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18/09/2006 Ambiguità e Vecchi Modelli (Bruno Losito, www.lavoce.info)

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    Il 25 agosto è stata emanata una nuova direttiva relativa al Servizio nazionale di valutazione e alle rilevazioni previste per l’anno scolastico 2006-2007.
    La sua pubblicazione è stata accompagnata da una serie di prese di posizione, in primo luogo da parte dello stesso ministro della Pubblica istruzione, che ha esplicitamente denunciato l’inattendibilità dei risultati delle rilevazioni effettuate dall’Invalsi in questi ultimi cinque anni. (1)
    Come spesso accade quando si parla di valutazione, non sono mancate le ambiguità e gli elementi di scarsa chiarezza teorica e metodologica.

    Che cosa cambia e che cosa resta invariato nelle rilevazioni Invalsi

    Gli elementi di novità della direttiva, rispetto alla precedente, sono i seguenti:

    a. la trasformazione delle rilevazioni da censimentarie in campionarie;
    b. la non obbligatorietà della partecipazione delle scuole campionate;
    c. l’affidamento delle somministrazioni a rilevatori esterni;
    d. la sostituzione della prima classe della scuola media con la seconda.

    Restano sostanzialmente invariate altre caratteristiche delle rilevazioni:

    a. la separazione tra valutazione di sistema e valutazione degli apprendimenti;
    b. le aree disciplinari oggetto delle rilevazioni;
    c. il periodo dell’anno scolastico in cui effettuare le rilevazioni (e, almeno per ora, la loro periodicità annuale).

    Gli elementi di ambiguità

    Se si prendono in considerazione i cambiamenti proposti e quanto resta invariato, emergono alcune ambiguità, soprattutto per quanto riguarda la rilevazione degli apprendimenti degli studenti.
    In primo luogo, gli obiettivi della rilevazione: Resta difficile capire quale possa essere la funzione di una rilevazione degli apprendimenti in mancanza di standard di riferimento definiti, realizzata all’inizio dell’anno scolastico e attraverso la sola somministrazione di prove cognitive, senza il necessario corredo di strumenti volti a rilevare dati sulle variabili di contesto, indispensabili per interpretare i risultati.
    Inoltre, una rilevazione degli apprendimenti a inizio anno scolastico potrebbe avere un senso (ammesso che i risultati siano forniti alle scuole in tempi rapidissimi – cosa mai accaduta e di fatto pressoché impossibile da realizzare – e a condizione, paradossalmente, di anticipare la data delle somministrazioni) per orientare l’intervento educativo e didattico delle scuole per l’anno scolastico in corso. Era questa l’ipotesi Bertagna che ha informato l’articolo della legge 53 che riguarda la valutazione. Al di fuori di questa logica, per altro molto discutibile, non è chiara l’utilità di una rilevazione sugli apprendimenti effettuata a inizio anno scolastico su base campionaria.
    In secondo luogo, la tipologia e le caratteristiche delle prove utilizzate. Una delle principali critiche rivolte alle prove Invalsi è stata quella di scarsa qualità e in alcuni casi di non validità. Su questo aspetto fondamentale nulla è detto nella nuova direttiva. Quanto meno si sarebbe potuto chiedere che fossero rese note le caratteristiche metriche delle prove. In tutti questi anni, infatti, non un sono stati diffusi dati in proposito, né è stato pubblicato alcun rapporto tecnico che consentisse di verificare la qualità delle prove utilizzate.
    In terzo luogo, suscita particolare perplessità la proposta di affidare a rilevatori esterni la somministrazione delle prove. Prima di tutto perché può lasciare intendere, al di là delle intenzioni, che parte della responsabilità della non attendibilità dei risultati delle rilevazioni denunciata dal ministro sia dovuta agli insegnanti che le hanno effettuate negli anni passati. Al contrario, è opportuno ricordare che le rilevazioni dovrebbero essere un’occasione per diffondere pratiche e cultura valutativa nelle scuole, per responsabilizzare gli insegnanti valorizzandone il ruolo e sostenendoli nella costruzione di nuove competenze. Il problema vero è quello di superare la diffidenza e la sfiducia degli insegnanti nei confronti degli obiettivi delle rilevazioni e dell’uso dei loro risultati.
    Affrontare il problema solo su un piano apparentemente più tecnico rischia di dare l’impressione che le rilevazioni siano in qualche modo un controllo sulle scuole.

    I nodi culturali e politici

    Queste ambiguità sembrano riconducibili a due diverse ragioni.
    La prima è di ordine culturale, cioè la scarsa chiarezza in materia valutativa. È necessario avviare quanto prima un dibattito approfondito, che coinvolga in primo luogo le scuole e la comunità scientifica, sulle funzioni e sugli obiettivi della valutazione e sui diversi possibili modi di realizzarli. È necessaria una distinzione chiara – di obiettivi, di metodologie, di periodicità, di procedure e di strutture organizzative – tra valutazione di sistema, valutazione e autovalutazione delle scuole, valutazione degli apprendimenti in funzione della certificazione.
    Così come sarebbe opportuno sviluppare la discussione su altri aspetti delle rilevazioni su scala nazionale: dalle caratteristiche dei campioni alla periodicità; dalla tipologia delle prove alle modalità di analizzare i dati raccolti.
    La seconda ragione sembra essere di ordine politico: la dichiarata volontà dell’attuale ministro di non procedere a una revisione della legge 53 per via legislativa. Questo comporta una serie di vincoli normativi e istituzionali difficilmente superabili per via amministrativa.
    Questa scelta rischia di lasciare indeterminata la prospettiva verso cui ci si intende muovere. Se è accettabile che si proceda con gradualità, è anche vero che le scuole e gli insegnanti hanno bisogno di chiarezza sul senso di quanto viene loro proposto e sul rapporto tra le scelte effettuate per l’immediato futuro e le prospettive di medio e lungo periodo. L’indeterminatezza e la mancanza di chiarezza rischiano di generare ulteriori sfiducia e diffidenza.


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