La strumentalizzazione dei paesi islamici,
l'ignavia dell'Occidente, la distorsione di alcuni media. Dalla polemica
contro il papa, in tanti escono in modo indecoroso. Fatti che
interpellano l’intelligenza di un’umanità che sembra aver perso la
bussola.
Una pagina triste e
anche inutile della storia degli ultimi anni. Inutile (almeno secondo
logiche terrene) come la morte di suor Leonella, vittima di odio e
proteste immotivate. Perché le polemiche contro Benedetto XVI sono nate
da una distorsione del significato della sua lezione magistrale a
Regensburg. Da parte della Santa Sede c'è stata la massima
disponibilità a sottolineare il concetto: prima attraverso il direttore
della sala stampa, padre Federico Lombardi; poi con le dichiarazioni del
segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, e infine con le parole
dello stesso pontefice che all'Angelus domenicale ha chiarito in modo
definitivo la sua posizione. Un impegno anche comunicativo come dimostra
la diffusione delle dichiarazioni di Bertone in
arabo e del
testo dell'Angelus, sia in inglese che in francese. Il risentimento e le
implicazioni politiche dei fatti degli ultimi giorni,
tuttavia, rimangono come un macigno e interpellano l’intelligenza di
un’umanità che sembra aver perso la bussola.
Sono sostanzialmente due i nodi da mettere in evidenza che fanno
riferimento alle posizioni assunte da Occidente e mondo islamico, entità
che molto spesso vengono impropriamente definite come due grandi
blocchi. Dalla vicenda del papa, entrambi sono usciti con le ossa rotte,
anche se sarebbe stata preferibile una faccia rossa dalla vergogna. La
politica e la diplomazia, infatti, hanno dato il peggio di sé, insieme a
capi e capetti religiosi pronti a fomentare le masse di turno.
Sconcerta in primo luogo il ruolo dei governi dei paesi islamici che
hanno cavalcato in modo spregiudicato la polemica, confermando il
sottile intreccio tra sfera religiosa e politica, già emerso nel caso
delle vignette su Maometto. La protesta è montata secondo uno schema già
visto: le dichiarazioni del papa sono state decontestualizzate,
suscitando alcune reazioni isolate, per poi confluire nella predicazione
delle moschee nel giorno festivo del venerdì e diventare oggetto di
contesa politico-diplomatica con i passi ufficiali dei diversi governi.
Un caso creato ad hoc, in paesi non proprio democratici, dove ogni forma
di protesta è promossa o quanto meno tollerata dalle autorità. Le
manifestazioni unilaterali con tanto di striscioni stampati con cura non
sorprendono e rendono bene l’idea dei tanti fronti interni che non
aspettano altro che essere provocati. Posizione diversa è quella degli
esponenti religiosi e culturali, a cominciare dall’atteggiamento
dell’autorevole università sunnita Al-Azhar
del Cairo, che il 4 e 5 settembre ha partecipato all’incontro
interreligioso promosso ad Assisi dalla Comunità di Sant’Egidio, salvo
poi chiedere appena 10 giorni dopo la chiusura della commissione
per il dialogo con il Vaticano. E i casi sono
due: o si è in presenza di strabismo politico-religioso, oppure di
semplice malafede.
L’altra faccia della medaglia è stata l’inettitudine dei governi
occidentali. Il cristianesimo si muove senza dubbio in un’ottica
universale, ma sarebbe stupido negare il suo legame con la cultura
europea e anglosassone. Invece, gli stessi paesi che al tempo delle
vignette su Maometto scesero in campo (seppur con opinioni
diversificate), questa volta hanno preferito il silenzio. Se si
escludono le prese di posizione del cancelliere Angela Merkel e di un
portavoce dell’amministrazione americana e la timida dichiarazione del
premier italiano Romano Prodi, i capi di Stato e di governo non hanno
detto una parola, non tanto in difesa del papa, quanto per riaffermare
principi e valori universali come il rifiuto della violenza.
La politica non deve entrare nel merito di dispute teologiche, ha
pontificato il socialista Bobo Craxi: concetto condivisibile nel caso la
polemica fosse rimasta nell’ambito religioso. Eppure, viene da chiedersi
se la politica non abbia niente da dire, nel momento in cui contro il
papa si esprimono campioni di democrazia come il presidente iraniano
Ahmadinejad, da cui il mondo civile aspetta ancora delle scuse per aver
negato l’Olocausto. L’Unione Europea, in particolare, ha continuato a
fare finta di niente e ad affidarsi ai buoni uffici di persone come
Jonathan Todd, portavoce della Commissione, che alla richiesta di un
commento, si è limitato a dire che “la Commissione europea è favorevole
alla tolleranza religiosa”. Come se il papa non lo fosse. Ignavia,
ignoranza, timidezza diplomatica? Forse, ma rende meglio l’idea parlare
di persone e commenti “diversamente intelligenti”, ovvero stupidi.
Definizione utile anche per descrivere il ruolo svolto da molti media, a
cominciare dal New York Times e dal Guardian che hanno
dimostrato superficialità e approssimazione nel pretendere da Benedetto
XVI l’impossibile: ovvero la giustificazione di cose mai dette. Per
questo è sbagliata la scelta di testate come il Corriere della Sera,
che nel suo sito continua a titolare “Il papa chiede scusa ai
musulmani”, quando invece chi ha ascoltato l'Angelus sa bene che
Benedetto XVI ha semplicemente chiarito il suo pensiero, senza mai
ritrattarlo. Come spiegato dal vescovo di Terni, mons. Vincenzo Paglia,
intervenuto al programma A sua immagine, la palla passa
piuttosto al clero islamico, a quel popolo delle moschee che, nella
stessa misura in cui ha dato origine all'offensiva anticristiana, è
chiamato adesso a tornare a più miti consigli.
17/09/2006 Archivio Notizie Papa ed Islam
Archivio Vaticano
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