vaticano in fibrillazione. Santa Sede sotto i riflettori. Torna alla ribalta la misteriosa - e mai chiarita - morte di papa Luciani dopo appena 33 giorni di pontificato. Ne parla Giovanni Minoli nella nuova serie di Mixer. Riaffiorano dubbi, incongruenze, versioni contrastanti, una verità ufficiale poco, pochissimo credibile. Un'autopsia mai fatta, rapide perizie nel segreto delle stanze vaticane, un cuore normale che improvvisamente cede; l'incredibile storia delle gocce di cardiotonico ingurgitate in eccesso dal papa, l'altra - invece - a base di una digitalina che non lascia traccia. Morto in piedi, oppure a letto? Mentre leggeva sacre scritture o abbozzava il nuovo organigramma dei vertici pontifici? Oppure cominciava a mettere nero su bianco le nuove regole da impartire a uno Ior recalcitrante davanti a ogni ipotesi di trasparenza, col "nemico" Marcinkus sempre alacremente all'opera? E poi il sogno di una suora, ricordato in uno scritto da monsignor Balthazar: due ombre si introducono furtive nella camera da letto di Luciani e nel suo bicchiere fanno scorrere il liquido di una misteriosa pozione. Dall'Inghilterra, intanto, lo scrittore-giornalista David Yallop - autore per Tullio Pironti di una celebre ricostruzione di quella "morte" - continua con pervicacia a sostenere la sua tesi: il papa venne "suicidato" .
Così come venne 'suicidato', sotto il ponte dei frati neri lungo il Tamigi a
Londra, il patròn del Banco Ambrosiano, Roberto Calvi. L'inchiesta è riaperta,
la famiglia dopo tanti anni vuole finalmente giustizia.
"Il rituale dell'esecuzione - scrive l'avvocato investigativo californiano
Jonathan Levy nel volume Tutto quello che sai è falso edito in Italia da Nuovi
Mondi Media - è tipicamente massonico, con delle grosse pietre nelle tasche". E
la matrice? Levy punta dritto in una direzione: quella dei poteri forti della
Chiesa, rappresentati secondo lui dall'Opus Dei, che - scrive - "ha desiderato
ardentemente la Banca Vaticana e i cui quartieri generali si trovano casualmente
a Londra".
La spiegazione, ricavata dalle conversazioni con un grosso banchiere
internazionale, viene così sintetizzata: "Mi spiegò che la banca di Calvi era
sull'orlo del collasso a causa della sparizione di centinaia di milioni di
dollari passati attraverso i flussi finanziari dello Ior che erano collegati al
riciclaggio di danaro della mafia. Preso dalla disperazione Calvi si trasferì a
Londra per ottenere un pacchetto finanziario di salvataggio proveniente da un
rappresentante anziano dell'Opus Dei". L'operazione però, secondo la
ricostruzione di Levy, non andò in porto e il corpo di Calvi fu trovato 'appeso'
sotto il ponte dei Blackfriars.
L'altra pista porta direttamente alla mafia, che si sarebbe vendicata
dell'affronto subito da Calvi, il quale non avrebbe restituito un'ingente somma
di danaro da 'ripulire' (utilizzato invece per riossigenere le casse
dell'Ambrosiano). Sul fronte dell'esecuzione, comunque, fa ancora capolino la
pista di camorra: "nei giorni in cui Roberto Calvi era a Londra - ricordano a
Scotland Yard - vennero segnalate diverse presenze interessanti: quella di
Flavio Carboni e di alcuni camorristi, fra cui Vincenzo Casillo". Luogotenente
di Raffaele Cutolo, soprannominato 'o nirone, in contatto con i servizi deviati
e in particolare col faccendiere Francesco Pazienza, Casillo due anni dopo saltò
per aria a Roma in un'auto imbottita di tritolo.
A fine settembre scorso, poi, due botti. A Londra la polizia decide di
riaprire le indagini su quella morte, a Roma l'inchiesta portata avanti dai pm
Luca Tescaroli (che ha già indagato sulla strage di Capaci) e Maria Monteleone
(casi Mitrokin e "spectre" all'italiana) si arricchisce di una verbalizzazione
esplosiva: un pentito di mafia, Vincenzo Calcara, per l'omicidio Calvi tira in
ballo Giulio Andreotti, elementi deviati dello Stato e dei Servizi, massoneria e
ambienti vaticani.
