i magistrati di punta del tribunale di Napoli), Calabrò rappresenta uno fra i più riusciti “acquisti” della Margherita, che sotto la guida del vicepremier Francesco Rutelli sta pescando a piene mani nel “vivaio” Opus Dei. 

    Dopo oltre dieci anni di esperienza politica nelle fila di Forza Italia (maturata grazie all’antico feeling con Paolo Cirino Pomicino, tanto che sotto le insegne del Biscione era stato anche presidente del Consiglio regionale), Raffaele Calabrò non aveva esitato, in vista delle tornate elettorali 2006, a sposare il Rutelli-pensiero, seguito a ruota da altri ferventi seguaci di Escrivà, come il medico Mario Delfino, che oggi siede a palazzo San Giacomo con la maglia di De Mita & C. La stella di Raffaele Calabrò, dentro e fuori l’Opus, si chiama IPE, Istituto per le Attività Educative. Sulla scia delle corazzate romane (delle quali peraltro fa parte a pieno titolo, con una partecipazione di tutto rispetto, da socio privilegiato, nell’azionariato del Cense), con sedi anche a Roma, Bari e Salerno, l’IPE è uno fra i collegi universitari italiani - quasi tutti in area opusdeista - legalmente riconosciuti dal Miur. 

    E non è difficile, grazie alla potenza della matrice imprenditorial-religiosa, organizzare corsi di specializzazione ai massimi livelli, con corsie preferenziali ai partecipanti per l’accesso dalla porta principale nei ranghi dei colossi nazionali ed esteri. E’ stato il caso, per esempio, del recente “Corso di finanza avanzata”, concluso a luglio e portato avanti con il contributo della Compagnia di San Paolo e della Fondazione Banco di Napoli. Fra i docenti - spesso scambiati con la Luiss - Rainer Masera, Maurizio Romiti, e poi il preside di Economia Vincenzo Maggioni (un passato di stretta osservanza liberale con Francesco De Lorenzo ministro della Sanità), l’economista Massimo Marrelli (editorialista del Corriere del Mezzogiorno) e Ignazio Visco (direttore Centrale Bankitalia), il professore di Economia Bancaria alla Federico II Adriano Giannola e Massimo Lo Cicero divenuto, dopo gli esordi giovanili nel Pci, una delle menti preferite dall’opusdei-pensiero. «Basti considerare - spiegano in ambienti vicini alla compagine religiosa - che per le attività di formazione i docenti vengono accuratamente selezionati e prescelti fra coloro che non illustreranno mai teorie difformi da quelle che l’Opus diffonde tra i suoi affiliati e non».

    A riprova dell’efficacia, anche pratica, della proficua “inseminazione” realizzata col verbo di Escrivà, restano alcune folgoranti carriere, anche giornalistiche. La più recente, che a Napoli ha suscitato già rumori e mal di pancia, è quella che ha catapultato l’ex allievo dell’elitaria Residenza Monterone (con la Montavella è uno fra gli avamposti della potenza Opus all’ombra del Vesuvio) Giovanni Messina alla redazione del Tg3 Campania, diretta dal fedelissimo della Curia locale Massimo Milone. Tutto bene, quindi. Ma naturalmente, per chi se lo può permettere. Un posto “al sole” nella Residenza Monterone, per esempio, costava già nel 2005 oltre settemila euro l’anno in stanza singola, quasi seimila per la convivenza in camera tripla. Tutt’altro che un caso è stata poi l’inaugurazione in pompa magna di una strada dedicata al fondatore dell’Opus, col sindaco Rosa Russo Iervolino (Margherita) tra i più fervidi sostenitori dell’iniziativa. 

