La sintesi della più caotica - e alla fine quasi sorprendente - giornata
delle nomine Rai la dà, a tarda notte, un alto dirigente di An. ''Ad un certo
punto deve essere scattata una paura generale di rimanere fuori da un accordo
che nessuno, nei partiti, voleva raggiungere. E alla fine siamo rimasti fregati
noi". La Cdl, dunque, esce con le ossa rotte dalla prima tornata di nomine Rai.
In apparenza, l'investitura di Gianni Riotta, corsivista del Corsera in quota
Prodi, a nuovo direttore del Tg1, e del nuovo capo del personale Rai, Maurizio
Braccialarghe, centrista della prima ora, sono state salutate come frutto di
un'intesa bipartisan. Unica eccezione il voto della consigliera leghista,
Giovanna Bianchi Clerici, richiamata all'ordine da Maroni all'ultimo minuto,
quando la falange del Carroccio non ha più avuto la certezza di veder salvo il
"loro" direttore di Raidue, Antonio Marano. Nessun particolare scompiglio,
comunque; solo una simpatica nota di colore verde ad accompagnare una delle più
pesanti debacle che la Cdl abbia conosciuto negli ultimi tempi dopo le elezioni.
E successo, infatti, che al momento del voto sui nomi proposti con forza dal
direttore generale Cappon e dopo una lunga prolusione del consigliere azzurro
Giuliano Urbani, che perorava la causa attendista "per non dare uno schiaffo al
Parlamento", ancora orbo della commissione parlamentare di Vigilanza, Marco
Staderini, consigliere centrista fedelissimo di Casini, abbia spiazzato la
propria compagine di maggioranza in cda annunciando, con candore tutto
democristiano, che lui avrebbe votato con i consiglieri dell'Unione. Ad Urbani è
stato chiaro che al tavolo del termometro politico del Paese, la Rai appunto, si
stava consumando definitivamente lo strappo tra Casini e Berlusconi. E che nulla
sarebbe stato più come prima, soprattutto fuori dalla Rai e in area
centrodestra. L'unico modo per non far tracimare pesantemente all'esterno
l'immagine di una Cdl in disarmo è sembrato quello di votare le nomine con il
centrosinistra (solo due di un pacchetto certamente più ghiotto) rimandando i
chiarimenti politici interni e quelli - pruriginosi- sulla leadership lontano
dai cancelli velenosi di viale Mazzini. Bene Riotta, dunque. E anche
Braccialarghe. Tutti insieme appassionatamente. Ma senza convinzione alcuna.
Infatti, subito dopo il voto in cda, tra le file di ciò che resta della Cdl è
cominciata la resa dei conti. ''A mio parere - è infatti il commento, stavolta
pieno di desolazione, di un esponente di Forza Italia - avremmo dovuto resistere
un po' di più, almeno una settimana, e aspettare che si riunisse la
Vigilanza...'' Così non è stato. L'epilogo ha sorpreso molti. Da giorni ''cresceva''
la richiesta fatta dall'azzurro Paolo Bonaiuti e rilanciata dal presidente della
Camera Fausto Bertinotti, di aspettare per le nomine la convocazione della
Commissione di Vigilanza. Un modo, in buona sostanza, per ritardare il più a
lungo possibile la presa di possesso della tv pubblica da parte della
maggioranza di governo; i rituali della commissione, di stanza a San Macuto,
prevedono tempi biblici prima che possa emergere un qualsivoglia indirizzo dei
commissari ai vertici aziendali circa le nomine e le conseguenti scelte
editoriali. Del valzer di seggiole e poltrone, insomma, se ne sarebbe parlato
sotto Natale e chissà poi in quale clima politico dopo la Finanziaria.
