Si parla di impoverimento continuo, di difficoltà delle famiglie ad
arrivare alla fine del mese; temi più che rilevanti e preoccupazioni
rispettabili. Spesso si incolpa
l'euro o i commercianti , ma qualche volta si punta il dito accusatore
anche contro le tariffe dei servizi pubblici, e ci si
chiede se i consumatori siano veramente tutelati da chi le determina.
L'orientamento al mercato
La questione è particolarmente spinosa, poiché da diversi anni a questa
parte si è assistito a un processo di graduale liberalizzazione
– o quanto meno "orientamento al mercato" – di molti servizi
pubblici. Questa tendenza ha avuto realizzazioni ed effetti diversi nelle
diverse utility.
Nella telefonia, ormai siamo di fronte a un mercato dalla parvenze
concorrenziali, anche se dominato dal vecchio monopolista. In ogni caso, è
un mercato con dinamiche proprie e in forte evoluzione, tanto da meritare
un'analisi a parte.
Nel settore idrico, la riforma del 1994 (la "Legge Galli")
ha lentamente portato a superare la frammentazione dei servizi forniti nel
territorio, così che quasi in ogni provincia si sta gradualmente giungendo
ad avere un unico fornitore di tutti i servizi (acquedotto, fognatura e
depurazione).
Liberalizzazione certo non è un'espressione pertinente a descrivere quanto
avviene, ma "orientamento al mercato" sì: i sussidi pubblici non sono più
accettati, e anzi il prezzo dell'acqua deve salire per coprire il costo dei
pesanti investimenti necessari (1) e per incentivare il
risparmio idrico a favore delle generazioni future.
Parimenti, nei settori dell'energia, il processo di
orientamento al mercato si caratterizza per una maggiore attenzione alla
copertura dei costi del servizio attraverso la tariffazione e per una
maggiore trasparenza delle tariffe stesse. Qui, tale processo ha toccato
soprattutto il segmento all'ingrosso (si pensi ad esempio alla borsa
elettrica) ma, comunque, è sempre poca la concorrenza indotta: restano,
infatti, posizioni di enorme potere di mercato da parte di Eni ed Enel.
D'altro canto, è anche vero che i conti delle imprese di questi settori,
ormai tutte sul mercato azionario, devono rispettare criteri di mercato.
E l'impatto sulle famiglie
Come ha inciso questo processo di riforma sul budget delle famiglie
italiane? I cosiddetti "problemi di sostenibilità" nel consumo delle utility
di base sono aumentati o diminuiti? Analizzare i dati Istat sui consumi
delle famiglie consente di mettere in luce alcuni aspetti di rilievo.
(2)
Tra le tre utility "di base" qui considerate, il metano e gli altri
combustibili per riscaldamento sono quelle per cui si
spende di più: in media circa il 5-6 per cento del reddito delle famiglie
italiane. Non gran che, ma tale ammontare varia parecchio da Regione a
Regione, in considerazione di vari elementi che determinano effetti
contrastanti (tabella 1).
Da un lato, il Nord è più ricco, ma è anche più freddo, e questo richiede
maggiori spese per il riscaldamento (non a caso, in Sicilia la spesa per
riscaldamento è minima…). Dall'altro, mentre i prezzi dell'elettricità sono
uguali su tutto il territorio, quelli del gas e quelli dell'acqua presentano
differenze a volte colossali (e non sempre comprensibili). Ad esempio,
perché per riscaldarsi una famiglia dell'Emilia Romagna paga il 14 per cento
più di una famiglia piemontese? Non certo perché in Piemonte fa più caldo.
Si tratta quasi certamente di differenze di prezzo sulle quali occorrerà
riflettere meglio.
Anche se si guarda alla percentuale del reddito che si
spende per questi servizi, le differenze non riflettono la classica
dicotomia Nord-Sud. La Regione ove in media si spende meno (il 4,6 per cento
della spesa) è la Sicilia, probabilmente per ragioni climatiche. Quelle ove
si spende di più, Basilicata e Calabria (6,6 e 6,9 per cento della spesa):
qui il reddito basso non è neppure compensato da condizioni climatiche
sempre favorevoli.
