In teoria è strano che un paese come la Francia cada in un errore
come quello
che ha recentemente commesso il suo parlamento emanando una legge
che condanna penalmente chi neghi il genocidio degli armeni.
L’iter della legge è quanto di più classico, una sapiente opera
della lobby armena in Francia, su un corpo politico già mal disposto
verso l’ingresso della Turchia in Europa, che ha spinto i partiti ad
emanare questa sciocchezza.
Purtroppo per la Francia la decisione, oltre a far adombrare i
turchi, rappresenta un grave errore politico. Si tratta di un errore
prima di tutto perché la storia non si fa certo per decreto, ma al
limite instaurando una supremazia culturale attraverso le ricerche,
la dialettica o la propaganda. La storia è sempre stata definita dai
vincitori superstiti e in questo caso è evidente che il governo
turco non è per nulla sconfitto, gli armeni non sono vincitori e i
francesi non sono certo intitolati a fare “operazioni verità” sulla
storia degli altri.
L’errore politico inoltre è doppio, anche qualora l’intento fosse
quello di punire la Turchia o di ostacolarne l’ingresso a pieno
titolo nella UE è più che evidente che il motivo non possa risiedere
nel fatto che la storiografia turca cerchi di far dimenticare
l’eccidio degli armeni di quasi un secolo fa. Anche i paragoni con
le leggi sull’Olocausto sono malposti, non solo perché da parte
israeliana non c’è molta disponibilità a concedere il brand
“olocausto” agli armeni, ma anche perché lo stesso tipo di leggi si
sono dimostrate strumenti inadeguati a contrastare proprio i
tentativi di revisionismo di matrice nazifascista..
Che Chirac abbia chiesto scusa alla Turchia e che abbia garantito la
non efficacia ulteriore del provvedimento, risulta come il tentativo
di riportare alla realpolitick il tema del rapporto tra Europa e
Ankara. Se il problema è quello di non voler ammettere la Turchia in
Europa, meglio sarebbe sostanziarlo sulla realtà, anche se questa
realtà non è benvenuta nei circoli atlantici. Il vero problema della
Turchia non è il fatto che sia un paese a maggioranza islamica e
neanche che la Turchia non riconosca il massacro di novant’anni fa.
Il vero problema della Turchia è che è retta da una diarchia
civile-militare che non ha paragoni in Europa. Il vero problema
della Turchia è che l’esercito conduce da anni una guerra contro la
minoranza curda con metodi indegni di un paese civile.
Ciò che veramente dovrebbe impedire alla Turchia l’ingresso in
Europa è il fatto che il governo sia evidentemente ostaggio dei
militari e che questi siano al di sopra delle leggi e liberi di
perseguire contro i curdi (ma anche contro parti politiche turche
sgradite) un’azione di contrasto fatta attentati da attribuire a
loro, omicidi mirati, torture e angherie sulla popolazione delle
province orientali. La recente rivolta dell’esercito contro le
accuse al generale Yasar Buyukanit (ora a capo dell’esercito),
risoltasi con la rovina dei giudici (che lo accusavano di aver
istituito una organizzazione simile alla Gladio, attraverso la quale
praticare attentati da attribuire ai curdi ha fatto tremare il
governo e temere il golpe) e con l’evidente intimidazione dei
politici dovrebbe sollevare più di un allarme e di un dissenso.
La società turca è ostaggio dei militari, che hanno uno status e un
potere (e un esercito) senza paragoni nel continente; un potere che
deriva loro dal considerarsi i tutori della laicità dello Stato come
da mandato del padre della patria Kemal Ataturk e rinvigorito
dall’essere da tempo il bastione orientale del dispositivo militare
della Nato. Un esercito imponente schierato alle porte del
Medioriente è un “plus” che i governi occidentali non possono
ignorare e al quale non vogliono rinunciare.
Ecco allora che per chi voglia contestare l’ingresso in Europa della
Turchia non sia possibile brandire queste argomentazioni, sgradite
ai potentati atlantici come ai populisti che soffiano sull’islamofobia.
In presenza di questo garbuglio di veti incrociati e di ricatti più
o meno evidenti alle opinioni pubbliche, gli armeni hanno avuto
gioco facile, offrendo uno sfogo plausibile alle ostilità antiturche
presenti nella società francese.
Ovviamente i turchi si sono offesi e il punto della discussione si è
ulteriormente spostato, allontanandosi ancora di più dalla
contingenza storica per rifugiarsi nell’empireo riservato gli
accademici. Neanche la veemente reazione turca è riuscita a
provocare l’emersione di una critica sull’assetto istituzionale
turco o sull’oppressione e sul massacro dei curdi, con l’effetto non
tanto paradossale per il quale - cercando di difendere la memoria
delle vittime di un massacro consumato un secolo fa - si è steso un
velo pietoso su un massacro in corso ai giorni nostri entro i
confini della civile e laica Europa.
In definitiva la questione è semplice: può l’Europa ammettere tra i
suoi membri un paese ostaggio dei militari, mentre questi perpetuano
massacri e comportamenti contrari alle leggi fondanti della stessa
UE e calpestano i diritti umani dei loro stessi cittadini?
La risposta dovrebbe essere decisamente negativa, ma purtroppo di
questo non è ammesso dibattere, perché l’esercito turco gode di
benevolenze fin troppo spiegabili là dove si localizza il vero
potere occidentale; un potere che ha bisogno dell’esercito turco e
che per questo impedisce sistematicamente che le sue discutibili
operazioni e il suo potere possano essere messe all’ordine del
giorno del dibattito pubblico e democratico.
In una situazione del genere non stupisce quindi che si lasci molto
più spazio all’islamofobia e al genocidio degli armeni come
strumenti critici all’ingresso turco nella UE, che a quelle che
sarebbero critiche decisamente più “alte” ed aderenti alla
preoccupante configurazione istituzionale turca, come alla dignità
degli stessi dibattenti; per non parlare delle sofferenze del popolo
curdo, abbandonato da tutti e represso come non mai
nell’indifferenza generale.
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