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30/01/2007  Archivi dei servizi segreti in Europa Centrale e Orientale (1). Il rigore delle giovani generazioni (Barbara Marino, http://www.korazym.org)

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Una generazione giovane, che non ha conosciuto direttamente il comunismo, chiede di saldare i conti con il passato. In ballo, una completa apertura degli archivi dei servizi segreti e la discussione sul ruolo dei collaboratori e degli informatori.

In tutti gli stati del Gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria), il dilemma è lo stesso: i nomi degli informatori degli ex servizi segreti dei regimi comunisti dovrebbero essere resi pubblici? Un dibattito comune per le Nazioni che il 15 febbraio 1991, nella città ungherese di Visegrád, stipularono un'alleanza per stabilire e rafforzare la cooperazione, in vista dell'ingresso nell'Unione Europea.

In Polonia, in particolare, l'apertura degli archivi affidati all’Istituto della memoria, ha prodotto un elenco chilometrico di 120 mila nomi. Per stabilire il grado della concreta responsabilità dei singoli collaboratori e informatori, sarebbe necessario fare accurate indagini individuali, ma in più occasioni fughe di notizie e indiscrezioni sono state usate nella lotta politica fra la generazione della transizione e i giovani politici della generazione successiva. Lo stesso meccanismo si è innescato la scorsa primavera in Ungheria e sta partendo in Slovacchia e nella Repubblica Ceca.

Recentemente, il caso sensazionale di mons. Stanislaw Wielgus (accusato di aver collaborato con il servizio segreto SB del passato regime comunista polacco) ha fatto scalpore, suscitando scandalo e perplessità. Dai giorni della caduta di Wielgus, infuria in Polonia una "guerra della fede" intorno alla domanda su come la Chiesa debba comportarsi con chi ha sbagliato sotto il comunismo. Nel contempo, mons. Jan Sokol, arcivescovo di Trnava e Bratislava è accusato di collaborazione con i servizi segreti StB dell'allora regime comunista cecoslovacco. Esattamente come Wielgus, anche Sokol non nega di aver avuto contatti, ma ha sottolineato di non aver mai fatto del male a qualcuno e che comunque si trattava di incontri di routine.

Il dibattito è tuttavia aperto, anche fuori dai confini di quei Paesi. A una lettrice che scrive su mons. Wielgus e i servizi segreti comunisti, sul Corriere della Sera del 28 gennaio 2007 Sergio Romano ha risposto: "Non credo che monsignor Wielgus abbia pagato con le dimissioni i servizi resi al regime comunista. Credo che la Chiesa gli abbia chiesto di rinunciare all’incarico perché aveva cercato di nascondere una pagina imbarazzante della sua vita: un peccato veniale per l’uomo della strada, un grave handicap per la guida spirituale di un intero Paese".

"Quelli che accusano la Chiesa si sbagliano quando prendono in considerazione solo la gerarchia, perché la Chiesa di Cristo sono anche tutti i fedeli". L’ha detto il 28 gennaio dom Asztrik Várszegi, abate benedettino di Pannonhalma in Ungheria e storico della Chiesa, nel programma ungherese della Radio Vaticana, a proposito dei preti che hanno collaborato con i regimi comunisti. "Per i capi religiosi - ha aggiunto l'abate Várszegi - è stato difficilissimo servire gli obiettivi veri della Chiesa, perché i loro ambienti erano pieni di manipolatori. Siamo fieri dei nostri santi ed eroi, che hanno sofferto in silenzio, e chiediamo perdono per quelli che sono stati ricattati e costretti a cooperare con il sistema". Várszegi ha ricordato che "c'è una nuova generazione ora, con una coscienza storica pulita, che vuole svelare il passato". L’abate in una intervista sull’ultimo numero di Inside The Vatican dopo il caso di mons. Wielgus definisce anche quella della Polonia una "Chiesa di martiri e non di collaboratori" e aggiunge, che "il vero problema non è trovare i colpevoli ma capire cosa è successo davvero. Il comunismo rendeva malate le anime umane. Di questa malattia soffrono ancora le società dell'Est europeo. Nostro compito storico è chiarire il passato per vivere un futuro più degno".

