COMUNICATO STAMPA
Agenzie di rating: il monopolio delle “tre
sorelle” USA della finanza, in prevalenza controllate dalle banche,
esposte e coinvolte pesantemente nella “finanza derivata”
Le agenzie di rating, nate agli inizi del Novecento negli
Stati Uniti, analizzano la solidità finanziaria di soggetti quali stati,
enti, governi, imprese, banche, assicurazioni. Le principali agenzie sono
tutte statunitensi: Moody's, Standard & Poor's e Fitch. Il rating, che
valuta l'entità del rischio di credito, si divide in due principali
categorie: il rischio commerciale ed il rischio paese, ma non misura altri
tipi di rischi quale il rischio di tasso o di cambio, ecc. La valutazione
della capacità del debitore di far fronte al rimborso del proprio debito
finanziario viene fornita ricorrendo ad una scala alfabetica, che va da un
valore massimo ad uno minimo
Un monitoraggio effettato dall'Adusbef su oltre 1.000 “report” (consigli
per gli acquisti o per le vendite su titoli e/o azioni) emessi a pagamento
(quindi con un potenziale conflitto di interessi, a volte anche quando non
è stato richiesto) dalle maggiori agenzie di rating, anche di origine
bancaria, ha rappresentato la prova provata che tali rapporti sono
risultati sballati al 91 per cento,efficaci al 9 per cento. Quando le
agenzie diffondono su internet, tramite lettere finanziarie o stampa
specializzata,i loro reports su società quotate, i consigli (ad
acquistare: buy; vendere: sell; o tenere: hold ) 9 volte su 10 si sono
rilevati vere e proprie bufale a danno dei risparmiatori i quali, seguendo
quei non proprio disinteressati consigli,hanno messo a repentaglio il
frutto del loro sudato risparmio, con perdite maggiori rispetto alla loro
normale capacità di investimento.
Le società di rating,poiché sono pagate dai committenti e non dagli
investitori,sono portatrici di un conflitto di interessi, che ha mostrato
tutta la sua evidenza negli scandali finanziari mondiali: dalle Enron e
Worldcom alla Parmalat.
Il 19 ottobre 2006, 2 delle 3 agenzie di rating internazionali che
agiscono in regime di oligopolio, hanno deciso di declassare l'Italia,
hanno dato voluto cioè dare un voto negativo alla capacità dell'Italia di
gestire la sua economia. Non è la prima volta che questo accade, anche in
presenza di governi di differente orientamento politico. E' un voto che
solitamente ha drammatiche conseguenze economiche e sociali. Delle tre
agenzie, la Standard & Poors, la Fitch e la Moody's, questa volta le prime
due hanno ritoccato negativamente il loro voto, mentre per il momento la
terza lo ha mantenuto invariato. Le motivazioni della “pagella” sono
sempre di una ripetitività e di una banalità quasi disarmanti: i tagli
nelle spese di bilancio non sono sufficienti e la “riforma delle pensioni”
(leggi privatizzazione delle pensioni) va troppo a rilento. Sono giudizi,
ripetuti in salse un po' diverse, che sono stati emessi per tutti, siano
questi paesi industrializzati o nazioni in via di sviluppo. L'effetto
immediato del voto negativo è un aumento dei tassi di interesse per
“ricomprare” la fiducia dei sottoscrittori di obbligazioni e di altre
forme di credito, per cui tutto il debito pubblico e privato di una
nazione costa subito di più (la stima del declassamento italiano,
calcolata da Adusbef,è pari a circa 3,3 miliardi di euro), con ricadute
negative sul bilancio statale e con l'aggiunta di ulteriori tagli alla
spesa sociale. Per le nazioni più deboli, queste decisioni provocano anche
una caduta del valore di scambio della moneta, con effetti devastanti
sulle importazioni (che costano di più), sulle esportazioni (che valgono
di meno) del paese, sul suo bilancio statale e sui livelli di vita della
popolazione.
