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23/09/2006 Piergiorgio Welby: "Caro Presidente, lasciatemi morire" (SB, www.helpconsumatori.it)

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    Pubblichiamo la lettera aperta al Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano Da Piergiorgio Welby, Co-Presidente dell'Associazione Coscioni.

    Caro Presidente,

    scrivo a Lei, e attraverso Lei mi rivolgo anche a quei cittadini che avranno la possibilità di ascoltare queste mie parole, questo mio grido, che non è di disperazione, ma carico di speranza umana e civile per questo nostro Paese. Fino a due mesi e mezzo fa la mia vita era sì segnata da difficoltà non indifferenti, ma almeno per qualche ora del giorno potevo, con l'ausilio del mio computer, scrivere, leggere, fare delle ricerche, incontrare gli amici su internet. Ora sono come sprofondato in un baratro da dove non trovo uscita.

    La giornata inizia con l'allarme del ventilatore polmonare mentre viene cambiato il filtro umidificatore e il catheter mounth, trascorre con il sottofondo della radio, tra frequenti aspirazioni delle secrezioni tracheali, monitoraggio dei parametri ossimetrici, pulizie personali, medicazioni, bevute di pulmocare. Una volta mi alzavo al più tardi alle dieci e mi mettevo a scrivere sul pc. Ora la mia patologia, la distrofia muscolare, si è talmente aggravata da non consentirmi di compiere movimenti, il mio equilibrio fisico è diventato molto precario. A mezzogiorno con l'aiuto di mia moglie e di un assistente mi alzo, ma sempre più spesso riesco a malapena a star seduto senza aprire il computer perchè sento una stanchezza mortale. Mi costringo sulla sedia per assumere almeno per un'ora una posizione differente di quella supina a letto.

    Tornato a letto, a volte, mi assopisco, ma mi risveglio spaventato, sudato e più stanco di prima. Allora faccio accendere la radio ma la ascolto distrattamente. Non riesco a concentrarmi perché penso sempre a come mettere fine a questa vita. Verso le sei faccio un altro sforzo a mettermi seduto, con l'aiuto di mia moglie Mina e mio nipote Simone. Ogni giorno vado peggio, sempre più debole e stanco. Dopo circa un'ora mi accompagnano a letto. Guardo la tv, aspettando che arrivi l'ora della compressa del Tavor per addormentarmi e non sentire più nulla e nella speranza di non svegliarmi la mattina.

    Io amo la vita, Presidente. Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l'amico che ti delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso - morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita - è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio ... è lì, squadernato davanti a medici, assistenti, parenti. Montanelli mi capirebbe. Se fossi svizzero, belga o olandese potrei sottrarmi a questo oltraggio estremo ma sono italiano e qui non c'è pietà.
    Starà pensando, Presidente, che sto invocando per me una "morte dignitosa". No, non si tratta di questo. E non parlo solo della mia, di morte.

    La morte non può essere "dignitosa"; dignitosa, ovvero decorosa, dovrebbe essere la vita, in special modo quando si va affievolendo a causa della vecchiaia o delle malattie incurabili e inguaribili. La morte è altro. Definire la morte per eutanasia "dignitosa" è un modo di negare la tragicità del morire. È un continuare a muoversi nel solco dell'occultamento o del travisamento della morte che, scacciata dalle case, nascosta da un paravento negli ospedali, negletta nella solitudine dei gerontocomi, appare essere ciò che non è. Cos'è la morte? La morte è una condizione indispensabile per la vita. Ha scritto Eschilo: "Ostico, lottare. Sfacelo m'assale, gonfia fiumana. Oceano cieco, pozzo nero di pena m'accerchia senza spiragli. Non esiste approdo".
    L'approdo esiste, ma l'eutanasia non è "morte dignitosa", ma morte opportuna, nelle parole dell'uomo di fede Jacques Pohier. Opportuno è ciò che "spinge verso il porto"; per Plutarco, la morte dei giovani è un naufragio, quella dei vecchi un approdare al porto e Leopardi la definisce il solo "luogo" dove è possibile un riposo, non lieto, ma sicuro.

