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17/10/2006 Parigi ed Ankara, la Storia per Decreto (mazzetta, http://www.altrenotizie.org)

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In teoria è strano che un paese come la Francia cada in un errore come quello che ha recentemente commesso il suo parlamento emanando una legge che condanna penalmente chi neghi il genocidio degli armeni.
L’iter della legge è quanto di più classico, una sapiente opera della lobby armena in Francia, su un corpo politico già mal disposto verso l’ingresso della Turchia in Europa, che ha spinto i partiti ad emanare questa sciocchezza.
Purtroppo per la Francia la decisione, oltre a far adombrare i turchi, rappresenta un grave errore politico. Si tratta di un errore prima di tutto perché la storia non si fa certo per decreto, ma al limite instaurando una supremazia culturale attraverso le ricerche, la dialettica o la propaganda. La storia è sempre stata definita dai vincitori superstiti e in questo caso è evidente che il governo turco non è per nulla sconfitto, gli armeni non sono vincitori e i francesi non sono certo intitolati a fare “operazioni verità” sulla storia degli altri.


L’errore politico inoltre è doppio, anche qualora l’intento fosse quello di punire la Turchia o di ostacolarne l’ingresso a pieno titolo nella UE è più che evidente che il motivo non possa risiedere nel fatto che la storiografia turca cerchi di far dimenticare l’eccidio degli armeni di quasi un secolo fa. Anche i paragoni con le leggi sull’Olocausto sono malposti, non solo perché da parte israeliana non c’è molta disponibilità a concedere il brand “olocausto” agli armeni, ma anche perché lo stesso tipo di leggi si sono dimostrate strumenti inadeguati a contrastare proprio i tentativi di revisionismo di matrice nazifascista..

Che Chirac abbia chiesto scusa alla Turchia e che abbia garantito la non efficacia ulteriore del provvedimento, risulta come il tentativo di riportare alla realpolitick il tema del rapporto tra Europa e Ankara. Se il problema è quello di non voler ammettere la Turchia in Europa, meglio sarebbe sostanziarlo sulla realtà, anche se questa realtà non è benvenuta nei circoli atlantici. Il vero problema della Turchia non è il fatto che sia un paese a maggioranza islamica e neanche che la Turchia non riconosca il massacro di novant’anni fa. Il vero problema della Turchia è che è retta da una diarchia civile-militare che non ha paragoni in Europa. Il vero problema della Turchia è che l’esercito conduce da anni una guerra contro la minoranza curda con metodi indegni di un paese civile.

Ciò che veramente dovrebbe impedire alla Turchia l’ingresso in Europa è il fatto che il governo sia evidentemente ostaggio dei militari e che questi siano al di sopra delle leggi e liberi di perseguire contro i curdi (ma anche contro parti politiche turche sgradite) un’azione di contrasto fatta attentati da attribuire a loro, omicidi mirati, torture e angherie sulla popolazione delle province orientali. La recente rivolta dell’esercito contro le accuse al generale Yasar Buyukanit (ora a capo dell’esercito), risoltasi con la rovina dei giudici (che lo accusavano di aver istituito una organizzazione simile alla Gladio, attraverso la quale praticare attentati da attribuire ai curdi ha fatto tremare il governo e temere il golpe) e con l’evidente intimidazione dei politici dovrebbe sollevare più di un allarme e di un dissenso.

La società turca è ostaggio dei militari, che hanno uno status e un potere (e un esercito) senza paragoni nel continente; un potere che deriva loro dal considerarsi i tutori della laicità dello Stato come da mandato del padre della patria Kemal Ataturk e rinvigorito dall’essere da tempo il bastione orientale del dispositivo militare della Nato. Un esercito imponente schierato alle porte del Medioriente è un “plus” che i governi occidentali non possono ignorare e al quale non vogliono rinunciare.

Ecco allora che per chi voglia contestare l’ingresso in Europa della Turchia non sia possibile brandire queste argomentazioni, sgradite ai potentati atlantici come ai populisti che soffiano sull’islamofobia. In presenza di questo garbuglio di veti incrociati e di ricatti più o meno evidenti alle opinioni pubbliche, gli armeni hanno avuto gioco facile, offrendo uno sfogo plausibile alle ostilità antiturche presenti nella società francese.

Ovviamente i turchi si sono offesi e il punto della discussione si è ulteriormente spostato, allontanandosi ancora di più dalla contingenza storica per rifugiarsi nell’empireo riservato gli accademici. Neanche la veemente reazione turca è riuscita a provocare l’emersione di una critica sull’assetto istituzionale turco o sull’oppressione e sul massacro dei curdi, con l’effetto non tanto paradossale per il quale - cercando di difendere la memoria delle vittime di un massacro consumato un secolo fa - si è steso un velo pietoso su un massacro in corso ai giorni nostri entro i confini della civile e laica Europa.

In definitiva la questione è semplice: può l’Europa ammettere tra i suoi membri un paese ostaggio dei militari, mentre questi perpetuano massacri e comportamenti contrari alle leggi fondanti della stessa UE e calpestano i diritti umani dei loro stessi cittadini?
La risposta dovrebbe essere decisamente negativa, ma purtroppo di questo non è ammesso dibattere, perché l’esercito turco gode di benevolenze fin troppo spiegabili là dove si localizza il vero potere occidentale; un potere che ha bisogno dell’esercito turco e che per questo impedisce sistematicamente che le sue discutibili operazioni e il suo potere possano essere messe all’ordine del giorno del dibattito pubblico e democratico.

In una situazione del genere non stupisce quindi che si lasci molto più spazio all’islamofobia e al genocidio degli armeni come strumenti critici all’ingresso turco nella UE, che a quelle che sarebbero critiche decisamente più “alte” ed aderenti alla preoccupante configurazione istituzionale turca, come alla dignità degli stessi dibattenti; per non parlare delle sofferenze del popolo curdo, abbandonato da tutti e represso come non mai nell’indifferenza generale.

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