Con la deregolamentazione dell'economia, soprattutto dall'inizio degli
anni novanta, queste agenzie sono diventate il “grande fratello”
finanziario e hanno progressivamente accumulato un potere immenso,
superiore a quello degli stati e delle banche centrali, sia nella
valutazione delle politiche dei governi che dell'andamento economico di
qualsiasi entità privata, determinando le decisioni di tutti gli attori
economici. All'inizio le agenzie offrivano, a pagamento, ai detentori di
titoli di credito i loro giudizi sul comportamento dei debitori. Adesso
persino i debitori pagano per avere un “voto” prima di emettere
un'obbligazione o attingere a qualsiasi altra forma di credito. Senza il
voto delle agenzie, economicamente non si esiste più. Per poter comprare o
vendere, per prendere o dare a prestito, bisogna pagare il “pizzo” per
ricevere la protezione o il semplice riconoscimento da parte di questi
nuovi potentati.
Prima di tutto va sottolineato che le tre maggiori agenzie di rating (le 3
sorelle) sono delle entità private strutturate come società per azioni e
quindi parte della logica di mercato e sottoposte al principio del massimo
profitto possibile. Inoltre, e risulterà chiaro da una sintetica analisi
delle loro strutture dirigenziali, le “tre sorelle” hanno partecipazioni
dirette, anche attraverso i membri dei loro consigli direttivi, Board of
Directors, delle più grandi corporations internazionali e delle più grandi
banche internazionali, pesantemente coinvolte nelle operazioni di finanza
derivata, cioè in quelle speculazioni finanziarie principalmente
responsabili delle bolle speculative e dell'attuale crisi finanziaria
sistemica globale.
1) La Standard & Poor's (S&P) è sussidiaria della multinazionale
McGraw-Hill Companies, con sede centrale a New York, colosso delle
comunicazioni, dell'editoria, delle costruzioni e presente in quasi tutti
i settori economici. La multinazionale, proprietaria anche di Business
Week, nel 2005 vantava un fatturato di 6 miliardi e un profitto di 844
milioni di dollari. Il presidente di McGraw-Hill è Harold McGraw III, che
è, tra le altre cose, contemporaneamente membro del Board of Directors
della United Technology (multinazionale degli armamenti) e della
ConocoPhillips (petrolio ed energia). È stato anche membro del “Transition
Advisory Committe on Trade” del presidente George W. Bush, padre
dell'attuale capo della Casa Bianca.
Tra i membri del Board of Directors della McGraw-Hill, che decidono quindi
anche dell'attività della S&P, troviamo:
Sir Winfried Bishoff, presidente della Citigroup Europa e uomo di punta
della Henry Schroder Bank di Londra;
Dougals N. Daft, presidente della Coca Cola Co.;
Hilde Ochoa-Brillenmbourg, alto responsabile della Credit Union del
FMI-World Bank;
James H. Ross, della British Petroleum;
Edward B. Rust Jr., presidente della'assicurazione State Farm Insurance
Company (gigante del settore assicurativo, bancario e immobiliare, sotto
scrutinio per le politiche troppo disinvolte dopo l'urgano Katrina),
direttore della Helmyck & Payne, colosso del settore petrolifero e già
membro del Transition Advisory Team Committee on Education della
presidenza di George W. Bush (padre);
Sidney Taurel, presidente della farmaceutica Eli Lilly (che in passato ha
vantato tra i suoi dirigenti anche Kenneth Lay, condannato per la
bancarotta della Enron) e direttore dell'IBM, già membro nel 2002 dell'Homeland
Security Advisory Council (l'apparato dell'antiterrorismo).
2) L'agenzia di rating Fitch di New York è sussidiaria della
multinazionale dei servizi finanziari Fimalac, con sede centrale a Parigi.
Nel 2005 la multinazionle americana delle comunicazioni Hearst Corporation
ha rilevato il 20% del pacchetto azionario.
Il suo presidente è Marc Ladreit de Lacharriere, uomo della Renault e
della Banque Suez.
Tra i membri del Board of Directors troviamo:
David Dautresme della banca Lazard Freres;
Philippe Lagayette della JPMorgan & Cie;
Bernard Mirat della Cholet-Dupont (finanza);
Bernard Pierre della Fremapi (metalli preziosi).
La Fimalac vanta anche un International Advisory Board per dare più lustro
e potere alla multinazionale, che nel 2002 annoverava tra gli altri: Felix
Rohatyn della Lazard Freres, l'uomo che ha recentemente smantellato
l'industria americana dell'auto, Sholley della UBS Warburg, Reimnits della
Kommerz Bank, Peberan della Parisbas, rappresentanti della Nestlè, della
Bentelsmann e anche l'ex presidente della Federal Reserve americana Paul
Volker e l'italiano Lamberto Dini.