    In Italia, l'eutanasia è reato, ma ciò non vuol dire che non "esista": vi sono richieste di eutanasia che non vengono accolte per il timore dei medici di essere sottoposti a giudizio penale e viceversa, possono venir praticati atti eutanasici senza il consenso informato di pazienti coscienti. Per esaudire la richiesta di eutanasia, alcuni paesi europei, Olanda, Belgio, hanno introdotto delle procedure che consentono al paziente "terminale" che ne faccia richiesta di programmare con il medico il percorso di "approdo" alla morte opportuna.

    Una legge sull'eutanasia non è più la richiesta incomprensibile di pochi eccentrici. Anche in Italia, i disegni di legge depositati nella scorsa legislatura erano già quattro o cinque. L'associazione degli anestesisti, pur con molta cautela, ha chiesto una legge più chiara; il recente pronunciamento dello scaduto (e non ancora rinnovato) Comitato Nazionale per la bioetica sulle Direttive Anticipate di Trattamento ha messo in luce l'impossibilità di escludere ogni eventualità eutanasica nel caso in cui il medico si attenga alle disposizioni anticipate redatte dai pazienti. Anche nella diga opposta dalla Chiesa si stanno aprendo alcune falle che, pur restando nell'alveo della tradizione, permettono di intervenire pesantemente con le cure palliative e di non intervenire con terapie sproporzionate che non portino benefici concreti al paziente. L'opinione pubblica è sempre più cosciente dei rischi insiti nel lasciare al medico ogni decisione sulle terapie da praticare. Molti hanno assistito un famigliare, un amico o un congiunto durante una malattia incurabile e altamente invalidante ed hanno maturato la decisione di, se fosse capitato a loro, non percorrere fino in fondo la stessa strada. Altri hanno assistito alla tragedia di una persona in stato vegetativo persistente.

    Quando affrontiamo le tematiche legate al termine della vita, non ci si trova in presenza di uno scontro tra chi è a favore della vita e chi è a favore della morte: tutti i malati vogliono guarire, non morire. Chi condivide, con amore, il percorso obbligato che la malattia impone alla persona amata, desidera la sua guarigione. I medici, resi impotenti da patologie finora inguaribili, sperano nel miracolo laico della ricerca scientifica. Tra desideri e speranze, il tempo scorre inesorabile e, con il passare del tempo, le speranze si affievoliscono e il desiderio di guarigione diventa desiderio di abbreviare un percorso di disperazione, prima che arrivi a quel termine naturale che le tecniche di rianimazione e i macchinari che supportano o simulano le funzioni vitali riescono a spostare sempre più in avanti nel tempo. Per il modo in cui le nostre possibilità tecniche ci mantengono in vita, verrà un giorno che dai centri di rianimazione usciranno schiere di morti-viventi che finiranno a vegetare per anni. Noi tutti probabilmente dobbiamo continuamente imparare che morire è anche un processo di apprendimento, e non è solo il cadere in uno stato di incoscienza.

    Sua Santità, Benedetto XVI, ha detto che "di fronte alla pretesa, che spesso affiora, di eliminare la sofferenza, ricorrendo perfino all'eutanasia, occorre ribadire la dignità inviolabile della vita umana, dal concepimento al suo termine naturale". Ma che cosa c'è di "naturale" in una sala di rianimazione? Che cosa c'è di naturale in un buco nella pancia e in una pompa che la riempie di grassi e proteine? Che cosa c'è di naturale in uno squarcio nella trachea e in una pompa che soffia l'aria nei polmoni? Che cosa c'è di naturale in un corpo tenuto biologicamente in funzione con l'ausilio di respiratori artificiali, alimentazione artificiale, idratazione artificiale, svuotamento intestinale artificiale, morte-artificialmente-rimandata? Io credo che si possa, per ragioni di fede o di potere, giocare con le parole, ma non credo che per le stesse ragioni si possa "giocare" con la vita e il dolore altrui. Quando un malato terminale decide di rinunciare agli affetti, ai ricordi, alle amicizie, alla vita e chiede di mettere fine ad una sopravvivenza crudelmente 'biologica' - io credo che questa sua volontà debba essere rispettata ed accolta con quella pietas che rappresenta la forza e la coerenza del pensiero laico.

