A pochi giorni dalla presentazione della legge Finanziaria si stanno facendo
più chiari i contorni della manovra. Sulla sanità è stato raggiunto un accordo
"normativo e programmatico" tra Governo e Regioni di durata triennale. In cambio
di un esborso finanziario da parte dello Stato di quasi 6 miliardi in più nel
2007 rispetto al 2006, il nuovo patto prevede di stabilizzare la spesa sanitaria
al 6,7 per cento del Pil per il periodo 2007-2009, contro un "tendenziale" che
secondo le stime del governo l’avrebbe mantenuta nel prossimo triennio al
livello già raggiunto nel 2006, il 6,9 per cento del Pil. Nel 2007, la spesa per
la sanità dovrebbe dunque contrarsi di circa 700 milioni di euro rispetto al
2006, e di circa 2,4 miliardi rispetto al tendenziale previsto. Gli interventi
non sono indicati in dettaglio nel documento, ma si intuisce che il governo ha
in mente nel breve periodo azioni sui farmaci e sui ticket ospedalieri, e in
prospettiva sui livelli essenziali di assistenza e sull’organizzazione dei
servizi. A fronte del maggiore esborso finanziario, il governo ottiene di
mantenere l’incremento automatico delle addizionali regionali Irpef e Irap per
le Regioni che non rispettassero il patto, sanzione già introdotta l’anno scorso
da Giulio Tremonti, oltre a un loro "affiancamento" nella gestione dei servizi
da parte del ministero della Sanità. Che giudizio dare sull’accordo?
Il "patto per la salute" In linea di massima l’accordo non si discosta molto
dai numerosi "patti" siglati in passato tra Stato e Regioni e spesso disattesi
in pratica. Si stanziano più risorse ora, in cambio di promesse di riduzioni di
spesa domani, peraltro assai ambiziose: implicano un taglio in termini nominali
nel 2007 rispetto al 2006 – un risultato mai ottenuto nella storia italiana,
eccetto che nel 1995 in piena crisi finanziaria – e una contrazione rispetto a
un tendenziale per il 2007-9 che era apparso già ottimistico, alla luce del
tasso di crescita registrato dalla spesa sanitaria negli ultimi anni (un
problema comune alle previsioni a legislazione vigente. Tutto sta a vedere se i
risparmi verranno effettivamente ottenuti. In assenza di indicazioni più precise
sugli interventi previsti, si può per ora solo sospendere il giudizio. Sul piano
politico, il governo raggiunge una vittoria importante: ottiene il consenso dei
governatori al mantenimento delle sanzioni automatiche, e a una perdita di
sovranità (l’"affiancamento") per le Regioni inadempienti. Sono sanzioni
"pesanti", capaci di incidere davvero sui comportamenti dei governi regionali.
Di nuovo, però, bisognerà vedere se si avrà il coraggio politico di infliggerle
davvero. Il fatto che dei 6 miliardi di euro di finanziamento statale in più
previsti nel 2007 rispetto al 2006, uno sia dedicato esplicitamente alle Regioni
risultate inadempienti in passato, suscita qualche perplessità a riguardo. Ma
perché la sanità è da sempre una spina nel fianco dei governi? I fatti
Sgombriamo subito il campo da alcuni equivoci. Primo, si afferma spesso che non
c’è un vero "problema sanità" in Italia, visto che il livello della spesa sul
Pil non è dissimile, anzi è spesso inferiore, rispetto a quello che si registra
in paesi con caratteristiche demografiche e economiche simili al nostro. È vero.
Secondo Eurostat, la spesa sanitaria pubblica in Italia nel 2004 era al 6,5 per
cento del Pil, contro il 6,7 per cento di Svezia e Regno Unito, che hanno
sistemi sanitari pubblici simili al nostro, e il 7 per cento di Francia e il 5,9
per cento in Germania, dove invece il ruolo delle assicurazioni obbligatorie è
maggiore. Ma il problema naturalmente non è quanto spendiamo in assoluto, ma
quanto possiamo permetterci di spendere considerate le condizioni della finanza
pubblica. Si può benissimo decidere di aumentare la spesa per la sanità, ma
allora si deve indicare quali altre voci si intendono tagliare, essendo
improponibili ulteriori incrementi di imposte. Secondo, c’è un’anomalia tutta
italiana. Mentre la maggior parte degli altri paesi sono riusciti a
stabilizzarla, da noi la crescita della spesa sanitaria sul Pil continua
inarrestabile. Tra il 2000 e il 2005, è aumentata di un punto percentuale sul
Pil, dal 5,7 al 6,7 per cento, e nel 2006 si prevede arrivi al 6,9 per cento del
Pil. Non sembra possibile sostenere che tutto ciò sia imputabile esclusivamente
a fattori strutturali, quali la mancata crescita, il progressivo invecchiamento
della popolazione o l’aumento dei costi per il miglioramento delle tecnologie
mediche. Terzo, un’abbondante evidenza empirica suggerisce che esistono ampie
sacche di inefficienza nel sistema sanitario, in particolare di alcune Regioni.
