Il genere televisivo di
successo degli ultimi anni mostra segni di crisi. In attesa di conoscere
meglio il suo destino, un'analisi semiseria sulle potenzialità di un
cambiamento. Spazio a nuovi generi e a un mondo che aspetta solo di
essere raccontato.
La crisi economica, la crisi del settimo
anno, la crisi energetica non vi bastano? Da oggi possiamo discettare
anche su un'altra crisi che sta creando dolore e panico profondi ad
addetti ai lavori e non: quella dei reality. Sbarcati come una corazzata
sui palinsesti autunnali, i programmi di successo degli ultimi anni si
stanno leccando le ferite, con investimenti industriali salatissimi (e
al tempo stesso molto redditizi) inchiodati ad un ascolto misero del
15-16% di share (solo l’Isola dei Famosi tiene). br>
È crisi, gente! Ormai lo dicono tutti: i giornali che fino a ieri
dedicavano pagine di inchiostro al genere, i vari Vespa e Mentana che
l’anno scorso non parlavano d’altro, gli stessi produttori TV. Il più
lacrimoso è Paolo Bassetti, patron di Endemol, società che
produce il flop Realtà Circus. ''Lancio una proposta alla
concorrenza – ha detto - facciamo finire i reality alle 23,30”. Senza
dubbio, un consiglio per venire incontro alla stanchezza del pubblico,
ormai stufo di aspettare l’una di notte per sapere chi la spunterà nella
corsa alla nomination. Molto più probabilmente, l’invito a salvare il
salvabile di fronte a programmi dalle uova d’oro che rischiano prima o
poi di essere messi da parte. E l’ipotesi, per chi fa TV e ruota intorno
a quel mondo, è semplicemente tragica.
Sembra già di vederli i nani e le ballerine in attesa di sbarcare su
isole, circhi e case varie, tutti sgomenti di fronte all’ipotesi di
valorizzare le capacità piuttosto che la popolarità. E che dire della
schiera di autori costretti a inventarsi nuove idee senza più vivere di
rendita, tornando magari a pensare ad una TV di scrittura e non di
improvvisazione? Idem anche per produttori e loro amici, ormai abituati
a pianificare i programmi esclusivamente come prodotti "chiave in
mano", per cui si paga a scatola chiusa e si riceve un bel pacchetto
tutto compreso (la prima serata e le strisce quotidiane, ma anche
materiale umano per dibattiti e chiacchiere a volontà).
È proprio questa l’altra faccia della crisi del reality, niente altro
che una fisiologica trasformazione dei gusti del pubblico. Cambiamenti
che ogni tanto sono salutari perché, se gestiti bene, sono in grado di
portare una boccata d’aria fresca in una TV che comincia a puzzare di
vecchio. È arrivato il tempo della creatività, dunque, e forse
dell’impegno a fare della televisione e dei media in genere non solo una
semplice macchina da soldi. Del resto, c’è tutto un mondo che chiede di
essere raccontato, anche nel divertimento e nelle logiche dell’evasione
che ben si sposano con la forma culturale del mezzo. Dopo il reality, il
nulla? Non proprio. Con un pizzico di inventiva, potrebbero arrivare
grandi cose.
Archivio Televisione
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