    Sono consapevole, Signor Presidente, di averle parlato anche, attraverso il mio corpo malato, di politica, e di obiettivi necessariamente affidati al libero dibattito parlamentare e non certo a un Suo intervento o pronunciamento nel merito. Quello che però mi permetto di raccomandarle è la difesa del diritto di ciascuno e di tutti i cittadini di conoscere le proposte, le ragioni, le storie, le volontà e le vite che, come la mia, sono investite da questo confronto. Il sogno di Luca Coscioni era quello di liberare la ricerca e dar voce, in tutti i sensi, ai malati. Il suo sogno è stato interrotto e solo dopo che è stato interrotto è stato conosciuto. Ora siamo noi a dover sognare anche per lui.

    Il mio sogno, anche come co-Presidente dell'Associazione che porta il nome di Luca, la mia volontà, la mia richiesta, che voglio porre in ogni sede, a partire da quelle politiche e giudiziarie è oggi nella mia mente più chiaro e preciso che mai: poter ottenere l'eutanasia. Vorrei che anche ai cittadini italiani sia data la stessa opportunità che è concessa ai cittadini svizzeri, belgi, olandesi

    23/09/2006 Eutanasia, la Morte Voluta (Sara Nicoli, http://www.altrenotizie.org)

    Signor presidente, mi aiuti a morire; questo mio grido non è di disperazione, ma carico di speranza umana e civile per questo nostro Paese". Con la forza che gli resta, Piergiorgio Welby, co-Presidente dell'Associazione Luca Coscioni, malato di distrofia muscolare progressiva, ha registrato un video contenente una lettera aperta al Presidente della Repubblica. E' una supplica, non il testamento di un malato terminale che non ha più speranze e si augura solo di non svegliarsi la mattina: Welby chiede al Capo dello Stato di farsi promotore della riapertura del dibattito politico sull'eutanasia. "Perchè, signor presidente, io vorrei che anche ai cittadini italiani fosse data la stessa opportunità che è concessa ai cittadini svizzeri, belgi e olandesi; Montanelli mi capirebbe, se fossi in un altro Paese potrei sottrarmi a questo oltraggio estremo, ma sono italiano e qui non c'è pietà".

    Piergiorgio Welby non ricorda con esattezza quando si è ammalato."Ricordare come tutto sia iniziato non è facile - racconta - perché la memoria non è accumulazione, ma selezione e catalogazione. Forse fu una caduta immotivata o il bicchiere, troppo spesso sfuggito di mano etc. ma quello che nessun distrofico può scordare è il giorno in cui il medico, dopo la biopsia muscolare e l'elettromiografia, ti comunica la diagnosi: Distrofia Muscolare Progressiva. Questa è una delle patologie più crudeli; pur lasciando intatte le facoltà intellettive, costringe il malato a confrontarsi con tutti gli handicap conosciuti: da claudicante a paraplegico, da paraplegico a tetraplegico; poi arriva l'insufficienza respiratoria e la tracheotomia. Il cuore, di solito, non viene colpito e l'esito infausto, come dicono i medici, si ha per i decubiti o per una polmonite".

    Cronaca asciutta di un percorso che Welby ha però voluto spiegare a Napolitano con altre parole, quelle dei suoi sentimenti e dello stato d'animo che accompagna le sue giornate, punteggiate dai ricordi e dalle sensazioni di un tempo. "Io amo la vita, Presidente. Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso,la passeggiata notturna con un amico. Io non sono né un malinconico, né un maniaco depresso...morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita...è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio...è lì, squadernato davanti ai medici, assistenti, parenti. No, non sto invocando per me una morte dignitosa. No, non si tratta di questo. E non parlo solo della mia, di morte. La morte non può essere "dignitosa"; dignitosa, ovvero decorosa, dovrebbe essere la vita". Sgombriamo, dunque, il campo dagli eufemismi. L'eutanasia non è solo una questione di dignità. In certi casi è una morte opportuna. Per chi, come Welby, coglie la concretezza del problema sulla propria pelle, non ci si trova in presenza di uno scontro tra chi è a favore della vita e chi è a favore della morte: "Tutti i malati vogliono guarire, non morire".

