Nei commenti
sul terremoto che sta scuotendo il mondo del calcio si leggono molte
posizioni fra il nostalgico e il moralistico che auspicano un ritorno al
passato, al calcio povero del pallone con le stringhe, dominato dalla
passione e non rovinato dai soldi.
A nostro avviso, questa interpretazione dei fatti tende a
fare confusione fra diversi punti, che invece cercheremo di distinguere per
chiarezza di ragionamento.
Cosa è successo
Si ha nostalgia per un campionato più equilibrato, in cui
la distanza fra grandi e piccole squadre non sia così elevata. Che
l’equilibrio competitivo dei campionati europei in generale, e del nostro in
particolare, sia diminuito è un fatto acquisito,
qualunque indicatore si usi . Il motivo è palese: l’avvento di un
cambiamento tecnologico nelle tecniche di produzione, ossia la pay-tv.
Una tecnologia che permette il consumo contemporaneo e non-rivale del
prodotto ha immensamente allargato il mercato di riferimento soprattutto
delle grandi squadre, generando le condizioni per la nascita dell’economia
delle superstar (LINKAscari, 27/08/02). Questo è il punto di partenza del
ragionamento: è un punto di rottura forte col passato, e a nostro avviso, di
non ritorno. È inutile pensare che le piccole possano competere con le
superstar.
Federer-Volandri può essere vista da alcuni appassionati italiani,
Federer-Nadal è invece trasmessa in tutti i continenti; così Milan-Ascoli
interessa soprattutto i tifosi dell’Ascoli, ma Milan-Barcellona incuriosisce
i cinque continenti. I quali adesso possono godersela pagando i diritti tv
alle singole squadre. È inutile cercare di opporsi a questo cambiamento con
logiche di ritorno al passato: i cambiamenti di paradigma tecnologico vanno
assimilati, compresi e governati.
Cosa è successo
Il secondo fatto è che la fortissima asimmetria che si è
venuta a determinare ha rotto gli equilibri passati fra grandi e
piccole squadre, spezzando l’unità d’intesa all’interno della Lega. Gli
accordi vanno in frantumi proprio quando i partecipanti diventano molto
diversi fra loro: è normale che allora cambino gli incentivi di taluni a
rimanere legati all’intesa.
Ciò ha determinato, di fatto, una posizione dominante da parte delle
grandi squadre (sette in partenza, poi cinque, poi tre). Sottolineiamo che
la posizione dominante di per sé è perfettamente lecita: se basata su
competition on the merits, la normativa antitrust non la sanziona. Si
sanzionano invece eventuali comportamenti anticompetitivi che posizioni
dominanti tendono naturalmente a generare nelle imprese: la collusione (link
art. 81 Trattato sull’Unione Europea, già Trattato di Roma) e l’abuso di
posizione dominante (link art. 82). In un mercato non soggetto a questa
normativa o non soggetto a controllo, è più che naturale aspettarsi che le
imprese attuino tali comportamenti. In questo senso, si possono forse
interpretare gli sviluppi del sistema calcio negli ultimi anni. Per esempio,
in passato, molti commentatori hanno espressamente parlato di patti di non
belligeranza fra grandi squadre per le aste su alcuni giocatori. In termini
economici, si potrebbe interpretarlo come comportamento collusivo sul
mercato dei calciatori a danno del venditore, che tra l’altro, il più delle
volte, era un loro competitor. Nelle trattative sui diritti tv è chiara la
posizione dominante delle grandi squadre. Ancora su molti giornali era
apparsa la notizia che la Juventus avesse apposto una clausola nel contratto
con Sky, secondo la quale nessun’altra squadra poteva essere pagata di più.
Al di là della veridicità o meno di questa notizia, la riportiamo qui solo
come esempio di un caso classico d’abuso di posizione dominante.
Si comprende così la presenza di un conflitto d’interessi, che,
seppur diffuso nel nostro paese, ha assunto negli anni recenti dimensioni
addirittura mostruose nel calcio italiano. Dalla posizione di Franco Carraro,
a quella di Adriano Galliani, alla Gea: la collusione apparentemente
catturava il regolamentatore (la Figc), la Lega e il mercato dei giocatori e
anche i diritti tv, garantendo una protezione alle pratiche collusive e non
invece agli anelli deboli del sistema (piccole squadre, arbitri, eccetera).
Tutte cose più volte scritte da molti giornali.
Quello che è successo si può quindi forse sintetizzare così: il vecchio
modello organizzativo del sistema calcio italiano non è più adatto al
recente cambiamento radicale di questo mercato, dovuto a sviluppi
tecnologici irreversibili. Il problema è di governance: servono nuove
istituzioni e nuove regole.
Se e in che modo l’interpretazione proposta sopra dei fatti sia corretta e
applicabile al calcio è materia da giuristi. In questo senso, non ci poteva
essere miglior scelta come commissario Figc di Guido Rossi: insigne
giurista, padre della legge antitrust italiana del 1990 che porta il suo
nome, scrittore di libri che da anni denunciano i conflitti d’interessi del
capitalismo italiano.
Il terzo fatto è invece l’illecito sportivo che i giudici perseguono
come ipotesi di reato da parte di alcuni dirigenti, arbitri. Qui l’analisi
economica ha poco da dire, e forse la posizione moralista potrebbe avere le
sue ragioni: è più facile che si verifichino comportamenti illeciti quando i
vantaggi economici sono più importanti. Ergo i soldi hanno inquinato il
pallone e si esorta quindi a un ritorno ai valori fondanti dello sport, con
la bizzarra implicazione di policy che si dovrebbe depauperizzare il sistema
(pensate ad allargare questa logica a tutti i settori in cui si verificano
illeciti). Ovviamente, basterebbe osservare che il mondo è pieno di
bellissimi e appassionanti sport in cui circolano un mucchio di soldi senza
che per questo si verifichino illeciti a livello di sistema: basket Usa,
automobilismo, tennis, e così via…
Cosa succederà
Il problema non è l’etica, che non nasce spontanea, ma
disegnare una nuova governance e incentivare comportamenti consoni con
regole e controlli.
Inoltre, si dovrebbe pensare un nuovo ambiente adatto alla nuova situazione
produttiva dello spettacolo sportivo calcio.
Non ha senso riportare a livello Milan e Ascoli. La conseguenza sarebbe che
l’Italia perderebbe l’attenzione dei cinque continenti. Bisogna d’altro
canto far sì che si giochi fra pari, altrimenti lo spettacolo sportivo ne
soffre: non è divertente vedere partite giocate a una sola porta.
Il cambiamento tecnologico ci porta a una sola possibile risposta: la
superlega europea, ossia una serie A europea, possibilmente aperta, alla
quale si accede tramite promozione attraverso playoff fra i primi posti dei
campionati (a quel punto di serie A2) nazionali e le ultime della superlega.
Il sistema europeo diventerebbe quindi un sistema chiuso nel suo complesso
in cui allora sarebbe sì possibile implementare tutte le varie possibili
norme per garantire un equilibrio competitivo, come salary cap,
mutualità, rookie draft, eccetera.
Spiace per i nostalgici, ma ci arriveremo.
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