Praga, metà gennaio - Nella seconda settimana di
gennaio, la prominente dissidente e attivista di Solidarnosc Malgorzata
Niezabitowska è stata prosciolta dall’accusa di spionaggio a favore del
famigerato servizio segreto SB. Niezabitowska, la portavoce del primo
governo post-comunista della Polonia dal 1989 al 1990, era stata accusata di
aver spiato i colleghi per conto dell’SB quando era collaboratrice di un
giornale d’opposizione. Ha sempre respinto queste accuse e nel 2005 ha
rivolto al tribunale di "lustrazione" di Varsavia una richiesta di
auto-lustrazione, per scagionare il suo nome. Il 19 gennaio, il tribunale ha
dichiarato che non ci sono prove per sostenere l’accusa che per la prima
volta era stata formulata contro Niezabitowska da un ex collega e che gli
atti del servizio segreto, in cui appare con il pseudonimo di "Nowak"
potevano essere anche stati falsificati da un collaboratore dell’SB.
Collaboratori volontari?
Il caso Niezabitowska, che ha provocato enorme emozione in Polonia,
illumina uno dei temi più scottanti nel saldare i conti con i crimini
communisti: il ruolo degli informatori. In tutti gli Stati dell’Europa
Centrale e Orientale, gli storici sottolineano che sulla base dei documenti
disponibili è quasi impossibile di formulare con sicurezza un giudizio sulle
attività di queste persone. Moltissime persone furono contattate dal
servizio segreto, soprattutto in Polonia, il Paese, che come nessuno nel
blocco dell’Est ha prodotto un’opposizione potente: Solidarnosc. La
reazione delle persone coinvolte però era totalmente diversa. Alcuni
fornivano le informazioni richieste senza lamentarsi (la parola
"volontariamente" è fuori luogo). Altri l’hanno fatto soltanto sotto
pressione. Ancora altri hanno provato a tirarsi fuori dalla questione con la
rivelazione di banalità e generalità (o di quanto consideravano tale).
Parecchi informatori coraggiosi hanno trasmesso volutamente delle
informazioni errate. Pochi hanno rifiutato e hanno ricevuto per questo
delle punizioni severi, che spesso colpivano anche dei famigliari.
In tutti gli stati del Gruppo di Visegrád il dibattito che si svolge sulla
domanda se i nomi degli informatori debbano essere resi pubblici è nel
contempo appassionato e sofferto. Tanti, anche ex dissidenti, ritengono
sbagliato rendere pubblici gli atti dei servizi segreti, perché temono che
questo fatto possa rendere un inferno la vita di migliaia, se non centinaia
di migliaia di persone. Marcin Bosacki, un editorialista del giornale
polacco Gazeta Wyborcza, è dell’avviso che è praticamente impossibile
tirare una linea di divisione netta tra collaborati convinti e coloro per i
quali la collaborazione con lo SB era una strategia di sopravvivenza. Si
dovrà pensare anche a tutti quelli che furono interrogati sistematicamente
da funzionari del servizio segreto e sono indicati negli atti come
"collaboratore" o "informatore", ma non ne sapevano niente. Persone come
queste, oggi non hanno praticamente la possibilità di provare la loro
innocenza. Gli oppositori ad una apertura degli archivi, infine,
sottolineano anche, che secondo la conoscenza attuale, molti atti furono
manipolati o distrutti da apologeti del vecchio sistema, come per esempio in
Cecoslovacchia.
Il braccio lungo degli agenti
Il sospetto di essere stato accondiscendente verso i servizi segreti,
può colpire tutti, la gente comune come personalità conosciute.
Recentemente, il caso sensazionale di Stanislaw Wielgus nominato arcivescovo
di Varsavia ha fatto scalpore e suscitato scandalo. Jozef Oleksy, un
politico dell’Alleanza di sinistra nel 1995 si era dimesso da presidente del
consiglio dei ministri, quando era stato accusato di aver fatto
spionaggio per il servizio segreto sovietico. Queste accuse in seguito si
sono rivelate senza fondamento, però nel 2004 un tribunale ha provato che
Oleksy era stato un informatore pagato del servizio segreto polacco tra il
1970 e il 1978. Oleksy respinge queste accuse. Addirittura Lech Walesa,
l’icona della lotta di liberazione polacca è stato durante gli anni oggetto
di accuse di essere stato al servizio del SB. Quando Walesa come presidente
si opponeva all’apertura degli archivi, era stato attaccato anche dai suoi
compagni del sindacato Solidarnosc, tra cui i fratelli Kaczynski. Anche
Walesa si è difeso. Ha vinto tanti processi e l’anno scorso è stato
dichiarato innocente da un’agenzia di sicurezza internazionale.
