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18/05/2006 Nostalgia e Moralismo non servono (Guido Ascari, www.lavoce.info)

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    TUTTOFRANCOBOLLI per iniziare o continuare una collezione a prezzo favorevole o per regalare una bella collezioncina ad un giovane

    Nei commenti sul terremoto che sta scuotendo il mondo del calcio si leggono molte posizioni fra il nostalgico e il moralistico che auspicano un ritorno al passato, al calcio povero del pallone con le stringhe, dominato dalla passione e non rovinato dai soldi.

    A nostro avviso, questa interpretazione dei fatti tende a fare confusione fra diversi punti, che invece cercheremo di distinguere per chiarezza di ragionamento.

    Cosa è successo

    Si ha nostalgia per un campionato più equilibrato, in cui la distanza fra grandi e piccole squadre non sia così elevata. Che l’equilibrio competitivo dei campionati europei in generale, e del nostro in particolare, sia diminuito è un fatto acquisito, qualunque indicatore si usi . Il motivo è palese: l’avvento di un cambiamento tecnologico nelle tecniche di produzione, ossia la pay-tv. Una tecnologia che permette il consumo contemporaneo e non-rivale del prodotto ha immensamente allargato il mercato di riferimento soprattutto delle grandi squadre, generando le condizioni per la nascita dell’economia delle superstar (LINKAscari, 27/08/02). Questo è il punto di partenza del ragionamento: è un punto di rottura forte col passato, e a nostro avviso, di non ritorno. È inutile pensare che le piccole possano competere con le superstar.
    Federer-Volandri può essere vista da alcuni appassionati italiani, Federer-Nadal è invece trasmessa in tutti i continenti; così Milan-Ascoli interessa soprattutto i tifosi dell’Ascoli, ma Milan-Barcellona incuriosisce i cinque continenti. I quali adesso possono godersela pagando i diritti tv alle singole squadre. È inutile cercare di opporsi a questo cambiamento con logiche di ritorno al passato: i cambiamenti di paradigma tecnologico vanno assimilati, compresi e governati.

    Cosa è successo

    Il secondo fatto è che la fortissima asimmetria che si è venuta a determinare ha rotto gli equilibri passati fra grandi e piccole squadre, spezzando l’unità d’intesa all’interno della Lega. Gli accordi vanno in frantumi proprio quando i partecipanti diventano molto diversi fra loro: è normale che allora cambino gli incentivi di taluni a rimanere legati all’intesa.
    Ciò ha determinato, di fatto, una posizione dominante da parte delle grandi squadre (sette in partenza, poi cinque, poi tre). Sottolineiamo che la posizione dominante di per sé è perfettamente lecita: se basata su competition on the merits, la normativa antitrust non la sanziona. Si sanzionano invece eventuali comportamenti anticompetitivi che posizioni dominanti tendono naturalmente a generare nelle imprese: la collusione (link art. 81 Trattato sull’Unione Europea, già Trattato di Roma) e l’abuso di posizione dominante (link art. 82). In un mercato non soggetto a questa normativa o non soggetto a controllo, è più che naturale aspettarsi che le imprese attuino tali comportamenti. In questo senso, si possono forse interpretare gli sviluppi del sistema calcio negli ultimi anni. Per esempio, in passato, molti commentatori hanno espressamente parlato di patti di non belligeranza fra grandi squadre per le aste su alcuni giocatori. In termini economici, si potrebbe interpretarlo come comportamento collusivo sul mercato dei calciatori a danno del venditore, che tra l’altro, il più delle volte, era un loro competitor. Nelle trattative sui diritti tv è chiara la posizione dominante delle grandi squadre. Ancora su molti giornali era apparsa la notizia che la Juventus avesse apposto una clausola nel contratto con Sky, secondo la quale nessun’altra squadra poteva essere pagata di più. Al di là della veridicità o meno di questa notizia, la riportiamo qui solo come esempio di un caso classico d’abuso di posizione dominante.
    Si comprende così la presenza di un conflitto d’interessi, che, seppur diffuso nel nostro paese, ha assunto negli anni recenti dimensioni addirittura mostruose nel calcio italiano. Dalla posizione di Franco Carraro, a quella di Adriano Galliani, alla Gea: la collusione apparentemente catturava il regolamentatore (la Figc), la Lega e il mercato dei giocatori e anche i diritti tv, garantendo una protezione alle pratiche collusive e non invece agli anelli deboli del sistema (piccole squadre, arbitri, eccetera). Tutte cose più volte scritte da molti giornali.
    Quello che è successo si può quindi forse sintetizzare così: il vecchio modello organizzativo del sistema calcio italiano non è più adatto al recente cambiamento radicale di questo mercato, dovuto a sviluppi tecnologici irreversibili. Il problema è di governance: servono nuove istituzioni e nuove regole.
    Se e in che modo l’interpretazione proposta sopra dei fatti sia corretta e applicabile al calcio è materia da giuristi. In questo senso, non ci poteva essere miglior scelta come commissario Figc di Guido Rossi: insigne giurista, padre della legge antitrust italiana del 1990 che porta il suo nome, scrittore di libri che da anni denunciano i conflitti d’interessi del capitalismo italiano.
    Il terzo fatto è invece l’illecito sportivo che i giudici perseguono come ipotesi di reato da parte di alcuni dirigenti, arbitri. Qui l’analisi economica ha poco da dire, e forse la posizione moralista potrebbe avere le sue ragioni: è più facile che si verifichino comportamenti illeciti quando i vantaggi economici sono più importanti. Ergo i soldi hanno inquinato il pallone e si esorta quindi a un ritorno ai valori fondanti dello sport, con la bizzarra implicazione di policy che si dovrebbe depauperizzare il sistema (pensate ad allargare questa logica a tutti i settori in cui si verificano illeciti). Ovviamente, basterebbe osservare che il mondo è pieno di bellissimi e appassionanti sport in cui circolano un mucchio di soldi senza che per questo si verifichino illeciti a livello di sistema: basket Usa, automobilismo, tennis, e così via…

    Cosa succederà

    Il problema non è l’etica, che non nasce spontanea, ma disegnare una nuova governance e incentivare comportamenti consoni con regole e controlli.
    Inoltre, si dovrebbe pensare un nuovo ambiente adatto alla nuova situazione produttiva dello spettacolo sportivo calcio.
    Non ha senso riportare a livello Milan e Ascoli. La conseguenza sarebbe che l’Italia perderebbe l’attenzione dei cinque continenti. Bisogna d’altro canto far sì che si giochi fra pari, altrimenti lo spettacolo sportivo ne soffre: non è divertente vedere partite giocate a una sola porta.
    Il cambiamento tecnologico ci porta a una sola possibile risposta: la superlega europea, ossia una serie A europea, possibilmente aperta, alla quale si accede tramite promozione attraverso playoff fra i primi posti dei campionati (a quel punto di serie A2) nazionali e le ultime della superlega.
    Il sistema europeo diventerebbe quindi un sistema chiuso nel suo complesso in cui allora sarebbe sì possibile implementare tutte le varie possibili norme per garantire un equilibrio competitivo, come salary cap, mutualità, rookie draft, eccetera.
    Spiace per i nostalgici, ma ci arriveremo.


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