Cattolici e Ortodossi: quando entra in gioco la
teologia è difficile fare previsioni, ma nessuno nasconde che il ruolo
del papa e soprattutto, la sua giurisdizione, siano il nodo principale
del confronto tra le due Chiese. Un'analisi...
Da uno dei nostri inviati a Istanbul.
Cattolici e Ortodossi, un cammino verso l’unità che rischia di
incagliarsi sul primato petrino? Quando entra in gioco la teologia è
difficile fare previsioni, ma nessuno nasconde che il ruolo del papa e
soprattutto, la sua giurisdizione, siano forse il nodo principale del
confronto tra le due Chiese. E non è un caso che il dialogo teologico
della commissione mista riunitasi a settembre a Belgrado (dopo 6 anni di
sospensione), sia ripartito proprio da qui. Un tema difficile perché da
una parte il primato nell’ultimo millennio ha assunto una forma (per
molti secoli temporale) che prima non aveva; dall’altra, la chiesa
ortodossa ha sviluppato una pluralità (16 chiese autocefale) che sul
primato petrino registra sensibilità e opinioni diverse. Lo si è visto
già a Belgrado, come spiegato nei giorni scorsi all’agenzia Zenit, dal
vescovo Hilarion Alfeyev di Vienna e Austria, Rappresentante della
Chiesa ortodossa russa presso le Istituzioni europee. “La strada da
percorrere è lunga e tortuosa; – ha detto - sorgeranno complicazioni non
solo a causa della comprensione molto diversa del Primato tra le
tradizioni cattolica e ortodossa, ma anche per il fatto che non c’è una
comprensione unanime del Primato universale tra gli stessi ortodossi”.
Per Hilarion Alfeyev, il problema è legato alla giurisdizione universale
del papa, dimensione non riconosciuta e nemmeno messa in pratica dagli
ortodossi, come dimostra il caso del patriarca ecumenico di
Costantinopoli, una sorta di “primus inter pares”, senza alcun potere
sulle altre Chiese. Un primato di natura onorifica rispetto a quello del
pontefice che, invece, si differenzia già nei titoli di Vicario di
Cristo, Successore del Principe degli Apostoli e Sommo Pontefice della
Chiesa universale. Eppure, “secondo l’insegnamento ortodosso, Cristo non
ha alcun vicario che governi la Chiesa universale a suo nome”, spiega
Hilarion a Zenit, rimarcando anche l’equivocità di “Successore del
Principe degli Apostoli”, insegnamento criticato “da parte della
letteratura ortodossa dal periodo bizantino in poi”.
Quanto al titolo di “Sommo Pontefice della Chiesa universale”, continua
il vescovo ortodosso, “è una designazione che sottolinea la
giurisdizione universale del papa, un livello di autorità che non è
riconosciuto dalle Chiese ortodosse”, definito addirittura
“inaccettabile e scandaloso”. “Sarebbe stato meglio abbandonare questo
titolo per primo, - chiarisce Hilarion - qualora l’iniziativa fosse
stata motivata dalla ricerca di un progresso ecumenico e dal desiderio
di migliorare i rapporti cattolico-ortodossi”.
Parole chiarissime che fanno il punto sulle rispettive differenze, ben
note anche al patriarca ecumenico Bartolomeo I, che a Famiglia
Cristiana ricorda come “nella Chiesa unita il vescovo di Roma fosse
il primo”, ribadendo però che “cattolici e ortodossi oggi debbono
chiedersi cosa possono concedersi reciprocamente sul primato”. Anche
Benedetto XVI, durante l'udienza generale del 7 giugno 2006, dedicata a
Pietro, sottolineò l'esigenza di esercitare il primato "nel senso
originario voluto dal Signore", affinché potesse "essere sempre più
riconosciuto nel suo vero significato dai fratelli ancora non in piena
comunione con noi".
Una consapevolezza rimarcata anche nella dichiarazione comune,
sottoscritta dal patriarca e dal papa, testo importante che ribadisce il
sostegno incondizionato al dialogo teologico: di certo, non un episodio
estemporaneo perché in entrambe le chiese il confronto su questo punto
non si è mai fermato, neppure quando la commissione ufficiale aveva
interrotto i propri lavori.
