Da denigratore dell'Islam a benevolo alleato della
causa islamica: il papa ha cambiato opinione? Nelle parole di dialogo e
amicizia verso l'Islam spese in Turchia la stessa linea d'onda già
emersa a Regensburg. La nostra analisi...
ROMA - Un viaggio pastorale, non politico, aveva annunciato il papa
alla partenza da Roma, e le parole del primo giorno in terra turca non
tradiscono quanto promesso. Perché, beninteso, se pure di politica
strictu sensu si è parlato, e già in più d’una occasione, la prospettiva
messa in chiaro è più che mai, ed innegabilmente, quella del leader
spirituale, del capo della Chiesa di Roma. E non potrebbe che essere
così, aggiungiamo, se si assume a principio di ogni considerazione che
la visita di questi giorni si svolge in un paese che ha “risolto”
l’antica questione della separazione dei poteri Stato-religione
attraverso il fagocitamento dell’uno ai danni dell’altra, con il
risultato di un rigoroso laicismo che solo in chiaroscuro si lascia
accostare all’identità islamica di gran parte della popolazione, e che
certamente non mostra particolare cura per le minoranze cristiane
presenti sul suolo turco. Cos’è successo, allora, dalla visita in
Baviera ad oggi? Magia di un abilissimo trasformismo, che da Ratisbona
ad Ankara sa stupire con un improvviso cambio d’immagine del pontefice,
da dotto cattedratico a pastore tout court, da vituperatore
dell’Islam a benevolo alleato? O forse è possibile individuare già nella
lectio magistralis dell’occidentalissima Ratisbona le ragioni e i
connotati di un dialogo interreligioso che oggi bussa e si fa strada
alle porte d’Oriente?
Benedetto XVI parla al Presidente del Direttorato degli Affari
Religiosi, individua nella “verità del carattere sacro e della dignità
della persona” il terreno comune di dialogo delle due grandi religioni
monoteiste; riconosce il discrimine tra cose temporali e spirituali, ma
reclama per “gli uomini e donne di religione” – siano essi cristiani o
musulmani - la possibilità di offrire alla società il portato valoriale
della propria fede, attraverso una “libertà di religione, garantita
istituzionalmente ed effettivamente rispettata, sia per gli individui
come per le comunità”; sottolinea il comune anelito ai valori universali
di giustizia, libertà e pace come contributo “specifico” alla
risoluzione dei grandi problemi dell’attualità: su tutti, “il
significato e lo scopo della vita”. E’ qui che il nodo si scioglie,
proprio sull’argomento – la dignità umana, dal concepimento alla morte
naturale – sul quale sembra incombere più minacciosamente il pericolo
del trionfo di una mentalità razionalistica che tutto assoggetta, anche
l’esistenza, alla sfera del conoscibile, e dunque, del “controllabile”.
Come solo qualche mese fa dall’aula di un’antica università tedesca,
torna oggi nelle parole di Benedetto XVI la preoccupazione per un
diffuso razionalismo che concede spazi fin troppo angusti al sentimento
religioso e alla morale, e che bolla la riflessione teologica col
marchio infamante della prescientificità. Passano i mesi, cambiano gli
scenari ma, a ben guardare, i fatti si leggono come una pellicola al
negativo: allora il papa ammoniva l’Europa sulla perdita della propria
identità culturale - filosofica e confessionale ad un tempo - additando
nel recupero della riflessione teologica la via del dialogo con le altre
religioni; oggi ai musulmani dice: “siamo chiamati ad operare insieme,
così da aiutare la società ad aprirsi al trascendente, riconoscendo a
Dio Onnipotente il posto che Gli spetta”. A dispetto di quanti avevano
consacrato Ratisbona a luogo storico dell’attacco all’Islam anziché –
quale realmente è stato - del rimprovero ad un Occidente sulla via dello
snaturamento identitario, gli intenti di Benedetto XVI confermano di
muoversi lungo la direttrice chiara e netta della tesi della
ragionevolezza della fede contro i fumi del laicismo. Nuovo il nemico,
chissà che - mai dire mai – questa "crociata" non porti un nuovo
alleato...
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