3) L'agenzia di rating Moody's è sussidiaria della Moody's Corporation,
con sede centrale a New York. Il presidente è Raymond W. McDaniel Jr.
Tra i membri del Board of Directors troviamo:
Basil L. Anderson della Stables Inc. e della Hasbro Inc (due giganti del
settore vendite e servizi);
Robert Glauber della ING Group (settore bancario e assicurativo con base
in Olanda), già sottosegretario del ministero delle finanze americano nel
periodo 1989-92;
Henry Mc Kinnell, della multinazionale farmaceutica Pfizer e della Exxon
Mobil (petrolio);
Nancy S. Newcomb della Citigroup e della Sysco Corporation (settore
alimentare);
John K. Wulff, della multinazionale chimica Herculer, della KPMG (la
multinazionale di consulenza finanziaria e di certificazione dei bilanci),
della Sunoco (petrolio) e della Fannie Mae (che insieme alla Freddie Mac
detiene quasi per intero il pacchetto ipotecario immobiliare americano la
cui bolla è al punto di esplodere).
Le “tre sorelle” del rating quindi, non sono solamente l'espressione
dell'intreccio dominante delle multinazionali, ma in particolar modo sono
una struttura organizzata delle principali banche del pianeta che
controllano il sistema finanziario e debitorio delle nazioni e di tutti i
settori dell'economia sia privata che pubblica. Ma la cosa che si vuole
con precisione sottolineare è l'influenza determinante esercitata sulle
“tre sorelle” da quella finanza altamente speculativa che è responsabile
della gigantesca bolla in derivati finanziari che ha precipitato il mondo
intero in un processo di crisi sistemica.
Secondo i rapporti della Banca dei Regolamenti Internazionale (BRI) di
Basilea, la banca di coordinamento di tutte le banche centrali, alla fine
di dicembre 2005 solamente il totale del valore nozionale di tutti i
derivati finanziari Over The Counter (OTC), cioè quelli che non appaiono
sui bilanci delle banche e finanziarie che li sottoscrivono, aveva
raggiunto i 284.819 miliardi di dollari, cioè sette volte il PIL mondiale
( alla fine del 2003 era di 197.167 miliardi, cioè quasi 100.000 miliardi
in più solamente in 24 mesi!). Queste sono operazioni finanziarie
altamente speculative, soprattutto scommesse sugli andamenti futuri dei
tassi di interesse, che hanno già portato l'intero sistema in crisi con il
fallimento del fondo LTCM nel 1998 e continuano a scuotere quotidianamente
il sistema finanziario e monetario, ultimo il fallimento per 6,5 miliardi
di dollari del fondo americano Amaranth (con ricadute negative anche sui
fondi gestiti italiani,dal san Paolo Imi alle Generali). Si noti che alla
vigilia della crisi del 1998 il totale dei derivati OTC era di 28.000
miliardi di dollari.
Secondo l'ente statale di controllo sul denaro circolante negli USA, il
Comptroller of the Currency, a fine giugno 2006 la JPMorgan vantava da
sola un valore nominale di derivati OTC pari a 57.300 miliardi di dollari
(cinque volte il PIL americano) e la Citigroup vantava 25.327 miliardi di
dollari in derivati OTC. Anche le altre banche sono pesantemente coinvolte
in queste operazioni sebbene seguano a grande distanza questi due colossi
della speculazione finanziaria.
Tutto questo ci porta a concludere che le “tre sorelle” non sono solamente
squalificate nella pretesa di valutare la solidità economica e finanziaria
degli stati e delle imprese, ma che sono parte integrante del problema che
sta portando il mondo economico verso il crack e la crisi sistemica con
conseguenze devastanti per l'intera vita economica, sociale e politica del
pianeta. Questa riflessione non si deve fermare al rifiuto delle ricette
imposte dalle agenzie, ma deve sollecitare un'azione, coordinata
internazionalmente, per ridefinire le regole e i progetti per un nuovo
sistema monetario e finanziario internazionale, per una nuova Bretton
Woods
[vedi
nota] capace
di promuovere un nuovo ordine economico mondiale più giusto. Lo scorso 6
aprile 2005 la Camera dei Deputati ha approvato una mozione per una nuova
Bretton Woods presentata dall'On. Mario Lettieri della Margherita,attuale
sottosegretario all'Economia, sostenuta da cinquanta parlamentari di tutti
i partiti. Bisogna continuare con queste iniziative fino ad arrivare ad un
coordinamento internazionale e convocare una conferenza di capi di stato e
di governo che rimetta l'economia sui binari dello sviluppo reale, che
ridia al credito il suo ruolo produttivo, mettendo la speculazione e la
deregolamentazione in una situazione di non nuocere.
