Che storia avremmo avuto se Ferdinando II di Borbone non fosse morto nel
1859? Quale “risorgimento” ci sarebbe stato se Francesco II fosse andato di
persona a difendere la Sicilia nel ’60? Che Sud avremmo avuto se i Borbone
avessero governato magari fino ad oggi? Quale cultura e quale economia avrebbe
avuto il Regno delle Due Sicilie senza l’invasione piemontese?
Se è certo che dopo l’unificazione italiana fummo costretti ad essere prima
briganti e poi
emigranti, è altrettanto certo che i
Meridionali, senza le imposizioni piemontesi e senza le violenze fisiche e
morali arrivate insieme alle baionette dei bersaglieri, non avrebbero mai
iniziato una guerra tanto devastante come quella che in pochi mesi si diffuse in
tutto il Regno.
Nella storia del nostro Sud, del resto, per motivazioni di carattere
essenzialmente religioso e culturale, raramente i popoli Meridionali avevano
impugnato spade, picche o fucili: non a caso questo succede proprio nel 1799
(Repubblica di Murat) e nel 1860 di fronte, cioè, a due invasioni straniere che
stavano minacciando la vita stessa di un popolo anche nei suoi valori più
profondi e radicati.
I Meridionali capirono che era necessaria una difesa proprio perché si trovavano
contro un nemico che avrebbe condizionato anche la loro storia futura.
Nessun brigante, allora, sarebbe sceso in guerra se i Borbone avessero avuto la
possibilità di governare nel Sud. E briganti sarebbero rimasti quei pochi
delinquenti comuni che pure esistevano nel regno borbonico come in tutti gli
altri paesi del mondo, in percentuali pari a quelle degli altri Paesi anche
italiani e certo non tali da giustificare l’invio di centinaia di migliaia di
soldati piemontesi per oltre dieci anni: basterebbe semplicemente e banalmente
questo dato per distruggere le basi di una tesi storiografica molto diffusa
presso la cultura ufficiale e accademica secondo la quale il brigantaggio
post-unitario continuava una storia iniziata quasi nel periodo medioevale.
E
nessun emigrante, probabilmente, avrebbe conosciuto l’America o l’Australia o il
Belgio o la Germania. Prima dell’unificazione italiana nessuno era stato
costretto ad emigrare e senza le scelte politiche ed economiche del nuovo
governo unitario avremmo continuato a lavorare e a vivere dignitosamente nella
nostra terra.
Né briganti né emigranti, dunque, nel Sud che poteva essere e che non è stato.Né
briganti né emigranti se riflettiamo magari sui fatti più significativi degli
ultimi anni e degli ultimi mesi di vita del Regno delle Due Sicilie, cercando di
capire quali prospettive avrebbe avuto il Sud in uno stato ancora autonomo.È
opportuno prima di tutto indicare alcune linee di sviluppo dell’economia
meridionale pre-unitaria:
Le monete degli antichi Stati italiani al momento dell’annessione ammontavano a
686 milioni così ripartiti (valori
espressi in milioni):
Regno delle Due Sicilie,
443,2
Lombardia 8,1
Ducato di Modena 0,4
Parma e Piacenza 1,2
Roma 35,3
Romagna, Marche e Umbria 55,3
Sardegna 27,0
Toscana 85,2
Venezia 12,2
Una delle risorse più ricche di prospettive era e sarebbe stata quella del mare:
i Borbone dimostrarono di aver capito concretamente l’importanza commerciale e
strategica del Mediterraneo. Nel 1856 nella sola capitale c’erano
25 compagnie di navigazione; la prima, la
più poderosa in Italia, era la Società di navigazione delle Due Sicilie: le navi
napolitane toccavano tutti i porti del Mediterraneo, attraversavano l’Atlantico
arrivando fino a New York, Boston, fino al Brasile, alla Malesia o all’Oceania.
Nel giugno del 1854 per la prima volta una nave
italiana a vapore, dopo 26 giorni di navigazione, arrivò a New York: era
il piroscafo Sicilia, voluto da Ferdinando II «per il tragitto periodico tra i
Reali Dominii e le Americhe [...] spezialmente pel traffico di quelle derrate
che in lungo viaggio soggette andrebbero a deteriorarsi»
Alcuni anni dopo l’unità d’Italia, lungo la stessa rotta, quelle derrate saranno
tragicamente sostituite da milioni di Meridionali costretti ad emigrare.
Quali briganti e quali emigranti avremmo avuto se avessero assecondato lo
sviluppo dei cantieri di Castellammare (il cantiere più grande e moderno
d’Europa nel 1860) con i suoi 1800 operai?
A Pietrarsa avevamo la più grande fabbrica metalmeccanica con 1050 operai mentre
l’Ansaldo a Genova ne occupava solo 480 e la FIAT non era ancora nata.
Per non parlare degli oltre 2000 addetti complessivi delle ferriere di Mongiana
in Calabria.
Chiusero quasi tutte queste fabbriche perché
fummo conquistati ed era normale che i conquistatori facessero di tutto
per chiuderle e per farci diventare una loro colonia. Ed è normale che oggi
anche pasta e pomodori vengano dal Nord.
Chiusero perché delle 600 locomotive occorrenti alle ferrovie italiane solo 70
furono ordinate a Pietrarsa. E agli operai della nostra antica fabbrica voluta
da Ferdinando II «per affrancarci dal braccio straniero», quando si riunirono
nel cortile per protestare contro i licenziamenti, spararono con le baionette:
quattro di loro furono ammazzati e sono stati dimenticati anche se sono stati i
primi martiri della storia operaia. Chiusero quelle fabbriche, vittime delle 34
nuove tasse del governo di Torino o schiacciate dalle politiche prima
liberistiche e poi protezionistiche funzionali solo allo sviluppo delle
industrie dell’Italia del Nord.
Che Sud ci sarebbe stato senza quell’unificazione
sbagliata?
In questa sintesi troppo breve si è cercato solo di trovare qualche indicazione.
Un Sud certamente senza briganti e senza emigranti, dove certamente non tutto
sarebbe stato perfetto ma un Sud con una precisa identità culturale, religiosa,
politica ed economica. Un Sud dove magari industria, agricoltura, commercio o
turismo avrebbero avuto un loro sviluppo forse lento ma adeguato alle esigenze
del territorio. Un Sud che in una confederazione di Stati italiani sarebbe stato
rispettato e avrebbe avuto il ruolo che gli spettava, un Sud rispettato e
protagonista anche in Europa e soprattutto nel Mediterraneo.
Se la storia dei se rischia spesso di perdere la sua scientificità, è davanti ai
nostri occhi la storia vera, quella che ha portato alla rivolta di un intero
popolo per oltre dieci anni, al suo massacro fisico e culturale, alla
distruzione della sua economia, alla sua colonizzazione, ad una diaspora che non
ha pari nella storia dell’umanità e che non è ancora terminata.
È storia di ieri e di oggi la totale assenza di una classe dirigente veramente
legata al Sud: quel rapporto diretto che avevamo con chi ci governava e che
spingeva Ferdinando II a dare fino a 50 udienze al giorno lo abbiamo perduto per
sempre nel 1860 ed è da allora, forse, che il Sud non è stato più difeso e
rappresentato come meritava.
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