L’associazione italiana malati di Alzheimer (AIMA) mi ha
scritto una lunga lettera per richiamare l’attenzione degli
italiani e delle istituzioni su questa malattia. Ci sono ben 800.000
malati in Italia. Mia madre fu una di loro. Si ammalò a 49 anni e morì
dodici anni dopo suonando il piano, la musica fu il suo ultimo ricordo.
Nel 2002 l’AIMA
commissionò un filmato a Tornatore che lo ambientò in Parlamento.
Il film non fu trasmesso dalla Rai e da Mediaset. Publitalia
rispose : “Non ci sono spazi”. La Sipra, che gestisce la
pubblicità della Rai, preferì il silenzio. I politici, con rare eccezioni, si
ritennero offesi dell’accostamento. Il filmato è da oggi presente sul blog.
“Caro Beppe,
è passato da poco il 21 settembre (Giornata Mondiale Alzheimer) e vorrei fare
alcune considerazioni ad un pubblico (il tuo) che so attento e sensibile.
Quando, quasi 23 anni fa, ho fondato l’AIMA, sapevo della malattia di Alzheimer
solo quello che era capitato a mia madre e a me nei precedenti due anni: sapevo
che era una malattia devastante, che aveva distrutto oltre al
cervello e alla vita di mia madre, anche, totalmente, la mia
vita. Avevo scoperto che in Italia pochissimi medici conoscevano la malattia,
nonostante ci fossero (allora) circa 300.000 malati; avevo
scoperto che non c’erano possibilità di cura o terapia e, soprattutto, che il
Sistema Sanitario Nazionale ignorava totalmente l’esistenza del
problema e quindi anche la sua portata; e scoprivo, giorno dopo giorno, che
l’abbandono, l’isolamento, la disperazione, erano condivisi da tutti i familiari
dei malati.
Per AIMA i dieci anni successivi, sono stati fondamentali per conoscere e capire
la malattia, come si aiuta il malato, come si deve comportare il familiare. La
nostra conoscenza, la nostra consapevolezza, il nostro cogliere ogni occasione
per parlare del problema, il nostro bussare a ogni porta costantemente e
insistentemente, ha reso a tal punto visibile il problema Alzheimer che si è
stati indotti a pensare che la cura del demente fosse cosa fatta. Invece, nella
seconda metà degli anni Novanta si è raggiunta la certezza che la ricerca non
avrebbe in tempi brevi portato a risultati clamorosi e risolutori, e i sistemi
di welfare hanno preso coscienza della propria
incapacità organizzativa e soprattutto dei propri limiti
economici.
Sono passati altri anni (quasi 9), e il “diario di bordo” riporta alcune novità:
è stato fatto il progetto Cronos che non era esattamente ciò
che avevamo chiesto, aveva un gran numero di difetti ingigantiti con il tempo,
(la volontà di contenere l’uso dei farmaci, a fine di risparmio, è diventata via
via più evidente), ma aveva il pregio di cominciare a disegnare una rete, e a
diffondere competenza sul territorio. Poi il Cronos si è concluso ed è stato
tradotto nella nota 85 (ancora restrizioni per i malati di
Alzheimer): la rete di competenza (la rete delle UVA), ha mostrato i suoi limiti
e benché abbia tentato di affrancarsi dal protocollo e fare un significativo
salto di qualità, la totale e generalizzata mancanza di risorse ha impedito che
questo avvenisse.
Ma c’è altro da segnalare: nelle regioni, i Piani socio-sanitari sono
risultati impermeabili ai bisogni dei malati di Alzheimer e dei loro
familiari e anzi, per motivi squisitamente economici, si arretra rispetto a
sensibilità che sembravano acquisite.
Non è stato posto freno alla speculazione dei privati
soprattutto nei servizi, anzi, “privatizzando” strutture pubbliche (ex-IPAB),
spesso al collasso economico, queste sono state svuotate di contenuti e
competenza per poter essere (economicamente) competitive. Non
sono state create le reti (integrate) di servizi
promesse, né quelle strutture di riferimento e competenza tanto necessarie alla
medicina del territorio e alla famiglia. Non sono state attuate
facilitazioni fiscali (ad es. risparmio sui consumi…) per le famiglie
che assistono a casa un malato di Alzheimer, né è stato reso più conveniente
farsi aiutare da una badante piuttosto che appoggiarsi ad una struttura.
Non sono stati messi in atto quegli strumenti di controllo,
necessari tanto più lo Stato è assente e affida ai privati l’assistenza dei più
deboli. Non è stato affrontato il problema del “familiare che cura”
e che deve lasciare il lavoro per curare il suo malato, né sono stati approntati
strumenti adeguati per permettergli di mantenere il suo lavoro.
Non è stata promossa la ricerca né tanto meno vi sono stati
finanziamenti ad hoc.
... Per dare ai malati di Alzheimer quello cui hanno diritto, bisogna RIVOLTARE
la sanità. Non ti sto a raccontare quello che ormai conoscono tutti: la
popolazione invecchia, le malattie degenerative sono l’epidemia di oggi e di
domani, i numeri sono spaventosi (800.000 malati solo in Italia…),
ma ti faccio una domanda: ha senso una sanità pubblica centrata sull’acuzie, se
il bisogno della popolazione è la cura della cronicità?
... Il Ministro della Salute in carica è particolarmente attento e sensibile ai
problemi della popolazione fragile (puoi credermi! ne ho conosciuti tanti…): ma
avrà il coraggio di decisioni forti quali sono quelle che
servono? E i normali cittadini (come me e te) sapranno darglielo il coraggio che
la politica forse non le dà? Grazie, Beppe. (Ma, ne sono convinta, non è finita
qui).” Patrizia Spadin, AIMA,
www.alzheimer-aima.it
Leggi la lettera completa dell’Aima
Archivio Salute
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