E sotto il Cupolone ci porta anche un'altra esistenza - e un'altra fine -
avvolta nel mistero: quella di Giorgio Rubolino, morto in piena calura
ferragostana, immediata la diagnosi d'infarto che non perdona, niente autopsia,
funerali in pompa magna in Vaticano, poi il silenzio. Fino alla decisione dei
magistrati romani, dopo neanche un mese, di vederci più chiaro, chiedendo la
riesumazione del cadavere per poter effettuare una normale autopsia. Ma chi era
Rubolino?
UNA VITA VORTICOSA
Il suo nome balza alle cronache nazionali per l'omicidio di Giancarlo Siani,
il giornalista ucciso il 23 settembre 1985 (vedi riquadro). Due anni dopo il
procuratore generale del tribunale di Napoli, Aldo Vessia, avoca a sé
l'inchiesta bollente, fino a quel momento capace solo di racimolare una serie di
flop.
Vessia vola negli Usa, e interroga Josephine Castelli, un'avvenente bionda al
centro di strani giri. Dopo un paio di mesi scattano le manette per il capoclan
di Forcella Ciro Giuliano, per un 'gregario', Giuseppe Calcavecchia, e per un
insospettabile, il ventiseienne Giorgio Rubolino, intimo di Josephine, una
stirpe di magistrati nel pedigree (il padre è stato pretore a Torre Annunziata),
già inserito negli ambienti che contano (fra le alte prelature soprattutto) e
nella Napoli bene.
Per lui inizia il calvario, quattordici mesi nel carcere di Carinola, fino a
quando una delle tante toghe che si sono alternate al capezzale di un'inchiesta
che non riesce a decifrare colpevoli (esecutori e, soprattutto, mandanti),
Guglielmo Palmeri - sorrentino d'origine e in ottimi rapporti con la famiglia
Rubolino - lo rimette in libertà (due mesi prima erano stati rilasciati anche
Giuliano e Calcavecchia). Cade il teorema Vessia, non regge l'ipotesi di un
omicidio eseguito dai Giuliano su ordine dei Gionta di Torre Annunziata. E,
soprattutto, sparisce la pista di via Palizzi. La pista che portava alla casa
d'appuntamenti, frequentata da giovanissime squillo (tra cui Josephine e la
sorella Pandora), e da vip della Napoli che conta: in primis, magistrati e
politici.
Fra le toghe, spicca il nome di Arcibaldo Miller, per anni pm di punta alla
procura di Napoli (sua la maxi istruttoria per il dopo terremoto finita in
prescrizione per tutti) e oggi 007 di punta del guardasigilli Castelli. Lo
stesso Miller - viene precisato in un documento al vetriolo elaborato dalla
camera degli avvocati penali di Napoli nel 1998 - ha subìto un procedimento per
"trasferimento d'ufficio" a causa di una serie di fatti, fra cui "l'aver
frequentato una casa di appuntamenti gestita da pregiudicati affiliati alla
camorra negli anni 1984-1985 in via Palizzi". Lo stesso Miller seguirà il caso
Siani: collaborerà proprio con Palmeri per cercare di sbrogliare quel
pasticciaccio brutto. Sempre più brutto. E, soprattutto, sempre senza colpevoli.
DA ROMA A LONDRA
Torniamo a Rubolino. Riacquistata la libertà, non riesce però a ritrovare
ancora la serenità. Vessia, infatti, ricorre contro la scarcerazione dei tre.
Trascorre un anno e, a dicembre 1989, la Cassazione respinge il ricorso,
confermando l'impostazione assolutoria di Palmeri. Il quale, però, non riesce
ancora a dare un volto, e tanto meno un nome, ai colpevoli. Né agli esecutori,
figurarsi ai mandanti.
Ma come era saltato fuori il nome di Rubolino per il caso Siani? Non solo dal
filone di via Palazzi, ma anche in seguito alle primissime indagini sulle
cooperative di ex detenuti che, proprio a partire dal 1985, a Napoli stavano
aggregandosi e iniziando a bussare con forza ai portoni di palazzo San Giacomo.