A riguardo, rimane significativo il simposio accademico sul ministero
petrino, svoltosi a Roma nel maggio del 2003, per volere di Giovanni
Paolo II che, già nel 1995 nell’enciclica “Ut unum sint” si era detto
disposto a "trovare una forma di esercizio del primato che, pur non
rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione”, potesse
aprirsi “ad una situazione nuova". Gli atti del simposio furono poi
raccolti in un libro curato dal cardinale Walter Kasper, "Il ministero
petrino. Cattolici e ortodossi in dialogo", che fu presentato a Roma il
14 ottobre del 2004, alla presenza del metropolita di Pergamo Ioannis
Zizioulas del Patriarcato ecumenico e il prof. Hermann Joseph Pottmeyer,
docente emerito presso la Katholisch-Theologische Fakultät della
Ruhr-Universität di Bochum in Germania.
In quella occasione erano state ripercorse le giornate di lavoro del
2003, a cui avevano partecipato cinque specialisti cattolici e undici
delegati in rappresentanza di alcune Chiese ortodosse. Dal Simposio
erano emerse in primo luogo le diverse concezioni teologiche,con un
sostanziale disaccordo addirittura sul significato del passo della
Scrittura in cui Gesù chiama Pietro "la roccia" su cui edificare la
propria Chiesa. "Pietro è una figura preminente nel Nuovo Testamento, ma
non la sola", aveva detto al Simposio il rev. prof. Theodore
Stylianopoulos, docente emerito della Holy Cross Greek Orthodox School
of Theology di Brookline (Stati Uniti), dell’arcidiocesi greca ortodossa
d’America. "Nessuna singola figura apostolica gode di una dominazione
universale o autorità esclusiva nel Nuovo Testamento; - aveva spiegato -
quindi "il ‘primato’ di Pietro non è potere sopra altre figure
apostoliche, ma una leadership autorizzata nel contesto di un’autorità
apostolica condivisa nella vita comune della Chiesa". Per i cattolici,
però, il dialogo tra Gesù e Pietro indica con chiarezza il ruolo
dell’apostolo come capo della Chiesa, aspetto visto anche alla luce
della tradizione, compreso il millennio, precedente lo scisma tra Est e
Ovest.
Nessuna base comune, quindi, ma i partecipanti al Simposio indicarono
alle rispettive Chiese alcuni passi preliminari da compiere. Agli
ortodossi era rivolto l’invito a riconoscere una qualche forma di potere
ai loro patriarchi, ammettendo così anche quello del papa. Nel contempo,
la Chiesa cattolica era chiamata a riconoscere piena dignità alle Chiese
locali, senza che i vescovi siano trattati come semplici rappresentanti
del papa. In questa prospettiva, aveva spiegato Stylianopoulos, il
pontefice "non dovrebbe interferire nella Chiesa locale senza il suo
consenso".
Da parte loro, il teologo cattolico tedesco, prof. Hermann Joseph
Pottmeyer e il metropolita di Pergamo Ioannis, si erano detti d’accordo
su un profilo di pontefice con piena giurisdizione per l’Est, ma con
tratti più sfumati come primate della Chiesa universale, e quindi anche
come riferimento per le chiese di Oriente. Un’idea che aveva trovato
disponibile il cardinale Walter Kasper, compiaciuto della disponibilità
al confronto. “Essa – disse – dimostra che stiamo percorrendo insieme lo
stesso cammino, e che stiamo cercando di trovare una soluzione anche ad
una questione così complessa e spinosa come quella del Ministero petrino.
Naturalmente, siamo ben consapevoli che le nostre sole forze non bastano
e che dipendono dall’aiuto dello Spirito Dio. Riponiamo in Lui la nostra
fervida speranza. Invochiamolo affinché illumini le nostre menti con la
sua saggezza e ci indichi il cammino che conduce gli uni verso gli
altri. Rivolgiamoci a Lui affinché infonda il suo amore nei nostri cuori
e ci dia il coraggio di aprirci gli uni agli altri".
In definitiva, la materia è complessa, ma è positivo che venga almeno
affrontata. Quanto ai tempi, inutile nascondere le difficoltà. “Le
nostre Chiese sono sulla via verso l’unità, - ha detto il vescovo
Hilarion - ma bisogna essere pragmatici e riconoscere che passeranno
decenni, se non secoli, prima che l’unità venga restaurata”.
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