All'udienza generale del
mercoledì, svoltasi in piazza San Pietro, Benedetto XVIcontinua a
riflettere sugli apostoli e l'origine della Chiesa, attraverso la figura
di Tommaso, la cui "determinazione a seguire il maestro è davvero
esemplare"
Oggi dedichiamo la nostra attenzione a
Tommaso", la cui "determinazione a seguire il Maestro è davvero
esemplare e ci offre un prezioso insegnamento: rivela la totale
disponibilità ad aderire a Gesù, fino ad identificare la propria sorte
con quella di Lui ed a voler condividere con Lui la prova suprema della
morte". E' uno dei passaggi della catechesi di Benedetto XVI all'udienza
generale di oggi, svoltasi in piazza San Pietro. Il papa continua a
riflettere sugli apostoli e l'origine della Chiesa, attraverso la figura
di Tommaso. La sua esitazione nel credere alla resurrezione di Cristo,
ha spiegato, "conferisce anche a noi il diritto, per così dire, di
chiedere spiegazioni a Gesù. In tal modo esprimiamo la pochezza della
nostra capacità di comprendere, al tempo stesso ci poniamo
nell'atteggiamento fiducioso di chi si attende luce e forza da chi è in
grado di donarle". "Il caso dell'apostolo Tommaso - ha continuato
Benedetto XVI - è importante per noi per almeno tre motivi: primo,
perché ci conforta nelle nostre insicurezze; secondo, perché ci dimostra
che ogni dubbio può approdare a un esito luminoso oltre ogni incertezza;
e, infine, perché le parole rivolte a lui da Gesù ci ricordano il vero
senso della fede matura e ci incoraggiano a proseguire, nonostante la
difficoltà, sul nostro cammino di adesione a Lui".
Il testo integrale della catechesi
Cari fratelli e sorelle,
proseguendo i nostri incontri con i dodici Apostoli scelti direttamente
da Gesù, oggi dedichiamo la nostra attenzione a Tommaso. Sempre presente
nelle quattro liste compilate dal Nuovo Testamento, egli nei primi tre
Vangeli è collocato accanto a Matteo (cfr Mt 10,3; Mc
3,18; Lc 6,15), mentre negli Atti si trova vicino a Filippo (cfr
At 1,13). Il suo nome deriva da una radice ebraica, ta’am,
che significa "appaiato, gemello". In effetti, il Vangelo di Giovanni
più volte lo chiama con il soprannome di "Didimo" (cfr Gv 11,16;
20,24; 21,2), che in greco vuol dire appunto "gemello". Non è chiaro il
perché di questo appellativo.
Soprattutto il Quarto Vangelo ci offre alcune notizie che ritraggono
qualche lineamento significativo della sua personalità. La prima
riguarda l'esortazione, che egli fece agli altri Apostoli, quando Gesù,
in un momento critico della sua vita, decise di andare a Betania per
risuscitare Lazzaro, avvicinandosi così pericolosamente a Gerusalemme (cfr
Mc 10,32). In quell'occasione Tommaso disse ai suoi condiscepoli:
"Andiamo anche noi e moriamo con lui" (Gv 11,16). Questa sua
determinazione nel seguire il Maestro è davvero esemplare e ci offre un
prezioso insegnamento: rivela la totale disponibilità ad aderire a Gesù,
fino ad identificare la propria sorte con quella di Lui ed a voler
condividere con Lui la prova suprema della morte. In effetti, la cosa
più importante è non distaccarsi mai da Gesù. D'altronde, quando i
Vangeli usano il verbo "seguire" è per significare che dove si dirige
Lui, là deve andare anche il suo discepolo. In questo modo, la vita
cristiana si definisce come una vita con Gesù Cristo, una vita da
trascorrere insieme con Lui. San Paolo scrive qualcosa di analogo,
quando così rassicura i cristiani di Corinto: "Voi siete nel nostro
cuore, per morire insieme e insieme vivere" (2 Cor 7,3). Ciò che
si verifica tra l’Apostolo e i suoi cristiani deve, ovviamente, valere
prima di tutto per il rapporto tra i cristiani e Gesù stesso: morire
insieme, vivere insieme, stare nel suo cuore come Lui sta nel nostro.
