Il 25 agosto è
stata emanata una nuova direttiva relativa al Servizio nazionale di
valutazione e alle rilevazioni previste per l’anno scolastico
2006-2007.
La sua pubblicazione è stata accompagnata da una serie di prese di
posizione, in primo luogo da parte dello stesso ministro della Pubblica
istruzione, che ha esplicitamente denunciato l’inattendibilità dei
risultati delle rilevazioni effettuate dall’Invalsi in questi ultimi
cinque anni. (1)
Come spesso accade quando si parla di valutazione, non sono
mancate le ambiguità e gli elementi di scarsa chiarezza teorica e
metodologica.
Che cosa cambia e che cosa resta invariato nelle
rilevazioni Invalsi
Gli elementi di novità della direttiva,
rispetto alla precedente, sono i seguenti:
a. la trasformazione delle rilevazioni da
censimentarie in campionarie;
b. la non obbligatorietà della partecipazione delle scuole campionate;
c. l’affidamento delle somministrazioni a rilevatori esterni;
d. la sostituzione della prima classe della scuola media con la seconda.
Restano sostanzialmente invariate altre
caratteristiche delle rilevazioni:
a. la separazione tra valutazione di sistema e
valutazione degli apprendimenti;
b. le aree disciplinari oggetto delle rilevazioni;
c. il periodo dell’anno scolastico in cui effettuare le rilevazioni (e,
almeno per ora, la loro periodicità annuale).
Gli elementi di ambiguità
Se si prendono in considerazione i cambiamenti
proposti e quanto resta invariato, emergono alcune ambiguità,
soprattutto per quanto riguarda la rilevazione degli apprendimenti degli
studenti.
In primo luogo, gli obiettivi della rilevazione: Resta difficile
capire quale possa essere la funzione di una rilevazione degli
apprendimenti in mancanza di standard di riferimento definiti,
realizzata all’inizio dell’anno scolastico e attraverso la sola
somministrazione di prove cognitive, senza il necessario corredo di
strumenti volti a rilevare dati sulle variabili di contesto,
indispensabili per interpretare i risultati.
Inoltre, una rilevazione degli apprendimenti a inizio anno scolastico
potrebbe avere un senso (ammesso che i risultati siano forniti alle
scuole in tempi rapidissimi – cosa mai accaduta e di fatto pressoché
impossibile da realizzare – e a condizione, paradossalmente, di
anticipare la data delle somministrazioni) per orientare l’intervento
educativo e didattico delle scuole per l’anno scolastico in corso. Era
questa l’ipotesi Bertagna che ha informato l’articolo della legge 53 che
riguarda la valutazione. Al di fuori di questa logica, per altro molto
discutibile, non è chiara l’utilità di una rilevazione sugli
apprendimenti effettuata a inizio anno scolastico su base campionaria.
In secondo luogo, la tipologia e le caratteristiche delle prove
utilizzate. Una delle principali critiche rivolte alle prove Invalsi è
stata quella di scarsa qualità e in alcuni casi di non validità. Su
questo aspetto fondamentale nulla è detto nella nuova direttiva. Quanto
meno si sarebbe potuto chiedere che fossero rese note le
caratteristiche metriche delle prove. In tutti questi anni, infatti,
non un sono stati diffusi dati in proposito, né è stato pubblicato alcun
rapporto tecnico che consentisse di verificare la qualità delle
prove utilizzate.
In terzo luogo, suscita particolare perplessità la proposta di affidare
a rilevatori esterni la somministrazione delle prove. Prima di
tutto perché può lasciare intendere, al di là delle intenzioni, che
parte della responsabilità della non attendibilità dei risultati delle
rilevazioni denunciata dal ministro sia dovuta agli insegnanti
che le hanno effettuate negli anni passati. Al contrario, è opportuno
ricordare che le rilevazioni dovrebbero essere un’occasione per
diffondere pratiche e cultura valutativa nelle scuole, per
responsabilizzare gli insegnanti valorizzandone il ruolo e sostenendoli
nella costruzione di nuove competenze. Il problema vero è quello di
superare la diffidenza e la sfiducia degli insegnanti nei confronti
degli obiettivi delle rilevazioni e dell’uso dei loro risultati.
Affrontare il problema solo su un piano apparentemente più tecnico
rischia di dare l’impressione che le rilevazioni siano in qualche modo
un controllo sulle scuole.
I nodi culturali e politici
Queste ambiguità sembrano riconducibili a due diverse
ragioni.
La prima è di ordine culturale, cioè la scarsa chiarezza in
materia valutativa. È necessario avviare quanto prima un dibattito
approfondito, che coinvolga in primo luogo le scuole e la comunità
scientifica, sulle funzioni e sugli obiettivi della valutazione e sui
diversi possibili modi di realizzarli. È necessaria una distinzione
chiara – di obiettivi, di metodologie, di periodicità, di procedure e di
strutture organizzative – tra valutazione di sistema, valutazione e
autovalutazione delle scuole, valutazione degli apprendimenti in
funzione della certificazione.
Così come sarebbe opportuno sviluppare la discussione su altri aspetti
delle rilevazioni su scala nazionale: dalle caratteristiche dei campioni
alla periodicità; dalla tipologia delle prove alle modalità di
analizzare i dati raccolti.
La seconda ragione sembra essere di ordine politico: la
dichiarata volontà dell’attuale ministro di non procedere a una
revisione della legge 53 per via legislativa. Questo comporta una
serie di vincoli normativi e istituzionali difficilmente superabili per
via amministrativa.
Questa scelta rischia di lasciare indeterminata la prospettiva verso cui
ci si intende muovere. Se è accettabile che si proceda con gradualità, è
anche vero che le scuole e gli insegnanti hanno bisogno di chiarezza sul
senso di quanto viene loro proposto e sul rapporto tra le scelte
effettuate per l’immediato futuro e le prospettive di medio e lungo
periodo. L’indeterminatezza e la mancanza di chiarezza rischiano di
generare ulteriori sfiducia e diffidenza.
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