Il Comune - allora retto dal socialista Carlo D'Amato - nell'autunno '85
diede disco verde per l'ingresso fra i ranghi di ben 700 detenuti raggruppati in
sei liste ("La carica dei settecento", titolò la Voce in una cover story del
dicembre 1985): nei mesi seguenti un putiferio, una fortissima polemica a
sinistra, con una Lega delle cooperative alla deriva. "E' in quel contesto che
veniva fuori anche il nome di Rubolino - ricordano a palazzo di giustizia - una
storia intricata, tra minacce, camorra, affari e promesse. Insomma, una vera
giungla". Rubolino, riuscì a cavarsela. "Ma non la smetteva di ficcarsi sempre
in storie pericolose, sbagliate, comunque tra soldi, salotti e personaggi poco
raccomandabili".
Esce con la ossa rotte e il morale a terra, Rubolino, da queste vicende. Si
trasferisce a Roma. "Ha cercato di buttarsi tutto alle spalle e ricominciare da
capo. Ce l'ha messa tutta. Ha fatto anche un sacco di opere di bene,
volontariato, assistenza", racconta un amico. "Non c'è riuscito a rompere col
passato - aggiunge un operatore finanziario capitolino - aveva perso il pelo ma
non il vizio, continuava a frequentare ambienti dai miliardi facili e spesso
inesistenti". Due versioni contrastanti.
Un perverso destino, comunque, sembra perseguitarlo. Nel 1999 ri-finisce
nelle galere, questa volta londinesi, per una presunta truffa da 100 milioni di
sterline ai danni di una vera e propria istituzione britannica, la Cattedrale di
San Paolo. Il classico 'pacco' organizzato secondo il miglior copione di Totò
formato fontana di Trevi: siamo venuti qui (i Magi sono cinque, due italiani, un
finlandese, un canadese e un americano) per donarvi la bellezza di 50 milioni di
sterline. Unica piccola, microscopica condizione, quella che voi depositiate per
dieci giorni, appena dieci giorni, il doppio, ovvero 100 milioni, su un conto
svizzero. Nessuno li toccherà quei soldi, assicurano.
La truffa non riesce, i cinque finiscono in gattabuia, lui, Rubolino, viene
messo in libertà e prosciolto da ogni accusa. Anche la procura di Napoli, che si
era accodata con un suo filone investigativo, lo scagiona. E lui avvia un
procedimento per ottenere un indennizzo per quella ingiusta detenzione. "Ne
aveva raccolti, comunque, di soldi per le denunce fatte contro alcuni
giornalisti che lo avevano accusato per Siani - ricorda un amico - soldi che
donò in beneficenza".
STANLEY & PROMAN
Un anno fa la svolta sembra dietro l'angolo. Decide di cominciare a far sul
serio l'avvocato e, quindi, di iscriversi al consiglio dell'ordine di Roma.
Raccoglie la documentazione, presenta la domanda, altra delusione: c'è ancora
una pendenza con la giustizia, per via di un procedimento non ancora chiuso,
millantato credito. "Non è cosa - raccontano ancora nel suo entourage - non è
cosa, ha pensato. Ed è ripiombato nei suoi problemi, nella sua tristezza di
prima, quando subiva accuse e attacchi". La voglia di business, comunque, non lo
abbandona: per lui è una seconda pelle, una droga, non può farne a meno.
Ed eccolo entrare nei santuari della finanza, acquisire partecipazioni
azionarie, frequentare il mercato ristretto e la City.
Un bel giorno, diventa il padrone di una misteriosa sigla, Proman. A quel
punto, le voci cominciano a rimbalzare. Perché lui risulta "intestatario
fiduciario". Di chi, di cosa?
Ma vediamo cosa è Proman. A quanto pare si tratta di una società a
responsabilità limitata. Nel suo portafoglio spicca una partecipazione di lusso,
il 25 per cento delle azioni Stayer, una grossa sigla nel settore elettrico,
avamposti a Ferrara e Rovigo, interessi in mezzo mondo. Un'altra consistente
fetta di Stayer - pari al 29 per cento del pacchetto azionario - fa capo a Efi,
ovvero European Financial Investments, a sua volta controllata da un'altra
sigla, Danter.
Efi, dal canto suo, naviga in acque agitate, trovandosi in amministrazione
controllata, per i problemi finanziari che stanno passando i fratelli
Bergamaschi, suoi soci di riferimento, e un pignoramento azionario effettuato da
un creditore, la Euroforex. E' per questo motivo che l'assemblea straordinaria
di Stayer convocata lo scorso 27 agosto per deliberare l'aumento di capitale a
10 milioni di euro, è saltata. Ma non solo per questo. Ecco cosa scrive, proprio
quel giorno, un dispaccio dell'agenzia Reuter: "Il 26 agosto scorso Stayer ha
ricevuto una comunicazione dall'intermediario presso cui sono depositati i
titoli che informava del decesso di Rubolino e affermava che i diritti sulla
partecipazione spettano ai suoi eredi.