    C'è infatti altro dietro alla pervicacia con cui, in Italia, si nega ad un malato terminale di porre dolcemente fine ai propri giorni senza lacerarsi l'anima assistendo inerme alla lenta - quanto talvolta dolorosa - dissoluzione di se stesso. Senza via d'uscita. E Welby chiama in causa senza sconti il primo attore di questa medioevale chiusura al confronto che rende oggi, in questo paese, impossibile un dibattito politico, laico e sereno, sul tema eutanasia: il Papa e le sue milizie parlamentari. Ma ad un malato terminale come Welby, quei muri di omertà eretti nel nome dell' inviolabilità della vita umana, dal concepimento fino al suo termine naturale, non possono che apparire per quello che realmente sono; strumentalizzazioni politiche finalizzate all'asservimento dello Stato laico a quello clericale. Infatti, nel video Welby si chiede, colpendo dritto negli occhi le ipocrisie cattoliche. "Ma che cosa c'è di naturale in una sala di rianimazione? Che cosa c'è di naturale in un buco nella pancia e in una pompa che la riempie di grassi e proteine? Che cosa c'è di naturale in uno squarcio nella trachea e in una pompa che soffia l'aria nei polmoni? Che cosa c'è di naturale in un corpo tenuto biologicamente in funzione con l'ausilio di respiratori artificiali? Quando un malato terminale decide di rinunciare agli affetti ai ricordi, alle amicizie, alla vita e chiede di mettere fine ad una sopravvivenza crudelmente biologica, io credo che questa sua volontà debba essere rispettata ed accolta con quella pietas che rappresenta la forza e la coerenza del pensiero laico". Non di quello cattolico, a quanto sembra.


    Inutile sperare che questo struggente appello a Napolitano possa trovare sponda. E' noto al Quirinale, quanto a noi, che le attuali condizioni politiche non consentono in alcun modo l'apertura di un dibattito politico ampio su un tema così forte da risultare lacerante per il tessuto connettivo del Paese più di altre questioni, come l'aborto o la procreazione assistita. La compagine cattolica, presente in modo trasversale in parlamento, ha alzato gli scudi già all'inizio della legislatura, mettendo chiaramente sul piatto di una maggioranza claudicante i propri voti in cambio del blocco di qualsivoglia discussione sulle questioni etiche, intimamente legate, in questa fase, alla revisione della legge 40: il Papa, da Oltretevere, non poteva chiedere di meglio.

    Ci toccherà, quindi, raccontare ancora di giovani, come Piergiorgio Welby, che dopo la condanna a morte di una malattia atroce, hanno sperato che la ricerca li potesse salvare. "Per anni e anni ho sperato che la ricerca scientifica trovasse un rimedio - ricorda ormai con un filo di voce - ma oggi, che le prospettive di una cura, grazie agli studi sulle cellule staminali, sia adulte che embrionali, potrebbero trasformarsi da speranza in realtà, sempre più ostacoli si frappongono sul cammino di una ricerca libera. Questa malattia non è una maledizione biblica, è una malattia genetica che può essere sconfitta grazie alla diagnosi prenatale: i villi coriali, l'amniocentesi e soprattutto la diagnosi preimpianto...". E chissà quant'altro ancora.

    In Italia ci sono oggi circa 2.000 bambini con distrofia muscolare Duchenne (i dati sono dell'Istituto Superiore di Sanità ndr). L'incidenza della distrofia miotonica, la più comune distrofia muscolare dell'adulto, è di approssimativamente 135 casi ogni milione di nascite (maschi o femmine). L'incidenza della distrofia dei cingoli è di circa 65 casi per milione di nascite e quella della distrofia facioscapolomerale è ancora inferiore. Considerando insieme tutte le principali malattie neuromuscolari ereditarie, verosimilmente ne risultano colpiti in Italia circa 30 persone ogni 100.000 abitanti, ossia oltre 17.000 persone. "Se delle dispute capziose, spesso, ideologiche - conclude Welby - dovessero ritardare la scoperta di una cura e condannare anche un solo bambino a vivere il dramma che io ho vissuto e sto vivendo...beh, pensateci! ..". Giorgio Napolitano senza dubbio, ci penserà.
    Il Papa, che non ha mai dubbi, ha altro da fare.

