I terremoti si possono prevedere. Non alla maniera di Giuliani, però.
Si capiscono studiando i movimenti delle placche tettoniche, prendendo
in esame una zona che tende a fratturarsi e esaminando la frequenza
degli eventi in quella zona. Perché nei terremoti c'è una certa
regolarità, un ritmo. Ma la previsione non serve a ordinare
un'evacuazione, serve a sapere dove le case vanno costruite secondo
criteri antisismici. E il problema più grave dell'Italia è proprio
l'inadeguatezza delle infrastrutture anche di fronte a un sisma di
dimensioni relativamente modeste.
Quando lunedì il terremoto ha colpito
l’Abruzzo, in molti si sono ricordati di Giampaolo Giuliani, il
tecnico del laboratorio del Gran Sasso che una settimana prima
aveva cercato di allertare le autorità.
Ci si è domandati se gli scienziati che Giuliani chiama
"canonici" non avessero clamorosamente sbagliato a ignorare le
sue indicazioni: ogni sismologo si è sentito domandare, da
colleghi e da profani, se davvero il terremoto non si poteva
prevedere. TRA PROFEZIE E PREVISIONI
Quello dell’Abruzzo non è un stato un "grande" terremoto. In
altri paesi, scosse più intense fanno meno danni, meno vittime.
Nel 1989 il terremoto di Loma Prieta, a una cinquantina di
chilometri da San Francisco, ha rilasciato dieci volte
più energia di quello dell’Abruzzo. Quante vittime?
Sessantatré i morti, circa 3mila i feriti, 10mila gli sfollati.
I dati che arrivano dall’Abruzzo, ancora non definitivi, sono
già peggiori. Eppure, la regione che circonda la baia di San
Francisco è una delle aree metropolitane più densamente popolate
degli Stati Uniti.
Oggi i sismologi che si sentono porre la classica domanda sulla
possibilità di previsione, possono rispondere che, sì, i
terremoti si possono prevedere. Non alla maniera di Giuliani,
però. I terremoti si capiscono studiando i movimenti delle
placche tettoniche: vicino all'Italia quella
africana sprofonda sotto quella europea; l'attrito provoca
fratture che percepiamo sotto forma di terremoti. E si prevedono
prendendo in esame una zona che tende a fratturarsi, una zona
sismica, e studiando la frequenza dei terremoti
in quella zona. Da qualche decennio, esiste in Italia una
rete di sismometri che misurano le oscillazioni
del suolo, consentendo di misurare accuratamente e in tempo
reale
posizione e grandezza dei sismi. In questo modo è possibile,
tra l'altro, inviare i primi soccorsi nelle località più
colpite. Ai tempi del terremoto dell'Irpinia, in Italia questa
tecnologia non esisteva. Oggi esiste, funziona e nei giorni
scorsi ha salvato delle vite.
Altre misure si estrapolano da resoconti storici che descrivono
terremoti vecchi di secoli. Messi insieme i dati, ci si accorge
che nei terremoti c'è una certa regolarità, un
ritmo: la velocità con cui le placche si spostano rimane uguale
a se stessa per tempi "geologici": milioni di anni. Il ritmo
delle fratture è solo approssimativamente costante, però. Il
prossimo "big one" potrebbe arrivare tra un mese, un anno, dieci
anni. Differenze molto importanti, ma irrisorie
nella scala temporale della tettonica a placche. Per colpa di
queste differenze, le previsioni dei sismologi sono solo
statistiche:
mappe di pericolosità sismica, espresse "in termini di
accelerazione massima del suolo con probabilità di eccedenza del
10 per cento in cinquanta anni". Questo significa che un
abitante di Messina o di Udine ha il 10 per cento di probabilità
di essere colpito, nei prossimi cinquanta anni, da un terremoto
grande come quello dell'Abruzzo, o ancora peggiore.
Oggi i terremoti si prevedono così. Questo tipo di previsione
non serve a ordinare un’evacuazione, ma serve a sapere dove
occorre costruire meglio le case. Meglio non si può fare, perché
la frattura è un fenomeno caotico: basta una
piccola perturbazione nelle condizioni iniziali e tutto (il
luogo e l’ora del sisma, l’energia rilasciata) cambia, anche
parecchio: decine di chilometri, mesi, punti di magnitudo. Per
questo, anche lo sciame di piccoli terremoti registrati in
Abruzzo negli ultimi mesi non è servito a prevedere quello più
grande: esistono sciami di terremoti che non preludono a eventi
più grandi, e grandi terremoti che arrivano all’improvviso.
DISCUTERE DI RADON NON RAFFORZA LE CASE
I ricercatori studiano, naturalmente, tutti i fenomeni che
permettano di diagnosticare l’imminenza di un terremoto. Il
radon, ad esempio, è un gas radioattivo
sprigionato dalle rocce della crosta terrestre; da almeno trent’anni
si sa che le emissioni tendono a essere più intense in
corrispondenza di eventi sismici. Ci sono strumenti che rilevano
il radon emesso dal suolo in un determinato punto, e su uno di
questi strumenti Giampaolo Giuliani ha osservato, la settimana
scorsa e in altre occasioni, che il suolo abruzzese stava
emettendo più radon del normale. Ma come per gli sciami di
piccoli terremoti, anche le emissioni anomale di radon non sono
necessariamente segnali premonitori di un terremoto: c’è radon
senza terremoti e ci sono terremoti senza radon. In assenza di
un preciso modello scientifico, Giuliani non era nelle
condizioni di lanciare un allarme.
Ad ogni modo, continuare a dibattere il caso del radon distoglie
dal problema ben più grave dell’inadeguatezza delle
infrastrutture di fronte a un sisma di dimensioni
relativamente modeste. Ènecessario prevenirle adeguando le
infrastrutture ai rischi naturali
che ben conosciamo. Questa è la priorità numero uno. Una
volta adeguate le infrastrutture ci si potrà occupare di
early warning systems per attivare una serie di reazioni
quando si presenta un sisma. (1)
I terremoti non sono fatalità, ma eventi cui è
possibile far fronte preparandosi. Sapendo che la reazione a
certi pericoli non è perfettamente razionale, è importante
comunicare i rischi sismici in maniera chiara ed efficace alla
popolazione, attraverso simulazioni per
valutare che impatto avrebbero eventi del passato in condizioni
attuali. Ad esempio, come reagirebbero la Messina e la Reggio di
oggi a un sisma analogo a quello del 1908? Vi sono
organizzazioni, fra cui
Geohazard International, che sono impegnate su questo
fronte. In zone ad alto rischio, l'educazione
dei cittadini è fondamentale per trasmettere attraverso le
generazioni l'esperienza e la cultura della prevenzione.
Istituzioni che non riescono a prevenire rischi che in altri
paesi vengono gestiti in maniera "normale" devono prendere atto
del proprio fallimento.Ènecessario che comunichino con i
cittadini in maniera trasparente, e stabiliscano meccanismi per
far partecipare la popolazione alla gestione della
ricostruzione, non solo nella fase progettuale, ma anche nella
realizzazione degli interventi. Solo così ci sarà quell’accountability
diffusa necessaria perché il prossimo terremoto non abbia
conseguenze tanto drammatiche.
(1) Attenzione, i segnali partono quando si
verifica il sisma, allertando ad esempio i treni, per cui i
tempi di reazione sono estremamente compressi.
http://www.lavoce.info
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