Dietro le proteste degli insegnanti precari ci sono due problematiche
diverse. Quella di coloro che sono già abilitati e iscritti nelle
graduatorie a esaurimento. E quella di chi invece aspira all'abilitazione.
Il progetto del ministero non dà risposte né agli uni né agli altri. Perché
non dice niente sui nuovi sistemi di reclutamento. E perché sulla formazione
dei futuri docenti si è scelta una via opposta a quella seguita nel resto
d'Europa. Quanto alla programmazione del fabbisogno di insegnanti, lo
contraddice l'ammissione al tirocinio di soprannumerari
Con l'inizio dell'anno scolastico, la situazione degli insegnanti e
dei loro posti di lavoro è tornata al centro dell'attenzione. Èperciò
opportuno fare un po’ di chiarezza, almeno per quanto riguarda gli
insegnanti secondari, di primo e secondo grado, la categoria che
registra le tensioni più forti.
Le problematiche sono due ma strettamente connesse fra loro: gli
abilitati già inseriti nelle “graduatorie a esaurimento” e coloro che
invece aspirano all'abilitazione. CHI HA L'ABILITAZIONE
Le graduatorie di coloro che sono in possesso
dell’abilitazione, conseguita all’interno dei vecchi concorsi oppure
tramite le scuole di specializzazione universitarie (Ssis), sono
finalizzate sia alle immissioni in ruolo sia al conferimento di
incarichi temporanei.
Se il problema del precariato è ormai così ampio, ciò
deriva dal fatto che i posti di insegnamento sono stati ricoperti da
personale di ruolo in misura del tutto insufficiente. Come risulta dal
volume, ricchissimo di dati aggiornati, “La scuola statale:
sintesi dei dati - Anno scolastico 2008-2009”, tra gli oltre
470mila insegnanti in servizio per l’intero anno 2008-2009, il 19 per
cento (circa 90mila) aveva solo il contratto annuale;
tale percentuale è disomogenea sul territorio: raggiunge il 23 per
cento nel Nord-Est, mentre è al 14,8 per cento nel Sud.
Il governo Prodi aveva bloccato le graduatorie, ponendole a
esaurimento, e aveva avviato una massiccia operazione di copertura in
ruolo, anziché per incarico, che progressivamente avrebbe consentito
di riassorbirle. Contestualmente, aveva annunciato - ma poi non
attuato - un nuovo sistema di assunzioni che
permettesse di connettere formazione e reclutamento. Il governo
attuale ha limitato a poche migliaia le assunzioni dalle graduatorie
e, riducendo l’orario della didattica, ha diminuito i posti da
coprire. Molti insegnanti con abilitazione, e un incarico annuale nei
passati anni scolastici, si sono dunque ritrovati a settembre 2009
senza cattedra. Ecco la ragione delle proteste, anche clamorose, di
questi giorni, che il governo ha poi cercato di tamponare con
palliativi come l'indennità di disoccupazione, le supplenze
brevi senza continuità didattica ed eventuali progetti regionali, che
ignorano il problema della qualità del servizio e sono mortificanti
anche per i pochi che potranno usufruirne.
CHI ASPIRA ALL'ABILITAZIONE
Il governo Berlusconi ha anche chiuso le Ssis, per
il momento senza sostituirle con alcunché: chi ha conseguito la laurea
specialistica o magistrale dopo il settembre 2007 non
può perciò prepararsi a insegnare. La chiusura delle Ssis è
ufficialmente motivata con il blocco delle graduatorie: inutile
produrre nuovi abilitati, se non hanno poi modo di accedere
all’insegnamento. Logica avrebbe allora voluto che si affrontasse
prima di tutto il problema delle nuove modalità di
reclutamento.
Il progetto presentato nei giorni scorsi, con gran
battage mediatico, dalla ministra Maria Stella Gelmini ignora invece
proprio questo aspetto e si concentra solo della formazione:
chi seguirà il nuovo percorso abilitante non sa dunque se e come potrà
essere assunto, neppure a termine.
Ma anche nel merito della formazione, il progetto è ben diverso dalla
immagine che ne è stata data.
Si è detto che il percorso prevede, dopo la laurea in una disciplina
(tre anni), una laurea magistrale (due anni) ad hoc, orientata alle
tematiche didattiche sia generali (scienze socio-psico-pedagogiche)
sia mirate (problematiche dell’apprendimento e dell’insegnamento della
specifica disciplina); segue poi un anno detto di “tirocinio
formativo attivo” (Tfa), sempre gestito dall’università, ma
con una forte presenza di interventi diretti nelle scuole.
Quello che non si è detto è che le lauree magistrali ad hoc
sono di là da venire, come scritto nelle Norme transitorie: fino al
2012-13 esiste solo il Tfa, al quale si accederà con la magistrale
ordinaria. Ma questa (giustamente, per le finalità che ha) tende ad
approfondire aspetti particolari della materia, non le tematiche più
rilevanti per l’insegnamento. Andava certo ridotto il percorso,
eccessivamente lungo, di sette anni, ma prevederne cinque per i
contenuti disciplinari e comprimere in un anno tutto ciò che ha a che
fare con la professione docente è l’opposto di quanto si fa in Europa,
ove viene ampliato lo spazio per le competenze “trasversali”
dell’insegnante. (1) Per l’efficacia del suo rapporto
con allievi ben diversi da quelli di cinquant’anni fa (e anche solo di
dieci) è fondamentale che il docente sappia individuare le strategie
comunicative adatte per motivare all’apprendimento lo specifico
gruppo-classe, riesca a utilizzare e a far utilizzare pienamente le
opportunità offerte dalle tecnologie didattiche, sia capace di
preparare gli studenti a servirsi criticamente delle reti informative
e a lavorare in gruppo.
È falso inoltre che il progetto del ministero preveda una adeguata
programmazione quantitativa. L’ammissione al Tfa, è
scritto, avverrà per contingenti legati al fabbisogno di insegnanti:
per definirlo correttamente occorrerebbe però aver deciso le nuove
procedure di reclutamento e, in particolare, quanti posti destinare al
riassorbimento delle graduatorie e quanti ai nuovi abilitati.
Un tempo esisteva il “doppio canale”, con il 50 per
cento dei posti per l’assunzione dalle liste e il 50 per cento a
concorso per le nuove leve. Solo una soluzione analoga, con
l’effettiva copertura di tutti i posti e magari con una quota
inizialmente più alta per chi è in graduatorie molto numerose, può
evitare una drammatica “guerra tra poveri” di cui già si vedono
preoccupanti segnali. Nel silenzio, le assunzioni avverranno solo
dalle graduatorie, con l’esclusione di qualunque nuovo laureato per
molti anni (probabilmente moltissimi, in ragione della riduzione degli
organici). E il Tfaavrà prodotto una nuova lista di attesa.
Plateale, inoltre, è la negazione della programmazione che si ha con
l’ammissione al Tfa, in soprannumero rispetto ai posti banditi, dei
laureati non abilitati che abbiano svolto 360 giorni di supplenza, dei
dottori di ricerca, degli assegnisti universitari: si formeranno
decine di migliaia di abilitati in più rispetto alle esigenze,
comunque queste siano state definite. Viene detto anche che i
soprannumerari continueranno a svolgere le loro attività lavorative;
ilTfa è una specie di scuola serale.
E poi si parla di rivalutazione del merito, di qualità, dello spazio
da dare ai giovani.
(1) Ai sette anni si è arrivati perché la Ssis
biennale, originariamente connessa alla laurea quadriennale, si è poi
sovrapposta al “3+2”.
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