Il cardinale José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi ha detto: "Io penso che naturalmente a volte ci sono delle critiche alla Chiesa magari pure gonfiate ma tutto va accettato con serenità e giudizio. Se ci saranno ulteriori strascichi a questa vicenda? Non posso dirlo, non sono un profeta".

Per cercare di chiarire i termini e i retroscena di queste vicende intricate, Korazym.org propone una serie di analisi:
Si scuotano i portoni degli archivi dei servizi segreti nell’Europa Centrale e Orientale, di Ulrich Schmid su Neue Zürchner Zeitung, 26 gennaio 2007, in una nostra traduzione italiana: oggi, in questa pagina
- Il parroco di campagna contro il cardinale, di Konrad Schuller su Franfurter Allgemeine Zeitung, 28 gennaio 2007, in una nostra traduzione italiana
- Dalla tomba della storia il comunismo colpisce ancora la Chiesa cattolica: una dettagliata analisi del giornalista polacco Wlodzimier Redzioch, che verrà pubblicata in lingua inglese sul numero di febbraio del mensile Inside the Vatican, in una traduzione italiana a cura dell'Agenzia Zenit in due parti

  • 06/02/2007 Dalla tomba della storia il comunismo colpisce ancora la Chiesa cattolica (2)
    Tutti gli osservatori dei fatti ecclesiastici si chiedono: perché Benedetto XVI non è stato informato prima del passato dell’arcivescovo Wielgus?...
  • 04/02/2007 Dalla tomba della storia il comunismo colpisce ancora la Chiesa cattolica (1)
    Per cercare di chiarire i retroscena dell’intricata vicenda esplosa con il "caso Wielgus"...

    - La situazione della lustrazione in Slovacchia e nella Repubblica Ceca, con le riflessioni di Marian Gavenda, portavoce della Conferenza episcopale slovacca, espresse in una nota su Sir Europa del 24 gennaio 2007, dal titolo Umiltà e coraggio, che illustra la situazione in Slovacchia, seguita dall'analisi della situazione nella Repubblica Ceca.

    Si scuotano i portoni degli archivi dei servizi segreti
    nell’Europa Centrale e Orientale
    di Ulrich Schmid
    su Neue Zürchner Zeitung
    26 gennaio 2007

    Praga, metà gennaio - Nella seconda settimana di gennaio, la prominente dissidente e attivista di Solidarnosc Malgorzata Niezabitowska è stata prosciolta dall’accusa di spionaggio a favore del famigerato servizio segreto SB. Niezabitowska, la portavoce del primo governo post-comunista della Polonia dal 1989 al 1990, era stata accusata di aver spiato i colleghi per conto dell’SB quando era collaboratrice di un giornale d’opposizione. Ha sempre respinto queste accuse e nel 2005 ha rivolto al tribunale di "lustrazione" di Varsavia una richiesta di auto-lustrazione, per scagionare il suo nome. Il 19 gennaio, il tribunale ha dichiarato che non ci sono prove per sostenere l’accusa che per la prima volta era stata formulata contro Niezabitowska da un ex collega e che gli atti del servizio segreto, in cui appare con il pseudonimo di "Nowak" potevano essere anche stati falsificati da un collaboratore dell’SB.

    Collaboratori volontari?

    Il caso Niezabitowska, che ha provocato enorme emozione in Polonia, illumina uno dei temi più scottanti nel saldare i conti con i crimini communisti: il ruolo degli informatori. In tutti gli Stati dell’Europa Centrale e Orientale, gli storici sottolineano che sulla base dei documenti disponibili è quasi impossibile di formulare con sicurezza un giudizio sulle attività di queste persone. Moltissime persone furono contattate dal servizio segreto, soprattutto in Polonia, il Paese, che come nessuno nel blocco dell’Est ha prodotto un’opposizione potente:  Solidarnosc. La reazione delle persone coinvolte però era totalmente diversa. Alcuni fornivano le informazioni richieste senza lamentarsi (la parola "volontariamente" è fuori luogo). Altri l’hanno fatto soltanto sotto pressione. Ancora altri hanno provato a tirarsi fuori dalla questione con la rivelazione di banalità e generalità (o di quanto consideravano tale). Parecchi informatori coraggiosi hanno trasmesso volutamente delle informazioni errate.  Pochi hanno rifiutato e hanno ricevuto per questo delle punizioni severi, che spesso colpivano anche dei famigliari.