Povertà e servizi di base
Tutto questo assume un rilievo particolare quando l'attenzione si
concentra sulle fasce più deboli. L'analisi a questo punto si scontra con un
limite oggettivo. In Italia non si è mai costruito un indice
sulla cui base definire – date le condizioni climatiche delle
diverse zone del paese – quanta energia e quanta acqua dovrebbe consumare
una famiglia per condurre una vita, non diciamo agiata, ma almeno sana.
Quindi, manca un parametro oggettivo che ci sappia dire cosa significa
"povertà" - in senso assoluto - con riferimento al consumo di questi servizi
di base (ad esempio, quella che in Gran Bretagna si chiama
"fuel poverty").
A partire dalle informazioni contenute nell'indagine Istat sui consumi delle
famiglie è comunque possibile individuare un livello minimo di
consumi in utility al di sotto del quale si può parlare di
"esclusione sociale", e valutare che una famiglia incontri problemi di
sostenibilità se per assicurarsi questi standard minimi di consumi deve
spendere una quota considerata eccessiva del proprio reddito
Seguendo questa logica, si scopre che una quota tra l'11 e il 15 per
cento delle famiglie italiane si trova a spendere per il paniere
minimo considerato più di questa soglia – ovvero ha problemi di
sostenibilità della spesa nei servizi di base – almeno per una delle tre
utility. Questa percentuale è più alta in alcune delle Regioni
tradizionalmente povere (Molise, Basilicata, Calabria), ma anche Regioni
quali Piemonte o Friuli – più ricche, ma anche più fredde – mostrano
tensioni da non trascurare.
Il processo di liberalizzazione ha acuito il problema? Per questi settori,
la risposta per ora sembra essere negativa. La quota di famiglie "sotto
stress" non cresce, anzi sembra diminuire. E in realtà se si guarda alla
dinamica dei prezzi (figura 1) si vede come gas ed elettricità
abbiano una dinamica dei prezzi in linea con l'indice generale
dell'inflazione: nonostante l'aumento del petrolio, l'operare dell'Autorità
per l'energia – almeno fino al 2003 – ha saputo proteggere i consumatori.
D'altra parte, i prezzi dell'acqua sono esplosi: +33 per
cento dal 1997 al 2003 in termini nominali, circa 15 per cento sopra il
tasso di inflazione. E questo è purtroppo solo l'inizio, stanti gli
investimenti ingenti che attendono il settore idrico nei prossimi anni.
Poiché elettricità e riscaldamento pesano di più nei bilanci familiari,
questo significa che in media i consumatori che spendono una quota troppo
elevata della loro spesa nelle utility di base sembra diminuire, proprio a
partire dal 2001.
Possiamo fare previsioni sul futuro immediato? Sul fronte idrico, le tariffe
continueranno a crescere, e su quello energetico presto o tardi le tariffe
risentiranno dell'aumento del prezzo del petrolio. E non è certo che le
Autorità locali preposte al servizio idrico integrato riusciranno a
concordare opportune articolazioni tariffarie con i rispettivi gestori, né
che – a livello nazionale, per gas ed elettricità - l'attuale
Autorità dell'energia sarà in grado di proteggere i consumatori
come quella precedente, guidata da Pippo Ranci.
Per ora, in termini di tariffe, le riforme in queste utility sembrano avere
funzionato in modo imperfetto, ma almeno ragionevole.
(1) Si stimano pari a 51 miliardi di euro nell'arco di
ventisei anni, di cui circa il 45 per cento per acquedotti e il 55 per cento
per fognatura e depurazione, (Comitato Risorse Idriche, Relazione al
Parlamento sullo Stato dei Servizi Idrici, 2003)
(2) R. Miniaci, C. Scarpa e P. Valbonesi (2004),
Restructuring Italian utility markets: household distributional effects.
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