STRUMENTI DERIVATI: 350 TRILIONI DI DOLLARI USA (IN ITALIA 5 MILIARDI DI
EURO 3 VOLTE IL PIL), DEVONO SUSCITARE ALLARME DELLE AUTORITA' MONETARIE
MONDIALI. LA “BOMBA ATOMICA” FUORI CONTROLLO DELLA FINANZA DERIVATA (VERE
E PROPRIE SCOMMESSE CLANDESTINE CON BANCHE ALLIBRATRICI CHE LUCRANO, CON
LA SPECULAZIONE 25 MILIARDI DI DOLLARI ANNUI DI COMMISSIONI), RISCHIA DI
SEPPELLIRE CON L'ESPLOSIONE LE ECONOMIE PIU' SANE DEGLI STATI.
L'INTRODUZIONE DELLA TOBIN TAX (*) POTREBBE: REGOLAMENTARE SCOMMESSE
CLANDESTINE FUORI CONTROLLO E FINANZIARE I PAESI POVERI DEPREDATI.
Le economie degli Stati nei mercati globali poggiano sulla “bomba atomica”
dei derivati, strumenti di finanza speculativa rispetto a cui le banche
sono esposte per circa 350 mila miliardi di dollari, secondo l'ultimo
rapporto disponibile del Comitato di Basilea per la supervisione bancaria
e su Iosco. Non è ancora possibile definire con esattezza il giro d'affari
che tale Business può generare in un anno - perché le banche d'affari non
pubblicano i flussi derivanti dai singoli clienti di hedge funds - ma è
possibile capire da dove sono arrivati consistenti flussi di cassa per le
banche d'affari .Il mondo Hedge, allo stato attuale, dovrebbe possedere
una dote pari a circa 1.000 miliardi di dollari di Assets Under Management
che generano 25 miliardi di dollari in commissioni bancarie o il 2.5% per
il patrimonio gestito; se a tutto questo aggiungiamo le commissioni di
gestione ci si aggira attorno ad un 5% l'anno. Un altro elemento da non
sottovalutare, viste le cifre, è quello dell'ormai eccessiva
interdipendenza - in termini di profitti - tra banche d'affari e modo
degli Hedge Funds, un evidente ed eclatante conflitto d'interessi: le
banche d'affari vendono Hedge Funds, gestiscono Hedge Funds, concedono
prestiti per investirvi e operano in hedge attraverso i propri trading
desk, le banche d'affari sembrano più che altro una sorta di investitori
geneticamente modificati: investono con se stesse.
Il volume delle operazioni finanziarie derivate continua ad aumentare. La
Federal Deposit Insurance Corp. (FDIC, l'ente che garantisce i depositi
bancari USA) ha calcolato il valore nozionale delle operazioni in derivati
delle banche commerciali USA a 101.900 miliardi di dollari, mentre la
sovrintendenza sul denaro circolante, Office of the Comptroller of the
Currency (OCC), riferisce che le prime 25 banche USA detenevano alla fine
del 2005 contratti derivati per 105.000 miliardi di dollari.
La Banca per i Regolamenti Internazionali (BRI) di Basilea ha reso noto il
30 giugno 2005 che i derivati trattati over-the-counter, cioè non
registrati, ammontavano a 270 mila miliardi e i derivati trattati in borsa
ammontavano a 58 mila miliardi. Il totale era dunque di 328 mila miliardi
di dollari, e per la fine dell'anno la proiezione lineare della BRI
prospettava un totale di 360-365 mila miliardi. In testa c'è sempre la JP
Morgan, con 48.600 miliardi (valore nozionale dei contratti aperti). Nel
corso del 2005 l'aumento sarebbe stato di “soli” 3.600 miliardi, cioè
l'8%, rispetto ai 7.600 miliardi (20%) del 2004. Al secondo posto c'è
Citigroup con 23.200 miliardi a fine del 2005 (+ 18% sull'anno
precedente), meno del 54% registrato nel 2004. I derivati della Bank of
America erano 22.200 miliardi all'inizio dell'anno, con un aumento del 24%
nel 2005 e del 18% nel 2004.