    In tutti gli stati del Gruppo di Visegrád il dibattito che si svolge sulla domanda se i nomi degli informatori debbano essere resi pubblici è nel contempo appassionato e sofferto. Tanti, anche ex dissidenti, ritengono sbagliato rendere pubblici gli atti dei servizi segreti, perché temono che questo fatto possa rendere un inferno la vita di migliaia, se non centinaia di migliaia di persone. Marcin Bosacki, un editorialista del giornale polacco Gazeta Wyborcza, è dell’avviso che è praticamente impossibile tirare una linea di divisione netta tra collaborati convinti e coloro per i quali la collaborazione con lo SB era una strategia di sopravvivenza. Si dovrà pensare anche a tutti quelli che furono interrogati sistematicamente da funzionari del servizio segreto e sono indicati negli atti come "collaboratore" o "informatore", ma non ne sapevano niente. Persone come queste, oggi non hanno praticamente la possibilità di provare la loro innocenza. Gli oppositori ad una apertura degli archivi, infine, sottolineano anche, che secondo la conoscenza attuale, molti atti furono manipolati o distrutti da apologeti del vecchio sistema, come per esempio in Cecoslovacchia.

    Il braccio lungo degli agenti

    Il sospetto di essere stato accondiscendente verso i servizi segreti, può colpire tutti, la gente comune come personalità conosciute. Recentemente, il caso sensazionale di Stanislaw Wielgus nominato arcivescovo di Varsavia ha fatto scalpore e suscitato scandalo. Jozef Oleksy, un politico dell’Alleanza di sinistra nel 1995 si era dimesso da presidente del consiglio dei ministri, quando era stato accusato di aver fatto spionaggio per il servizio segreto sovietico. Queste accuse in seguito si sono rivelate senza fondamento, però nel 2004 un tribunale ha provato che Oleksy era stato un informatore pagato del servizio segreto polacco tra il 1970 e il 1978. Oleksy respinge queste accuse. Addirittura Lech Walesa, l’icona della lotta di liberazione polacca è stato durante gli anni oggetto di accuse di essere stato al servizio del SB. Quando Walesa come presidente si opponeva all’apertura degli archivi, era stato attaccato anche dai suoi compagni del sindacato Solidarnosc, tra cui i fratelli Kaczynski. Anche Walesa si è difeso. Ha vinto tanti processi e l’anno scorso è stato dichiarato innocente da un’agenzia di sicurezza internazionale.

    Walesa è convinto che il caso Wielgus sia stato provocato appositamente da ex agenti comunisti con lo scopo di danneggiare il nuovo ordine democratico in Polonia. La minaccia del governo di Jaroslaw Kaczynski di togliere la pensione agli ex ufficiali del servizio segreto e di escluderli dal servizio pubblico, avrebbe scatenato la manovra. Nel corso degli anni, queste figure hanno raccolto molto materiale e adesso contrattaccano. Stesso discorso per il caso di Jan Sokol, arcivescovo di Trnava e Bratislava. Sokol, nato nel 1933, viene menzionato nell’elenco del famoso dissidente ceco Petr Cibulka, addirittura con due atti come agente "Svätopuk" e gli avversari del regime comunista non dubitano che per tanti anni il presule abbia fornito delle informazioni sui suoi confratelli al servizio segreto cecoslovacco StB.

    Eppure, è strano che Sokol per 17 anni sia stato schedato come "candidato" dello StB, prima di essere promosso nel 1989 nella categoria di "agente". Una carriera di candidato così lunga è inconsueta. Recentemente una commissione di storici della Chiesa ha tenuto a Bratislava una conferenza stampa per presentare dei documenti, che proverebbe l'innocenza  di Sokol. Lo storico Jozef Halko crede che lo StB abbia registrato persone come Sokol come agenti, per poterli ricattare dopo la caduta del comunismo.

