Carenza di discariche. Strade invase da montagne
di rifiuti maleodoranti. Cittadini esasperati che si improvvisano
netturbini e ‘fanno pulizia’ dando fuoco alla spazzatura. L’immondizia è
diventata una vera emergenza e un problema sanitario.
Carenza di
discariche. Strade invase da montagne di rifiuti maleodoranti. Cittadini
esasperati che si improvvisano netturbini e ‘fanno pulizia’ dando fuoco
alla spazzatura. L’immondizia è diventata una vera emergenza in Campania
e un problema serio per la salute dei suoi abitanti. Ma non solo. La
bruciatura dei rifiuti provoca danni anche agli animali, come ha
dimostrato uno studio condotto sulle pecore della zona dal Laboratorio
di citogenetica animale e mappaggio genetico dell’Istituto per il
sistema produzione animale in ambiente mediterraneo (Ispaam) del Cnr di
Napoli. “Le discariche abusive presenti in Campania, soprattutto nelle
province di Napoli e Caserta, e la sistematica bruciatura dei vari
residui per ridurre al minimo il volume occupato ha comportato un
notevole accumulo di inquinanti ambientali, tra i quali le diossine,
sostanze altamente tossiche e cancerogene”, spiega Leopoldo Iannuzzi
dell’Ispaam-Cnr.
“La situazione è peggiorata in questi mesi con l’incendio sistematico
dei cassonetti da parte della popolazione locale, che ha
inconsapevolmente favorito l’entrata nel ciclo vitale di questo veleno,
che inizialmente si deposita su erba, terreno e acque, fissandosi
successivamente nei tessuti adiposi degli animali (incluso il grasso del
latte) che hanno ingerito cibo contaminato”. Per controllare le
condizioni degli allevamenti dell’area l’Ispaam-Cnr, finanziato dal
Comune di Acerra, ha condotto due studi su pecore esposte a bassi (5,3
pg/g di grasso) e alti (39 e 51 pg/g di grasso) livelli di diossine,
utilizzando due test citogenetici su linfociti di sangue periferico per
valutare la stabilità del genoma degli animali esposti a queste sostanze
mutagene. Queste ultime lasciano infatti traccia a livello cromosomico
(gap, rotture cromosomiche, scambi intercromatidici) come dimostrano i
dati ottenuti e confrontati con quelli riscontrati in cellule di animali
della stessa specie e razza, ma allevati in ambienti non contaminati.
“Le due ricerche”, precisa Iannuzzi, “hanno evidenziato una notevole
fragilità nei cromosomi delle pecore esposte alle diossine. In
particolare, è risultata pari a 4 volte maggiore, rispetto agli animali
di controllo, nelle pecore esposte a bassi livelli di diossine, e da 8 a
14 volte superiore in quelle esposte, rispettivamente, a 39 e 51 pg/g di
diossine. Inoltre, nell’allevamento sottoposto ad alti livelli di
diossine (51 pg/g) sono stati registrati numerosi casi di nascita di
feti anormali e di aborti (l’Asl Na 4 ha registrato la morte, in questo
allevamento, di più di mille animali in pochi anni)”. Risultati
indubbiamente significativi perché le pecore, per la loro alimentazione
basata esclusivamente su pascoli naturali (o su residui di vegetazione
prodotta localmente), rappresentano ottimi indicatori biologici
(sentinelle) dell’inquinamento ambientale in territori a rischio.
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