L'aumento più vistoso è quello dei derivati sul credito, che sono quasi
raddoppiati tra la metà del 2004 e la metà del 2005, secondo le cifre
della International Swaps and Derivatives Association (IDSA). Al 30 giugno
2006 gli swaps e le options sui tassi d'interesse e sulla moneta riferiti
dall'ISDA ammontavano a 213 mila miliardi, con un aumento annuo del 16%
(29.600 miliardi). Nello stesso periodo gli swaps sulle insolvenze
creditizie (derivati sul credito) sono aumentati di 4.000 miliardi, ovvero
del 48%. Quattro anni prima i derivati sul credito ammontarono a 919
miliardi. Mentre il Presidente della SEC americana ha annunciato di aver
messo sotto controllo il mercato dei derivati e degli hedge fund USA e Bce,
Adusbef ha inviato numerose richieste a Bankitalia e Consob volte ad
approfondire, alcune segnalazioni ricevute, secondo cui anche il sistema
bancario italiano sembra stia facendo un massiccio ricorso agli strumenti
derivati per ricoprire esposizioni finanziarie assunte sui mercati
internazionali, anche su quelli obbligazionari di Stati sovrani a rischio
di insolvenza,e di tenere quindi sotto stretta osservazione un fenomeno
potenzialmente pericoloso che potrebbe provocare, soprattutto nella
attuale fase di recessione economica, effetti a catena indesiderati tali
da travolgere, in un effetto domino, l'economia reale e il sudato
risparmio impiegato.
L'Isda (International Swaps and Derivatives Association) ha infatti
calcolato che a giugno 2006 l'ammontare nominale dei derivati di credito
ammontava a 26 mila miliardi di dollari, in crescita del 109% rispetto
all'anno precedente. Più consistente la dimensione del mercato dei
derivati sui tassi (interest rate swap e cross-currency swap) che
raggiunge la cifra astronomica di 250 mila miliardi di dollari. Anche la
Banca d'Italia ha segnalato che dalla fine del 2004 a quella del 2005
l'ammontare nozionale dei contratti derivati è passato da 5.285 a 5.899
miliardi di dollari. Si tratta di numeri da capogiro che rischiano di
rendere più esposte le borse mondiali ad eventi imprevedibili e
occasionali.
La situazione si fa ancora più preoccupante se si considera che i più
grandi istituti di credito del mondo sono esposti notevolmente alle
fluttuazioni di questo mercato. Secondo i dati forniti dalla Comptroller
of the Currency, l'esposizione dell'americana Jp Morgan Chase raggiunge i
57 mila miliardi di dollari: una cifra pari a 350 volte la
capitalizzazione di borsa della società e a più di quattro volte il Pil
degli Stati Uniti. Nella classifica delle banche più esposte in contratti
derivati figurano però anche Citibank (25 mila miliardi di dollari), Bank
of America (24 mila mld), Wachovia Bank (4 mila mld) e Hsbc (4 mila mld di
dollari). A questo punto la domanda è: cosa succederebbe se un evento
inatteso (come già se ne sono visti nel Novecento) procurasse un crollo di
questo mercato ? Il rischio è un effetto domino che potrebbe colpire i
mercati finanziari internazionali e arrivare a piegare l'economia di molte
nazioni.
Non si tratta neanche di uno scenario di fantasia se si ricorda il caso di
Long Term Capital Management. Si trattava di un hedge fund gestito da due
premi Nobel che fu messo in ginocchio dalla crisi del debito russo in
virtù della sua esposizione in derivati da 1.300 miliardi di dollari. Alla
fine ci pensò Alan Greenspan che chiamò a raccolta le maggiori banche
internazionali per salvare la baracca. Ma oggi, vista l'esposizione da ben
57 mila miliardi di dollari della JPMC, chi potrebbe salvare la finanza
mondiale da una nuova crisi del mercato dei derivati?
Derivati: dati globali (Fonte BRI-Banca Regolamenti
Internazionali)
[Valori nominali, in miliardi di dollari USA]
Derivati: dati globali (Fonte BRI-Banca Regolamenti Internazionali)
[Valori nominali, in miliardi di dollari USA]