    Spionaggio "per uno fine buono"

    Esattamente come Wielgus, anche Sokol non nega di aver avuto contatti con gente del servizio segreto. Sottolinea però che si trattava di incontri di routine e che non ha mai volutamente fatto del male a qualcuno. Che l’opinione pubblica slovacca ciononostante lo tratti con scetticismo, certamente ha anche da fare con il fatto che è un brutto reazionario: la sua lode dello stato slovacco filo-nazista, che ha conosciuto dal 1939 fino al 1945 una breve esistenza come satellite della Grande Germania, ha provocato nei media una tempesta di indignazione. Se Sokol come Wielgus dovrà dimettersi sarà da vedere. Che ogni accusato eccellente debba abbandonare la sua carriera, lo dimostra il caso del presidente del consiglio dei ministri ungherese Peter Medgyessy, che ha lavorato negli anni ‘80 per il controspionaggio comunista sotto il codice D-209. Quando nel 2002 il suo caso fu reso pubblico, Medgyessy ha ammesso la sua collaborazione, però si è difeso, dicendo che così ha voluto proteggere l’Ungheria contro il KGB e assicurare l’adesione del suo Paese all’IMF - Fondo Monetario Internazionale, ostacolato fortemente da Mosca. L'opinione pubblica ha riso di fronte alle giustificazioni. Però, Medgyessy è rimasto al suo posto e la sua caduta nell’estate del 2004, provocata dal suo rivale e successore Ferenc Gyursczany, non ha a che fare fondamentalmente con le sue attività nei servizi segreti.

    Contro l’apertura degli archivi dei servizi segreti si esprimono quindi non soltanto la Chiesa o i partiti di sinistra ex comunisti, ma anche tanti, che in gioventù erano stati oppositori del regime e non devono essere sospettati di simpatie segrete con gli oppressori di una volta. E' per questo che gli sforzi per l’apertura degli archivi dei servizi segreti non sono dappertutto a un buon punto. In Polonia e in Slovacchia, intanto ci sono degli Istituti della Memoria Nazionale, che investigano sistematicamente gli atti. In Ungheria i cittadini possono consultare i loro atti, ma i nomi sono coperti. Il governo di Budapest ha promesso inoltre, di aprire almeno gli archivi della polizia. Nella Repubblica ceca i cittadini possono consultare i loro atti e hanno accesso a circa 75.000 documenti di agenti dello StB, ma ancora manca un Istituto che si occupa su base professionale dell’eredità comunista. I cittadini polacchi potranno consultare nel prossimo futuro gli atti della polizia segreta, con informazioni su diplomatici, ministri e parlamentari in carico. Il Paese attende dibattiti vivaci.

    La chiarificazione è necessaria

    Il merito del fatto che la richiesta di una completa rivelazione del passato nonostante tutte le riserve, spesso giustificate, risuoni sempre più alto, è della generazione dei ventenni, che oggi si affacciano alla politica e non portano con sé una zavorra comunista. Secondo Pawel Lisiecki, il caporedattore del giornale polacco Rzeczpospolita, questa gente non ha più paura di una chiarezza totale, e perciò tutti gli Stati dell’Europa Centrale e Orientale saranno travolti da una vera ondata di rivelazioni. Urge soprattutto la rivelazione dei funzionari fissi dei servizi segreti, dato che per queste persone non valgono le molteplici scuse dei collaboratori informali.

    Nell’insieme, l’apertura degli archivi porterà alle società dell’Europa Centrale e Orientale un grande guadagno. Naturalmente, ci saranno anche ingiustizie ed errori, e diversi innocenti dovranno soffrire. Ciononostante, questo processo appare inevitabile nell’interesse generale della società. Il passato comunista pesa fortemente sugli Stati molto promettenti dell’ex zona d’influenza di Mosca e impedisce ancora oggi la crescita di una sana comunità civile. Ha un futuro solo chi conosce il proprio passato, si è detto spesso nella denuncia dei crimini nazisti. Questa bella frase deve valere anche per la discussione sul comunismo.

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