Stayer - viene aggiunto nel comunicato - non sa se e come Proman intende
resistere contro questa posizione dell'intermediario".
Resta il mistero Proman. Nei cervelloni Cerved, collegati con tutte le camere
di commercio italiane, non v'è traccia di Proman spa. Né si segnala alcuna
Proman nel cui carniere figuri una qualsiasi partecipazione azionaria di Stayer.
Un bel rebus. Val la pena, comunque, di scorrere la lista dei soci targati
Stayer. A parte due medi azionisti (Gianfranco Fagnani e Roberto Scabbia), fanno
capolino quattro sigle. A parte un'italiana (BSPEG SGR spa, una società di
gestione del risparmio privato, con 140 mila azioni), le altre tre sono estere.
Le quote minori fanno capo a Electra Investiment Trust Plc (26 mila azioni) e a
Power Tools International (30 mila azioni). A far la parte del leone c'è Ipef
Parters Limited (664 mila azioni), sigla londinese.
Osserva un operatore finanziario milanese: "Potrebbe esserci la presenza di
Ipef nell'azionariato di Proman. Il mistero comunque è fitto". E resta un
mistero, per ora, la destinazione finale delle azioni Proman: rimarranno nelle
mani delle due sorelle di Rubolino, o che fine faranno? E cosa c'è dietro il
reticolo di sigle, incroci azionari, spesso e volentieri giocati oltremanica? Un
gioco forse pericoloso?
Il 28 luglio scorso, poi, l'infarto. Una vita stroncata a 42 anni, dopo
un'inutile corsa all'Aurelia Hospital, "dove però è giunto privo di vita",
commenta in un dettagliato reportage il Mattino. L'autopsia - scrive il solerte
cronista, Dario Del Porto - "ha chiarito immediatamente la natura del malore". E
a scanso di equivoci aggiunge: "Del caso pertanto non è stata neppure
interessata la procura di Roma". E ancora, ad abundantiam: "sulle ultime ore
dell'uomo non sembrano esserci misteri. Rubolino è stato colpito da un arresto
cardiocircolatorio manifestatosi durante la notte nell'abitazione della capitale
dove si era trasferito ormai da anni".
Altri commenti nel racconto della cerimonia funebre - che si è svolta nella
chiesa di Sant'Anna dei Palafrenieri, l'unica parrocchia dello Stato Vaticano -
per la penna di un vaticanista doc, Alceste Santini. "Si può, quindi, dire che
Giorgio Rubolino ha avuto il privilegio di avere avuto la celebrazione delle
esequie, non solo in una chiesa ambita da molti nei momenti di gioia o di dolore
come nel suo caso, ma in un luogo, qual è lo Stato Città del Vaticano, in cui la
penitenza si intreccia con il perdono come sofferente superamento dei peccati e
degli atti illeciti commessi nella vita".
Equilibrismi logici e sintattici a parte, Santini riesce comunque a porsi
qualche interrogativo. Per celebrare in Sant'Anna ci vuole la chiave giusta:
"occorre una particolare autorizzazione - scrive Santini - ciò rivela che chi ne
ha fatto richiesta aveva ed ha entrature nel mondo vaticano. I parenti? Gli
amici? Non è dato saperlo". Avvolti nel dubbio amletico, riusciamo però a sapere
che fra le personalità presenti alla cerimonia c'erano "i parenti e gli amici di
Giorgio, fra cui il senatore a vita Emilio Colombo e altri esponenti della
borghesia napoletana".
A officiare la messa funebre il cappellano delle guardie svizzere, Alois
Jehle.
CASO SIANI A SENSO UNICO
Caso Siani. Chiuso per sentenza. La Cassazione ha ormai inchiodato i
colpevoli dei clan torresi che - secondo la ricostruzione del pm Armando
D'Alterio - decisero ed eseguirono quell'omicidio. Una volta tanto, la parola
fine. Tutto chiaro, allora? Molti dubbi restano in piedi. Vediamo quali.