Walesa è convinto che il caso Wielgus sia stato provocato appositamente da
ex agenti comunisti con lo scopo di danneggiare il nuovo ordine democratico
in Polonia. La minaccia del governo di Jaroslaw Kaczynski di togliere la
pensione agli ex ufficiali del servizio segreto e di escluderli dal servizio
pubblico, avrebbe scatenato la manovra. Nel corso degli anni, queste
figure hanno raccolto molto materiale e adesso contrattaccano. Stesso
discorso per il caso di Jan Sokol, arcivescovo di Trnava e Bratislava. Sokol,
nato nel 1933, viene menzionato nell’elenco del famoso dissidente ceco Petr
Cibulka, addirittura con due atti come agente "Svätopuk" e gli avversari del
regime comunista non dubitano che per tanti anni il presule abbia fornito
delle informazioni sui suoi confratelli al servizio segreto cecoslovacco StB.
Eppure, è strano che Sokol per 17 anni sia stato schedato come "candidato"
dello StB, prima di essere promosso nel 1989 nella categoria di "agente".
Una carriera di candidato così lunga è inconsueta. Recentemente una
commissione di storici della Chiesa ha tenuto a Bratislava una conferenza
stampa per presentare dei documenti, che proverebbe l'innocenza di Sokol.
Lo storico Jozef Halko crede che lo StB abbia registrato persone come Sokol
come agenti, per poterli ricattare dopo la caduta del comunismo.
Spionaggio "per uno fine buono"
Esattamente come Wielgus, anche Sokol non nega di aver avuto contatti
con gente del servizio segreto. Sottolinea però che si trattava di incontri
di routine e che non ha mai volutamente fatto del male a qualcuno. Che
l’opinione pubblica slovacca ciononostante lo tratti con scetticismo,
certamente ha anche da fare con il fatto che è un brutto reazionario: la sua
lode dello stato slovacco filo-nazista, che ha conosciuto dal 1939 fino al
1945 una breve esistenza come satellite della Grande Germania, ha provocato
nei media una tempesta di indignazione. Se Sokol come Wielgus dovrà
dimettersi sarà da vedere. Che ogni accusato eccellente debba abbandonare la
sua carriera, lo dimostra il caso del presidente del consiglio dei ministri
ungherese Peter Medgyessy, che ha lavorato negli anni ‘80 per il
controspionaggio comunista sotto il codice D-209. Quando nel 2002 il suo
caso fu reso pubblico, Medgyessy ha ammesso la sua collaborazione, però si è
difeso, dicendo che così ha voluto proteggere l’Ungheria contro il KGB e
assicurare l’adesione del suo Paese all’IMF - Fondo Monetario
Internazionale, ostacolato fortemente da Mosca. L'opinione pubblica ha
riso di fronte alle giustificazioni. Però, Medgyessy è rimasto al suo posto
e la sua caduta nell’estate del 2004, provocata dal suo rivale e successore
Ferenc Gyursczany, non ha a che fare fondamentalmente con le sue attività
nei servizi segreti.
Contro l’apertura degli archivi dei servizi segreti si esprimono quindi non
soltanto la Chiesa o i partiti di sinistra ex comunisti, ma anche tanti, che
in gioventù erano stati oppositori del regime e non devono essere sospettati
di simpatie segrete con gli oppressori di una volta. E' per questo che gli
sforzi per l’apertura degli archivi dei servizi segreti non sono dappertutto
a un buon punto. In Polonia e in Slovacchia, intanto ci sono degli Istituti
della Memoria Nazionale, che investigano sistematicamente gli atti. In
Ungheria i cittadini possono consultare i loro atti, ma i nomi sono coperti.
Il governo di Budapest ha promesso inoltre, di aprire almeno gli archivi
della polizia. Nella Repubblica ceca i cittadini possono consultare i loro
atti e hanno accesso a circa 75.000 documenti di agenti dello StB, ma ancora
manca un Istituto che si occupa su base professionale dell’eredità
comunista. I cittadini polacchi potranno consultare nel prossimo futuro gli
atti della polizia segreta, con informazioni su diplomatici, ministri e
parlamentari in carico. Il Paese attende dibattiti vivaci.
La chiarificazione è necessaria
Il merito del fatto che la richiesta di una completa rivelazione del
passato nonostante tutte le riserve, spesso giustificate, risuoni sempre più
alto, è della generazione dei ventenni, che oggi si affacciano alla politica
e non portano con sé una zavorra comunista. Secondo Pawel Lisiecki, il
caporedattore del giornale polacco Rzeczpospolita, questa gente non
ha più paura di una chiarezza totale, e perciò tutti gli Stati dell’Europa
Centrale e Orientale saranno travolti da una vera ondata di rivelazioni.
Urge soprattutto la rivelazione dei funzionari fissi dei servizi segreti,
dato che per queste persone non valgono le molteplici scuse dei
collaboratori informali.
Nell’insieme, l’apertura degli archivi porterà alle società dell’Europa
Centrale e Orientale un grande guadagno. Naturalmente, ci saranno anche
ingiustizie ed errori, e diversi innocenti dovranno soffrire. Ciononostante,
questo processo appare inevitabile nell’interesse generale della società. Il
passato comunista pesa fortemente sugli Stati molto promettenti dell’ex zona
d’influenza di Mosca e impedisce ancora oggi la crescita di una sana
comunità civile. Ha un futuro solo chi conosce il proprio passato, si è
detto spesso nella denuncia dei crimini nazisti. Questa bella frase deve
valere anche per la discussione sul comunismo.
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