Mentre si smonta la polemica che ha tenuto banco
per una intera settimana, il pensiero si sposta sul futuro e sui
possibili rapporti con un Islam troppo spesso caratterizzato da “due
pesi e due misure”. Dialogo si, buonismo no.
Sarà senz’altro vero che Maometto ha portato anche qualcos’altro di
nuovo, oltre alle “cose cattive e disumane come la sua direttiva di
diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”, ma senza
dubbio l’immagine che – alla fine di una polemica durata sinceramente
troppo - si ricava dell’Islam attuale non è granché positiva. E non
tanto riguardo ai fanatici estremisti che minacciano il ritorno di
Nerone e una Roma a ferro e fuoco (di estremisti ce ne sono in ogni
famiglia, e che in oriente abbondino non è una novità di queste ore),
quanto piuttosto per la volontà di cavalcare oltremodo lo scontro
diplomatico e religioso messa in campo con fare quasi scientifico da
leader religiosi, mezzi di comunicazione e governi appartenenti al
cosiddetto Islam moderato. Non è il fatto che l’attacco fosse diretto al
papa a contare: conta invece quella arrogante forma di superbia che vuol
vedere un’offesa anche dove non necessariamente c’è, senza tenere in
minimo conto le ragioni, le spiegazioni, le puntualizzazioni espresse a
più riprese e senza avere neppure l’accortezza e la decenza di perdere
quindici-minuti-quindici di tempo per leggere in forma integrale il
testo oggetto di discussione e di protesta.
Le vignette raffiguranti papa Ratzinger che abbatte le colombe della
pace di papa Wojtyla scivolerebbero lisce come l’olio alla sensibilità
dei cristiani d’occidente, abituati a ben altro (a quel “dileggio del
sacro” al quale proprio Benedetto XVI ha dedicato ampi passaggi dei suoi
discorsi bavaresi), se non fosse per il ricordo ancora vivo delle
proteste e delle violenze che hanno accompagnato il caso delle vignette
raffiguranti Maometto. Due pesi e due misure, per cui ciò di cui ci si
lamenta ad un tempo può a ben ragione essere utilizzato a proprio
vantaggio in un secondo tempo. Per carità: a questo mondo tutto o quasi
ormai è diventato legittimo, ma certo la figura è piuttosto meschina.
In sostanza: il dialogo interreligioso sarà anche un dovere (un dovere
dei credenti in Dio, anzitutto, chiamati a testimoniare con i fatti che
la fede non porta incomprensione e guerra, ma amore e pace) ma non è un
dovere a senso unico. Si fa in due, in tre, in quattro, in dieci, non in
perfetta solitudine. In un dialogo i protagonisti sono molteplici, e i
monologhi non sono accettati; e se ci si sente in qualche modo offesi,
si può reagire con stile e spirito di pacificazione (come non è stato) o
con ardore e spirito di netta contrapposizione (come è stato). Anche
quando si ha ragione (ammesso e non concesso che stavolta l’avessero)
c’è modo e modo di reagire.
Tutto ciò rilancia però l’unico argomento davvero centrale di questa
faccenda, e cioè lo stretto legame esistente nella concezione islamica
fra politica e religione. Una connessione che anche il cristianesimo ha
vissuto nei secoli passati e che ormai ha abbandonato, in qualche modo
“costretto” dall’avvento della modernità, ma al tempo stesso come
percorso di riscoperta delle sue stesse origini, quelle del “Date a
Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. L’Islam è ben
lontano dal vivere questo passaggio epocale, che suona anzi in terribile
contrapposizione con i suoi principi religiosi, ed è questa la grande
incognita del futuro, la grande incognita del secolo che si è appena
aperto. La prudenza e la saggezza sono d’obbligo, ma poiché il processo
– fanatici a parte - è comunque ed inevitabilmente destinato a non
essere né lineare né esente da tensioni e conflitti, sarà bene evitare
buonismi inutili ed essere consapevoli del gioco che si sta giocando.
Offrendo rispetto, anche oltre i comuni standard cui siamo abituati. Ma
anche pretendendolo.
17/09/2006 Archivio Notizie Papa ed Islam
Archivio Vaticano
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