Sono vivamente rammaricato per avere fatto
dichiarazioni involontariamente offensive per l'Islam" - ha
detto pubblicamente il Papa. E' un atto di grande ragionevolezza
che non credo si sia mai registrato nella storia moderna del
papato. A suo modo è un gesto inaudito.
Ma intanto il discorso di Regensburg e le sue
conseguenze segnano una cesura irreversibile non solo nel
rapporto tra Islam e Chiesa cattolica ma nell'immagine pubblica
stessa del Papa in Occidente.
D'ora in avanti non ci sarà più spazio per le
retoriche del dialogo interreligioso che non entrano a fondo nel
merito delle incompatibilità tra le religioni stesse. Che senso
ha pregare insieme se il Dio invocato è tanto diverso? Se è
persino incompatibile per i diversi credenti? Nel caso di
Ratzinger è tragico che un discorso intenzionalmente dedicato al
"ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione" abbia
provocato un'eccitazione collettiva violenta di segno opposto.
E' tragico che la reazione degli islamici offesi si traduca
esattamente nella violenza che si intendeva esorcizzare. Un
circolo diabolico in nome di Dio. Ma come è stato possibile un
così grave errore di valutazione e comunicazione da parte del
Pontefice? E' stato davvero soltanto un difetto comunicativo? Un
semplice fraintendimento?
A prima vista sembrerebbe di sì. Si è detto
che il "professore" Ratzinger ha incautamente preso la mano al
"Pontefice" Ratzinger. Ma non è esattamente così. Un buon
professore infatti non fa una citazione micidiale (dell'ormai
notissimo imperatore bizantino Manuele II Paleologo, secondo cui
Maometto avrebbe portato "soltanto cose cattive e disumane come
la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede")
senza contestualizzare in modo critico la citazione stessa.
Ratzinger invece si limita a dire che si tratta di "un testo
medioevale che non esprime in nessun modo il mio pensiero
personale".
Nessuno dubita di questo, ma nell'impianto
del discorso di Regensburg le tesi di Manuele II svolgono un
ruolo decisivo. La sua affermazione "Non agire secondo ragione
(con il logos) è contrario alla natura di Dio" ritorna ben
cinque volte nel testo.
Se insistiamo su questo punto, non è per
pignoleria; ma proprio per non banalizzare il discorso
ratzingeriano, di cui a torto sono state lanciate nel circuito
mediale mondiale esclusivamente le famigerate citazioni, sopra
riportate, estrapolate dal discorso complessivo. Ebbene, questo
discorso è assai impegnativo: i suoi concetti guida sono logos,
razionalità, ragionevolezza. Questi concetti collocano e
ripensano l'identità cristiana dentro al processo di
razionalizzazione occidentale. Si tratta di una
razionalizzazione declinata in termini di "ellenizzazione del
cristianesimo". Ma come corollario sull'Islam si proietta
l'ombra dell'irrazionalità, della irragionevolezza. Questo è il
punto. La condanna alla "guerra santa" islamica si colloca
all'interno di un ragionamento basato sul contrasto tra il
Dio-Logos greco-cristiano è il Dio-Arbitrio dell'Islam. Tra la
razionalità occidentale e l'irrazionalismo orientale.
Questa è la vera questione storica,
filosofica e teologica che meriterebbe un dibattito ampio e
forte. Non solo tra Islam e Cristianesimo ma nella riflessione
dell'Occidente come tale. In questa prospettiva appare debole ed
elusiva la tesi difensiva vaticana che "non era nelle intenzioni
del Pontefice svolgere uno studio approfondito sulla jihad e
tanto meno offendere la sensibilità dei credenti musulmani".
Se è così, allora la condanna della violenza
religiosamente motivata, formulata come rimprovero all'Islam,
avrebbe dovuto accompagnarsi con una franca autocritica. In
alcuni momenti storici infatti il cristianesimo stesso ha
legittimato religiosamente la violenza (dalle crociate classiche
ad episodi più recenti del XX secolo, che non a caso si sono
autoqualificati come "crociate" - contro il bolscevismo spagnolo
o sovietico). So che molti occidentali, credenti e non, sono
insofferenti verso quello che considerano un antistorico
esercizio autoflagellatorio. Ma in un ampio discorso critico
sulla violenza religiosamente motivata, un cenno autocritico
sarebbe stato in sintonia con lo spirito di
razionalità/ragionevolezza che oggi si vuole promuovere.
E' vero che il Pontefice a Regensburg non
poteva affrontare uno "studio approfondito sulla jihad". Ma
doveva fare alcune precisazioni sulla impropria identificazione
della jihad con la violenza armata, sui diversi e complessi
significati che questa espressione ha nella teologia più
qualificata. In questo modo Ratzinger si sarebbe sottratto
all'accusa di non conoscere la cultura islamica e di coltivare
semplicistici pregiudizi anti-islamici.
Un motivo ricorrente di questo Papa è
l'invito accorato a non escludere Dio dalla sfera pubblica. E'
un invito che talvolta, a torto, irrita i laici. In realtà,
l'incidente di Regensburg sta a dimostrare che alla Chiesa non
basta avere accesso alla grande sfera pubblica perché sia
convincente. Al contrario, come non mai oggi la sfida del
confronto tra credenti, non credenti e diversamente credenti è
diventata imprevedibile.
Gian Enrico
Rusconi da www.lastampa.it
17/09/2006 Archivio Notizie Papa ed Islam
Archivio Vaticano
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