La mossa di Staderini ha messo tutti con le spalle al muro. Tant'é che, come
vuole la tradizione, è subito partita una ridda di ipotesi, di veleni e
sospetti. C'e' stato chi ha subito prefigurato un ''inciucio'' trasversale, di
cui Riotta sarebbe solo il primo assaggio. Altri, non meno sconcertati, hanno
dovuto prendere atto che almeno Fi e An sarebbero stati tagliati fuori da
un'intesa raggiunta dai soli consiglieri della Rai del centrodestra, che quindi
avrebbero agito in piena autonomia, contro il mandato ricevuto dai partiti di
riferimento. Nella tarda serata di ieri, nel quartier generale di Forza Italia
la tensione si tagliava con il coltello: ''Ho sentito parlare di riunioni
notturne - ha riferito, a denti stretti, un alto dirigente di Forza Italia - tra
esponenti del consiglio. Non so se ci siano realmente state. Certamente la
sinistra ha giocato bene la partita, ma questo non spiega tutto. E' inspiegabile
il comportamento dei consiglieri della Cdl. Ci hanno fregati, non c'è che dire".
Così il clima in area Polo. Ma la sinistra, come al solito, non trova motivo
di festeggiare. Perché il sottile gioco di sponde che ha portato al risultato
delle nomine, è stato tutto diretto dai Ds e dalla Margherita, sordi ai richiami
di Bertinotti e del tutto incuranti delle richieste degli alleati minori. E i
"cespugli", nel loro piccolo, non l'hanno mandata giù. Le dichiarazioni di
alcuni alleati dell'Unione scattano una fotografia a tinte fosche, dove il
malumore è il sentimento dominante. All'appello non manca nessuno, Pdci, Prc,
Idv, Udeur e i Verdi che, addirittura, minacciano di aprire, sulla questione
Rai, uno scontro politico interno dagli incerti risultati. Il timore degli
alleati dell'Unione trova una sintesi nel comunicato del Pdci: "Le prossime
nomine ci diranno se queste appena effettuate siano o meno frutto di un accordo
tutt'altro che limpido con il centrodestra in pieno stile lottizzatorio…o,
viceversa, se vi sarà un rispetto del pluralismo politico, sociale e culturale
che trovi espressione con la valorizzazione delle molte ed importanti competenze
presenti in Rai". Insomma, dal momento che il cda rimane a maggioranza di
centrodestra, i "piccoli" dell'Unione temono che anche per le prossime nomine la
trattativa correrà sul canale privilegiato Ulivo-Udc-Fi-An, tagliando fuori gli
altri. Prodi, raccontano dirigenti dell'Unione, voleva fortemente Riotta e, dal
momento che la cacciata di Petroni continua ad apparire problematica, ha cercato
l'unica strada possibile, ovvero quella dell'intesa con la Cdl. Nell'area di
Rifondazione si respira la convinzione che senza il via libera di Berlusconi non
sarebbe stato possibile il voto bipartisan in cda. Ma è più il risentimento
della mancata consultazione da parte di Ds e Margherita a far parlare il ventre
molle del partito, non certo uno sguardo limpido sulla realtà del settimo piano
di viale Mazzini. Dove la Cdl è stata sconfitta non da accordi e sotterfugi, da
inciuci e intese trasversali intorno alle questioni più bollenti del conflitto
d'interessi e della modifica della legge Gasparri.
A "tradire" i suoi è stato l'Udc. E le voci di dissenso dell'Unione hanno
come unica, vera, motivazione la paura che il costituendo Partito Democratico
faccia man bassa dei posti chiave Rai lasciando agli alleati di coalizione solo
le briciole. La partita della tv pubblica, dunque, resta lo snodo dei prossimi
assetti politici a destra, al centro e a sinistra. E c'è ancora molto da vedere
prima di poter dire chi l'avrà vinta nell'Unione e nel Polo. Per entrambi ci
sarà sempre, ma in modo variabile, un Udc che potrà fare la differenza. Casini,
forse, non morirà berlusconiano. Di certo la Rai morirà democristiana.
Archivio Televisione
|