    Più che naturale, perciò, l’arruolamento nel partito di Rutelli della opusdeista di ferro Paola Binetti, lunghi trascorsi nell’Udc, schierata in Parlamento fra i più tenaci avversari di provvedimenti come i Pacs o le modifiche alla legge 40 sulla procreazione assistita. Ed ottima amica, da sempre, dell’attuale ministro per la Pubblica istruzione, il cattolicissimo Giuseppe Fioroni. Ovviamente, della Margherita. «E’ forse proprio grazie ad un “cavallo di Troia” nel centrosinistra, come l’Opus Dei - commentano in area centrista - che il governo si prepara a rinforzare la sua traballante maggioranza, reclutando quei devoti di san Josemaria che ancora siedono nei banchi dell’Udc». 

    Francesco D’Onofrio (vedi articolo precedente) docet. Complice potrebbe essere proprio l’intesa sulla scuola privata. Del resto, la prima approvazione della legge sulla parità scolastica era stata voluta nel 2000 dal governo D'Alema bis. Una norma che ha istituito i buoni scuola per gli alunni delle private (300 miliardi annui di vecchie lire a partire dal 2001), aumentando i contributi per il mantenimento delle scuole elementari parificate (60 miliardi di lire) e per le spese di partecipazione alla realizzazione del sistema prescolastico integrato (280 miliardi di lire). E poi, non era stato lo stesso leader Maximo a sbracciarsi in prima fila durante le solenni celebrazioni per la santificazione di Escrivà? 

    Valori nel Garofano 
    Sarà la neonata Banca per lo Sviluppo del Mediterraneo la creatura capace di unire, tra fede e business, le sorti di Opus Dei e Massoneria tradizionale? L’ipotesi non appare troppo azzardata, se si considera il calibro - e soprattutto l’origine - dei suoi promotori: il tandem formato da Giancarlo Elia Valori e Giuseppe Garofano. Il primo, attuale presidente di Confindustria Lazio (oltre che neo-scrittore: fresco di stampa il suo “Geopolitica dello spazio” con prefazione di Francesco Cossiga, presentato nel luglio scorso a Gaeta addirittura da Oliviero Diliberto), figura negli elenchi dei confratelli fin dai tempi della P2. Quanto a Garofano (vedi pezzo base), la sua carriera di manager è stata tutta vissuta all’ombra dell’Ovra (vedi la partecipazione attiva in attività come il Campus Biomedico, insieme all’amico Gianmario Roveraro, o il colosso Cense). 

    All’inedita accoppiata - Valori presidente e Garofano in sella al cda - si aggiungono oggi le Generali: la corazzata di Trieste guidata da Antoine Bernheim avrebbe infatti garantito il suo appoggio per il varo del nuovo istituto di credito, destinato a sviluppare gli affari tra Palestina, Maghreb, Libano, Israele, Libia, Egitto ed i paesi mediterranei. Per far questo, è già pronto un carburante da 15,5 milioni di euro, versato dai quattro grandi promotori: Alerion (45,16%), Allianz Lloyd adriatico (32,26%), Pierluigi Toti patron del Gruppo Lamaro (9,68%) e la Engineering di Michele Cinaglia e Rosario Amodeo (12,9%). 

    Il 17 luglio scorso un altro importante disco verde è arrivato in occasione della quarta Conferenza Laboratorio Euro-Mediterraneo da Naguib Sawiris, presidente dell'egiziana Orascom e dell'italiana Wind. Il quale ha però posto come condizione che Bsm abbia un capitale a maggioranza privata. «I governi in certe occasioni sono lenti - ha spiegato Sawiris - e non possiamo permetterci il lusso di sprecare del tempo». Una tempestività ampiamente favorita dall’acuirsi delle tensioni in Medio Oriente: «la creazione di lavoro che deriverà dalla nuova Banca - ha concluso il supermanager - contribuirà a combattere il terrorismo e le forze del buio che operano nell’area». Con sede a Roma in via delle Tre Madonne, dopo il rilascio della licenza creditizia da parte della Banca d’Italia la creatura di Valori e Garofano potrà intraprendere la sua navigazione. «Sarà una banca d’affari - pronosticano gli addetti ai lavori - con l’occhio puntato non solo allo sviluppo di grandi opere, ma anche alle piccole e medie imprese».

  • 20/09/2006 Commento all' Articolo sull' Opus Dei
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