Scuola, sanità, anziani, povertà, immigrati. Il
Rapporto dell'Irpps-Cnr sullo stato sociale in Italia mette in evidenza le
criticità delle politiche sociali nel Sud, specialmente dal punto di vista
del divario tra bisogni e servizi.
Il "Rapporto sullo stato sociale in Italia 2005-2006"
dell'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali
(Irpps) del Consiglio nazionale delle ricerche è dedicato all'analisi delle
disparità tra Nord e Sud nel welfare: scuola, sanità, previdenza,
assistenza, mercato del lavoro, formazione. Oltre a questi aspetti, i saggi
in esso contenuti inquadrano il contesto più generale dell'economia e della
società del Mezzogiorno e le tendenze generali del sistema nelle regioni
meridionali.
"Con il modesto obiettivo", sottolinea Enrico Pugliese,
direttore dell'Irpps-Cnr e sociologo all'Università di Napoli, "di fornire
una documentazione dando anche, ove possibile, un'interpretazione delle
cause della situazione attuale". Il quadro che emerge è infatti "tutt'altro
che rassicurante, sia per quanto riguarda la quantità e qualità dei servizi
forniti sia per la spesa e la sua efficacia".
Insufficienti e inadeguati, intanto, i servizi per gli anziani
e la loro distribuzione sul territorio. In particolare, la storica
frattura Nord-Sud appare rilevante se si considera la diffusione delle
residenze sanitarie (Rsa): solo il 5,1% al Sud, contro il 70,4 del Nord e il
24,6% del Centro. La percentuale di anziani residenti in ospizi e case di
riposo in Italia meridionale più dello 0,52%, contro una media nazionale di
1,36 e un picco nel Nordovest di 1,88. La ricerca sottolinea che nel
Mezzogiorno il maggior inserimento nei nuclei familiari poveri porta gli
anziani a contribuire con le loro risorse al sostentamento di tutto il
nucleo, a discapito del proprio diritto all'assistenza.
Anche sul piano delle pensioni in rapporto alla popolazione il
Mezzogiorno appare penalizzato. La distribuzione dei beneficiari
vede il 49% al Nord, il 20% al Centro e il 31% al Sud, contro una
ripartizione della popolazione generale rispettivamente del 44,,,19 e 36%.
Ogni mille residenti, al Nord sono pensionati 84, nel Centro 272 e nel
Mezzogiorno 271; se si prende invece in esame il rapporto tra pensionati e
lavoratori la situazione si inverte: 692 al Nord, 719 nel Centro e 792 al
Sud. Un effetto combinato tra l'età media più giovane e la maggiore
disoccupazione, che nel Meridione è quasi doppia rispetto alla media
nazionale (19 contro 9% circa). L'importo complessivo delle pensioni è nelle
regioni settentrionali di 96.993 milioni di euro, in quelle centrali di
39.879 e nelle meridionali di 50.900 milioni. Un rapporto quasi di uno a due
tra gli estremi geografici, dovuto ai diversi importi medi delle prestazioni
e alla loro natura, prevalentemente assistenziale al Sud e contributiva nel
resto d'Italia; un dato confermato anche dal numero di pensioni percepite da
ciascun avente diritto grazie alla possibilità di cumulo, che al Sud è
maggiore rispetto alla media nazionale per gli uomini (1,32 contro 1,30), ma
minore per le donne (1,45 contro 1,48).
Dal sistema pensionistico a quello scolastico, anch'esso segnato
da un generale malfunzionamento nel Meridione del Paese di cui sono
indicatori la dispersione, l'abbandono, i percorsi accidentati più alti e le
peggiori performance negli studi. Tale disagio, che si palesa soprattutto
tra i 9 e i 14 anni, pone i ragazzi del Sud e delle Isole a una media di
punteggio in Matematica di 428 e 423, contro il 466 dell'Italia e il 489 dei
Paesi Ocse; in Lettura il Sud è a 445, le Isole a 434, l'Italia a 476 l'Ocse
a 488.
Lo stato di salute sulla popolazione ha mostrato importanti
progressi negli ultimi anni 50 anni, portando il nostro Paese dagli
ultimi ai primissimi posti nel mondo in termini di speranza di vita (76,7
anni per gli uomini, che equivale al terzo posto al mondo e 82,7 anni per le
donne, quarto posto al mondo). La mortalità infantile (prima del primo anno
di età in rapporto al numero di nati vivi), parametro largamente usato per
definire lo stato di salute di una popolazione, conferma: gli standard
italiani sono migliori degli inglesi e pari a francesi e tedeschi, con il
45% delle regioni a livelli molto buoni (inferiori al 3,9 per mille), contro
il 31% dei laender tedeschi.
Le differenze interne nel nostro paese arrivano però a
più del triplo, dal 2 al 6,3 per mille (mentre negli altri paesi sono più
contenute), e oltretutto nell'ultimo decennio si sono mantenute e, in alcuni
casi sono cresciute. Nel netto miglioramento generale, con una riduzione a
livello nazionale dall'8,2 per mille nel 1990 al 4,4 nel 2001, Sicilia e
Calabria sono ad esempio progredite più lentamente del Veneto.
Uno sguardo alla graduatoria di distribuzione territoriale
del potere economico per comparti e aree geografiche consente di
notare che le prime 20 posizioni in classifica sono occupate, sia nel 1991
sia nel 2001, da attività con base nel Centronord, con le uniche eccezioni
dell'occupazione nel sistema politico delle Isole (15° posto nel 2001) e del
Mezzogiorno (19sima posizione). Al contrario, in tutte le 10 posizioni in
coda alla graduatoria si trovano attività con base nel Meridione.
Anche la diffusione delle infrastrutture dell'Ict,
mostra un ritardo complessivo e appare altrettanto scarsa l'applicazione
delle politiche sociali per gli immigrati. "Soprattutto",
precisa Pugliese, "a causa della povertà e della sostanziale riduzione dei
finanziamenti in materia che si è verificata negli ultimi anni. In altri
termini il quadro legislativo e istituzionale è sostanzialmente immutato ma
i deficit di implementazione sono stati notevolissimi. Ed essi sono più
gravi proprio nel Mezzogiorno"
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