Per esempio, stime recenti basate su tecniche di benchmarking parlano di sprechi
di risorse dell’ordine del 20-30 per cento in media per gli ospedali di diverse
regioni italiane. (1)
Il governo della sanità
Il caso italiano è anomalo anche perché prevede un doppio livello di governo
nella determinazione della spesa sanitaria. Mentre il finanziamento del sistema
è ultimamente deciso dal governo centrale, sono le Regioni che gestiscono
l’offerta dei servizi. Questo rende problematica l’attribuzione di chiare
responsabilità politiche ai diversi livelli di governo e genera un contenzioso
infinito tra Regioni e Stato centrale. Le prime accusano il secondo (con qualche
ragione) di sottofinanziare volutamente la sanità; il secondo (con altrettanta
ragione) accusa le seconde di sprecare risorse preziose. Sul piano finanziario,
il contenzioso ha spesso preso la forma di accumuli di debiti da parte delle
aziende sanitarie regionali, in larga misura coperti ex post dallo Stato
centrale. E, a loro volta, le aspettative di finanziamenti futuri disincentivano
le Regioni a controllare oggi efficientemente la loro spesa. Inoltre, nonostante
la presenza di "formule" varie, anche l’attribuzione primaria dei fondi sanitari
tra Regioni è soggetta a una contrattazione continua che spesso riflette più
aspetti politici che esigenze effettive, e differenziate, di risorse. Da questo
punto di vista, per esempio, è un problema che del come strutturare il
finanziamento della sanità e come ripartire le risorse tra le Regioni non si
trovi traccia nel "patto per la salute". È questo pasticcio istituzionale che
rende particolarmente complesso gestire la sanità nel nostro paese e che crea le
premesse per l’instabilità finanziaria.
Per una programmazione reale della spesa
Per uscire da questa situazione, è necessario superare i limiti di una
programmazione puramente finanziaria della spesa e ancorarla invece a dati
oggettivi. Si deve cioè avere il coraggio di fare quanto non si è fatto finora:
definire con chiarezza quali sono i livelli essenziali di assistenza sanitaria
che ciascuna Regione deve fornire; quantificarli, ovvero stabilire a livello
centrale e in contraddittorio con le Regioni, l’ammontare di risorse necessarie
per offrire i servizi in modo efficiente, basando la quantificazione su analisi
empiriche serie e sulla definizione di best practice; finanziare le Regioni in
modo appropriato, perché ciascuna abbia risorse sufficienti a garantire i
servizi. Regioni che vogliono finanziare più servizi di quelli essenziali, li
finanziano a parte con le proprie risorse; Regioni che riescono a offrire i
servizi essenziali a costi inferiori di quelli standard, incamerano la
differenza. In questa prospettiva, anche il controllo da parte del centro deve
superare la logica di una verifica puramente finanziaria, per assumere quello di
un controllo sulla qualità dei servizi offerti, predisponendo sistemi di
incentivi e penalizzazioni appropriati. A loro volta, i livelli essenziali di
assistenza devono essere definiti sulla base delle risorse disponibili, non
viceversa: sono necessariamente solo quelli che decidiamo di poterci permettere.
Il futuro
Il testo del patto appena siglato mostra che vi è coscienza di queste
esigenze. Per esempio, vi si parla espressamente di "analisi dei costi delle
prestazioni ricomprese nei Lea, assumendo come riferimento i costi delle
pratiche più efficienti", nonché dell’introduzione di un adeguato sistema di
monitoraggio. È bene che alle intenzioni seguano i fatti, o i risparmi saranno
puramente illusori.
(1) Per quanto riguarda i contributi pubblicati in italiano si vedano per
esempio C. Canta, M. Piacenza e G. Turati, "Riforme del Ssn e dinamica
dell’efficienza ospedaliera in Piemonte", Politica Economica, n. 2, agosto 2006,
e D. Fabbri, "Riforma sanitaria e produzione ospedaliera", Politica Economica,
n. 1, aprile 2000
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