Il movente. Debole. Debolissimo. Un articolo scritto mesi prima. "Per punire
lo sgarro", hanno spiegato gli inquirenti. "In quell'articolo Siani faceva
capire che i Nuvoletta avrebbero tradito i Gionta. Per mettere le cose a posto e
recuperare l'onore, la cosa andava lavata col sangue". Credibile? Possibile che
una camorra allora più che mai rampante avesse deciso di tirarsi addosso
riflettori, inquirenti, forze dell'ordine?
Un articolo non (ancora) scritto è molto più pericoloso di uno già scritto.
Non ci vuole la maga per intuirlo, solo un minino di fiuto e buon senso. Quello
che non sembra aver smarrito Amato Lamberti, presidente della Provincia di
Napoli e a quel tempo (siamo nel 1985) responsabile dell'Osservatorio sulla
camorra, avamposto, in quegli anni, per scrutare, capire e radiografare i
movimenti, le mutazioni e le infiltrazioni della Camorra spa. Lamberti fu
l'ultima persona a sentire Giancarlo, avevano appuntamento per la mattina dopo,
ma "lontani dal Mattino", come raccomandava Giancarlo. Un appuntamento andato a
vuoto, perché la sera prima l'abusivo e ormai prossimo praticante giornalista
veniva freddato a bordo della sua Mehari in piazza San Leonardo al Vomero, a un
passo da casa. "Non era particolarmente preoccupato - ricorda Lamberti - però
doveva dirmi una cosa che gli premeva. Ed era urgente. Stava lavorando ad
un'inchiesta per la rivista dell'Osservatorio sugli intrecci
politica-affari-camorra nell'area torrese. Uno dei grossi affari, allora, era
rappresentato da un'area, il quadrilatero delle carceri. E lui stava mettendo il
naso in quei rapporti, sia sui referenti locali, che su quelli più in su, di
imprese e camorristi".
A corroborare la tesi di Lamberti, un docente universitario, Alfonso Di Maio,
padre di uno dei pm più in vista, oggi, alla procura di Salerno. La Voce lo
intervistò dieci anni fa. "Avevo incontrato diverse volte Giancarlo in quegli
ultimi mesi - affermava Di Maio - stava lavorando, mi raccontava, a una grossa
inchiesta sugli appalti nell'area stabiese. In particolare, voleva capire se
dietro al paravento di un'impresa ci fosse lo zampino di qualche politico
eccellente e operazioni di riciclaggio della camorra". Il nome dell'impresa era
Imec (del gruppo Apreda, poi acquirente addirittura della Buontempo Costruzioni
Generali), quello del politico Francesco Patriarca, ras gavianeo della zona, ex
sottosegretario alla marina mercantile. Di Maio cercò di raccontare quei fatti
alla magistratura. Senza riuscirci. "Mi presentai in procura. Parlai col dottor
Arcibaldo Miller. Mi disse che ne avrebbe riferito al dottor Guglielmo Palmeri
che seguiva di persona l'indagine. Sono andato due volte in procura, dietro
appuntamento, ma non sono stato mai ricevuto. Allora non mi fu data la
possibilità di verbalizzare quel che sapevo sulle ultime settimane di Siani".
Parole dure come pietre. Mentre decine e decine di testi hanno fatto passerella
davanti alla mezza dozzina e passa di toghe che si sono alternate al capezzale
di un processo quasi impossibile.
Del resto, é lo stesso fratello del cronista, Paolo, pediatra, a rivelare
qualche ombra nell'inchiesta, un 'buco nero' rimane ancora oggi lì a lasciare
spazio ai dubbi. "Giancarlo lascia la redazione di Castellammare - ricorda - va
in cronaca di Napoli, scrive sempre meno di Torre ma si interessa sempre più
della ricostruzione post terremoto e dei rapporti camorra-appalti. Stava
preparando un libro e i materiali, dopo la sua morte, sono spariti". Una
ricostruzione che lega perfettamente con quelle di Lamberti e Di Maio.
Altri, però, ancora oggi in procura storcono il naso. "C'era un'altra pista,
battuta soltanto in fase iniziale. E solo parzialmente. E' la pista di via
Palizzi, la casa di appuntamenti, i suoi segreti forse inconfessabili. Tanti
anni fa ne parlò esplicitamente Corrado Augias nel suo Telefono GialloŠ poi il
silenzio più totale".