Un secondo intervento di Tommaso è registrato nell’Ultima Cena. In
quell’occasione Gesù, predicendo la propria imminente dipartita,
annuncia di andare a preparare un posto ai discepoli perché siano
anch'essi dove si trova lui; e precisa loro: "Del luogo dove io vado,
voi conoscete la via" (Gv 14,4). E’ allora che Tommaso interviene
dicendo: "Signore, non sappiamo dove vai, e come possiamo conoscere la
via?" (Gv 14,5). In realtà, con questa uscita egli si pone ad un
livello di comprensione piuttosto basso; ma queste sue parole forniscono
a Gesù l'occasione per pronunciare la celebre definizione: "Io sono la
via, la verità e la vita" (Gv 14,6). E’ dunque primariamente a
Tommaso che viene fatta questa rivelazione, ma essa vale per tutti noi e
per tutti i tempi. Ogni volta che noi sentiamo o leggiamo queste parole,
possiamo metterci col pensiero al fianco di Tommaso ed immaginare che il
Signore parli anche con noi così come parlò con lui. Nello stesso tempo,
la sua domanda conferisce anche a noi il diritto, per così dire, di
chiedere spiegazioni a Gesù. Noi spesso non lo comprendiamo. Abbiamo il
coraggio di dire: non ti comprendo, Signore, ascoltami, aiutami a
capire. In tal modo, con questa franchezza che è il vero modo di
pregare, di parlare con Gesù, esprimiamo la pochezza della nostra
capacità di comprendere, al tempo stesso ci poniamo nell’atteggiamento
fiducioso di chi si attende luce e forza da chi è in grado di donarle.
Notissima, poi, e persino proverbiale è la scena di Tommaso incredulo,
avvenuta otto giorni dopo la Pasqua. In un primo tempo, egli non aveva
creduto a Gesù apparso in sua assenza, e aveva detto: "Se non vedo nelle
sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e
non metto la mia mano nel suo costato, non crederò!" (Gv 20,25).
In fondo, da queste parole emerge la convinzione che Gesù sia ormai
riconoscibile non tanto dal viso quanto dalle piaghe. Tommaso ritiene
che segni qualificanti dell’identità di Gesù siano ora soprattutto le
piaghe, nelle quali si rivela fino a che punto Egli ci ha amati. In
questo l’Apostolo non si sbaglia. Come sappiamo, otto giorni dopo Gesù
ricompare in mezzo ai suoi discepoli, e questa volta Tommaso è presente.
E Gesù lo interpella: "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani;
stendi la mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma
credente" (Gv 20,27). Tommaso reagisce con la più splendida
professione di fede di tutto il Nuovo Testamento: "Mio Signore e mio
Dio!" (Gv 20,28). A questo proposito commenta Sant’Agostino:
Tommaso "vedeva e toccava l’uomo, ma confessava la sua fede in Dio, che
non vedeva né toccava. Ma quanto vedeva e toccava lo induceva a credere
in ciò di cui sino ad allora aveva dubitato" (In Iohann. 121,5).
L'evangelista prosegue con un’ultima parola di Gesù a Tommaso: "Perché
mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto
crederanno" (Gv 20,29). Questa frase si può anche mettere al
presente: "Beati quelli che non vedono eppure credono". In ogni caso,
qui Gesù enuncia un principio fondamentale per i cristiani che verranno
dopo Tommaso, quindi per tutti noi. E’ interessante osservare come un
altro Tommaso, il grande teologo medioevale di Aquino, accosti a questa
formula di beatitudine quella apparentemente opposta riportata da Luca:
"Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete" (Lc 10,23). Ma l’Aquinate
commenta: "Merita molto di più chi crede senza vedere che non chi
crede vedendo" (In Johann. XX lectio VI § 2566). In
effetti, la Lettera agli Ebrei, richiamando tutta la serie degli
antichi Patriarchi biblici, che credettero in Dio senza vedere il
compimento delle sue promesse, definisce la fede come "fondamento delle
cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono" (11,1). Il caso
dell’apostolo Tommaso è importante per noi per almeno tre motivi: primo,
perché ci conforta nelle nostre insicurezze; secondo, perché ci dimostra
che ogni dubbio può approdare a un esito luminoso oltre ogni incertezza;
e, infine, perché le parole rivolte a lui da Gesù ci ricordano il vero
senso della fede matura e ci incoraggiano a proseguire, nonostante la
difficoltà, sul nostro cammino di adesione a Lui.
Un'ultima annotazione su Tommaso ci è conservata dal Quarto Vangelo, che
lo presenta come testimone del Risorto nel successivo momento della
pesca miracolosa sul Lago di Tiberiade (cfr Gv 21,2). In quell'occasione
egli è menzionato addirittura subito dopo Simon Pietro: segno evidente
della notevole importanza di cui godeva nell’ambito delle prime comunità
cristiane. In effetti, nel suo nome vennero poi scritti gli Atti
e il Vangelo di Tommaso, ambedue apocrifi ma comunque
importanti per lo studio delle origini cristiane. Ricordiamo infine che,
secondo un’antica tradizione, Tommaso evangelizzò prima la Siria e la
Persia (così riferisce già Origene, riportato da Eusebio di Cesarea,
Hist. eccl. 3,1) e poi si spinse fino all'India occidentale (cfr
Atti di Tommaso 1-2 e 17ss), da dove poi il cristianesimo raggiunse
anche l’India meridionale. In questa prospettiva missionaria terminiamo
la nostra riflessione, esprimendo l’auspicio che l’esempio di Tommaso
corrobori sempre più la nostra fede in Gesù Cristo, nostro Signore e
nostro Dio.
17/09/2006 Archivio Notizie Papa ed Islam
Archivio Vaticano
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