Il disegno di legge delega sul riordino dello stato giuridico e
del reclutamento dei professori universitari, o decreto Moratti, cambia le
regole del reclutamento dei ricercatori con l’introduzione di contratti
di lavoro a tempo determinato. È ragionevole pensare che l’abolizione
de facto della sicurezza del posto di lavoro si accompagnerà, perlomeno
nell’immediato futuro, al mantenimento di modesti livelli retributivi, a
causa dei vincoli di bilancio imposti dalla necessità di contenere la
dinamica della spesa pubblica.
Il processo di femminilizzazione
Minore sicurezza a parità di retribuzione vuol dire che le posizioni
di ingresso alla carriera universitaria diventeranno per molti meno
appetibili. Un possibile effetto è quello di indurre solo chi ha
talento o motivazioni tali da ottenere un rapido avanzamento di carriera a
scegliere la professione universitaria e di scoraggiare gli altri. Un
altro possibile effetto è quello di attrarre chi ha risorse economiche,
personali o familiari, tali da compensare il basso livello di reddito.
Riteniamo che questo peggioramento nelle condizioni lavorative dei
ricercatori possa anche influenzare la distribuzione di genere dei
docenti universitari, e rafforzare il processo di femminilizzazione nella
fase di ingresso alla carriera universitaria. Va sottolineato come questo
processo sia già presente nell’università italiana, dove il 39,3 per
cento dei ricercatori sono donne, a fronte del 19,1 per cento dei
professori. Tale sovra-rappresentazione delle donne nel ruolo di
ricercatrici mette in luce l’esistenza di una segregazione di tipo
verticale nel mercato del lavoro della docenza universitaria. Il
processo di segregazione di genere va di solito a braccetto con basse
retribuzioni e condizioni di lavoro meno favorevoli. Non è chiaro,
tuttavia, se saranno i bassi salari a rendere socialmente poco
desiderabile il ruolo del ricercatore, creando così spazi lavorativi per
le donne. Oppure, se sarà la forte presenza femminile nel livello più
basso della docenza universitaria a ridurne il valore economico, a causa
di pregiudizi sociali.
Lo scenario del rafforzamento associato al peggioramento relativo delle
condizioni lavorative dei ricercatori non ci sembra affatto remoto se si
considera quello che è avvenuto nelle scuole italiane nel corso degli
ultimi anni. Durante il periodo 1993-2000, infatti, la componente
femminile del corpo docente della scuola è cresciuta del 5 per cento,
raggiungendo il 77 per cento dell’organico, accompagnata da una
sensibile diminuzione delle retribuzioni reali. (1)
In parte, questo processo può essere imputabile al fatto che le
retribuzioni delle donne insegnanti rimangono comunque superiori alle
retribuzioni ottenibili da altri lavori dipendenti, contrariamente a
quanto avviene per gli uomini. La tabella qui sotto, tratta
dall’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane della Banca
d’Italia, mostra infatti come nel 1995 la retribuzione netta annua di
un’insegnante donna sia stata superiore dell’8,1 per cento alle
retribuzioni degli altri lavori dipendenti, mentre la retribuzione netta
annua di un insegnante uomo nello stesso anno sia stata del 4,5 per cento
inferiore. Tale "vantaggio" delle donne insegnanti è andato
comunque scemando negli ultimi anni, come mostra il dato per il 2002.
Tabella 1. Retribuzioni nette annue degli insegnanti, relative alle
retribuzioni di altri lavori dipendenti.
|
1995
|
2002
|
|
Retribuzione relativa netta annua
|
Retribuzione relativa netta annua
|
Uomini
|
0.955
|
0.948
|
Donne
|
1.081
|
1.023
|
|
|
|
Fonte: Banca d’Italia, Indagine sui bilanci delle famiglie
italiane
Il doppio binario
Una bassa retribuzione del lavoro di ricercatore, oltre a segnalare
il modesto valore sociale che il nostro paese riconosce a questa
professione, ne riduce il prestigio, soprattutto per i giovani di
maggior talento. Il mercato del lavoro della ricerca, al pari di molti
altri mercati, privilegia la componente maschile: il 40 per cento della
popolazione europea con un dottorato di ricerca è donna, ma solo un
terzo diventano ricercatrici nel settore pubblico e un quinto nella
ricerca privata. (2)
È dunque lecito ipotizzare che il prestigio sociale della professione
universitaria si ricrei attraverso la formazione di un doppio binario
professionale: una base flessibile e prevalentemente femminile di
ricercatori, disposta ad accettare basse retribuzioni e scarse
possibilità di carriera e un vertice prevalentemente maschile,
formatosi spesso all’estero e in grado di acquisire quelle competenze
professionali e relazionali necessarie per accedere alle reti e ai fondi
di ricerca internazionali. Fattore, quest’ultimo, importante perché
in grado di influenzare sensibilmente la qualità e il prestigio
professionale. Riteniamo che una delle possibili conseguenze del decreto
Moratti sia quella di accentuare questo doppio binario, e che lo spazio
per le donne verrà prevalentemente confinato a situazioni
caratterizzate da basse retribuzioni combinate con una minor sicurezza
del posto di lavoro.
Il rafforzamento del processo di segregazione verticale nel mercato del
lavoro universitario può trovare un ulteriore elemento di rinforzo nel
processo di competizione tra atenei. Un aumento della presenza
femminile nelle qualifiche più elevate dell’organico accademico può
essere interpretato come un segnale negativo della qualità
dell’ateneo perché esiste un meccanismo di svalutazione sociale in
quei settori dove la componente femminile, soprattutto nei ruoli più
prestigiosi, è molto forte: è perciò preferibile mantenere tale
presenza ai livelli più bassi della carriera. Non a caso, in Europa gli
uomini hanno una probabilità tre volte superiore delle donne di
ottenere una qualifica di professore ordinario o equivalente. (3)
In sostanza, l’introduzione della riforma sul reclutamento della
docenza universitaria lascia prevedere un rafforzamento anziché
una riduzione dell’esclusione delle donne dal sistema di produzione
della conoscenza (coordinamento di ricerche, accesso ai fondi di ricerca
e così via). E rischia di produrre un risultato perverso: aumentare, sì,
la presenza delle donne nella ricerca, ma rafforzare nel contempo il
meccanismo di segregazione nella produzione della conoscenza.
(1) Vedi ministero dell’Università e della ricerca, Aspetti
della femminilizzazione del sistema scolastico 1999, Roma. E
ministero dell’Università e della ricerca, Andamento delle
retribuzioni del personale insegnante – Anni 1993-2000.
(2) Si veda Gender in Research 2001, Woman & Science,
Report to the European Commission, Bruxelles
(3) Vedi She Figures 2003, Woman & Science, Report
European Commission
|