Chissà se il regista Marco Risi, arrivato un paio di volte a settembre a
Napoli per completare il copione del film su Giancarlo (ispirato in parte a
"L'abusivo", il libro di Antonio Franchini, sceneggiatura dell'esperto di
misteri Andrea Purgatori, ex Corsera), riuscirà a vedere oltre i muri di gomma
che ancora circondano quella tragica morte. "Emerge - dice Risi alla Voce - un
delitto tuttora carico di misteri e interrogativi rimasti senza risposta,
nonostante i processi e le sentenze. Questa sarà la chiave del mio film su
Giancarlo".
GUARDIE E KILLER
Primavera vaticana '98. Tre morti avvolte nel mistero. Sono le nove di sera e
una suora - sulla cui identità verrà sempre mantenuto il più stretto riserbo -
entra nell'alloggio di servizio del neo comandante delle Guardie Svizzere, Alois
Estermann. Davanti ai suoi occhi una scena raccapricciante: tre corpi, in un
mare di sangue, massacrati da revolverate. Quello di Estermann, di sua moglie
Gladys Meza Romero e del vice caporale Cedric Tornay.
Ecco come ricostruisce i primi momenti dopo la scoperta Sandro Provvisionato,
scrittore e giornalista, nel suo sito Misteri d'Italia. "Tra i primi ad arrivare
sul luogo sono il portavoce del papa, Joaquin Navarro Valls, laico di origine
spagnola, membro numerario dell'Opus Dei; monsignor Giovanni Battista Re,
sostituto delle segreteria vaticana; e monsignor Pedro Lopez Quintana, assessore
per gli Affari generali della Segreteria di Stato vaticana. La scena del delitto
non viene sigillata, anzi già alla 21 e 30 sono decine le persone che si
aggirano tra i cadaveri. Elementi di prova importanti vengono rimossi o
spostati.
A differenza di altri episodi avvenuti all'interno del perimetro vaticano,
come l'attentato al Papa, nessuna richiesta di collaborazione viene inoltrata
alle autorità italiane. Delle indagini si occupa il Corpo di Vigilanza Vaticana.
Prima ancora dell'arrivo del magistrato, il Giudice Unico Gianluigi Marrone che
arriva sul posto un'ora dopo, mani ignote hanno già provveduto a perquisire non
solo l'ufficio, ma anche l'appartamento di Estermann e l'alloggio di Tornay.
Quando i corpi verranno rimossi, non sarà adottata alcuna precauzione utile alle
indagini. Anche l'autopsia sui tre cadaveri si svolgerà all'interno delle mura
vaticane".
Detto fatto, non passano nemmeno tre ore - siamo a mezzanotte - e
l'infaticabile Navarro Valls può sentenziare: "I dati finora emersi permettono
di ipotizzare un raptus di follia del vice-caporale Tornay. E' tutto molto
chiaro, non c'è spazio per altre ipotesi". Caso dunque chiuso in 180 minuti, per
Valls. Uno 007 perfetto, capace anche di estrarre dal magico cilindro la prova
delle prove: una lettera, nientemeno che una lettera d'addio, affidata qualche
ora prima (le 19 e 30, precisa Navarro) a un commilitone dal folle vice-caporale
con una lacrima e queste parole: "Se mi succede qualcosa, consegnala ai miei
genitori".
Spiega il portavoce-detective nella rapidissima conferenza stampa, che
risolve a tempi di Guinness una matassa altrimenti destinata a intrecciarsi
negli anni: la missiva - precisa - è stata consegnata al Giudice Marrone, il
quale la darà ai parenti di Tornay in arrivo a Roma. "Spetterà ai familiari del
vice caporale - aggiunge Valls - decidere se rendere noto il contenuto della
lettera oppure no". Commenta Provvisionato: "Nella fretta l'astuto portavoce
della Santa Sede non si rende conto di aver commesso un errore macroscopico.
Come si può conciliare un raptus di follia con una lettera scritta almeno un'ora
e mezza prima dello stesso raptus? Spesso la fretta è cattiva consigliera".
Intanto circola già qualche indiscrezione sull'imminente uscita del nuovo
libro-choc di Ferdinando Imposimato (autore, con Provvisionato, del volume
d'inchiesta sullo scandalo Tav). Al centro, rivelazioni sulla scomparsa di
Emanuela Orlandi, figlia di una guardia vaticana. Che secondo l'ex magistrato,
sarebbe ancora viva
Fonte: "La Voce della Campania
pubblicato su
Nuovi Mondi Media
Archivio Vaticano
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