    25/09/2006 Il Diritto di morire (Massimo Fini, Fonte: http://gazzettino.quinordest.it, www.comedonchisciotte.org )

    La vicenda di Piergiorgio Welby, che ha scritto al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, chiedendo in pratica la "grazia" di poter morire in santa pace, è stata configurata come un caso di eutanasia. Ma in realtà ci troviamo su un terreno del tutto diverso che non coincide con la questione dell'eutanasia anche se ad essa si intreccia perchè molto spesso ne è all'origine e meglio è all'origine dell'emergere del problema eutanasia. Quello sollevato da Welby è infatti un classico caso di "accanimento terapeutico".

    Piergiorgio Welby, sessantenne, malato di distrofia muscolare, una patologia degnerativa, ha passato metà della sua esistenza senza poter camminare, un terzo senza poter parlare e negli ultimi mesi non è più in grado di far assolutamente nulla ed è tenuto in vita da un respiratorie artificiale e da un'alimentazione forzata. Ma è perfettamente lucido ed in grado di comunicare la sua volontà.

    E la sua volontà è che sia staccata la spina di questi macchinari eccezionali, che la malattia faccia il suo corso e lo porti alla morte in modo naturale. Rifiutare quei macchinari è un suo diritto. È fuori discussione infatti che nessuno possa essere sottoposto a cura contro la sua volontà. Un malato di tumore, per esempio, può rifiutare la chemioterapia e anche ogni altro tipo di terapia. È significativo che se lo fa e se la fila dall'ospedale dove i medici lo vorrebbero internare la direzione sanitaria gli faccia firmare un documento in cui dichiara di assumersi la responsabilità di questo suo rifiuto proprio per sollevare i medici dalla propria, di non aver cioè sottoposto il malato a tutte le cure che ritenevano opportune (il "diritto alla cura"). Vuol dire che la decisione ultima spetta al malato, non ai medici che devono sottostare alla sua volontà. Come esiste un "diritto alla cura" esiste anche un diritto, a rifiutarla. Diritto superiore al sommo, perchè la vita non è proprietà del medico ma del malato che si affida - o non si affida - alle sue cure. E anche se si ritenesse, come i cattolici, che la vita non appartiene nè all'uno nè all'altro ma a Dio, sarebbe il medico che vuole mantenere artificialmente in vita il malato, con macchinari eccezionali a violare le leggi naturali (il diritto a una morte naturale) e quindi divine in nome di un laicisssimo e modernissimo obbiettivo dell'allungamento della vita a tutti i costi.

    Il caso di Welby è quindi semplice. Ed è del tutto arbitrario che i medici lo mantengano in vita contro la sua volontà, imponendogli cure che egli non vuole, o non vuole più, solo perchè Welby non è in grado fisicamente di ribellarsi loro. Come invece potrebbe fare senza che i medici possano opporsi colui cui è stato diagnosticato un cancro. E' un grave abuso quello dei medici perchè scippano Welby del diritto che nemmeno i cattolici possono contestare, di avere una morte secondo natura.

    La questione vera si pone quando il malato, a differenza di Welby, non è in grado di manifestare la sua volontà. Fra un malato che non può manifestare la propria volontà e quella dei medici è ovviamente questa a prevalere. Ecco perchè sarebbe quanto mai opportuna l'approvazione di quella proposta di legge presentata tempo fa dall'onorevole Luigi Manconi sul "testamento biologico".Nel testamento biologico, spiega Manconi "ciascuno di noi può dare disposizioni relative a trattamenti sanitari futuri qualora non sia in grado di intendere e di volere e può indicare un fiduciario che prenda decisioni in sua vece". E fin qui siamo sempre fuori dall'eutanasia ma nel campo dell'accanimento terapeutico, cioé del sacrosanto diritto dell'individuo a rifiutare le cure. L'eutanasia, o "diritto alla bella morte" (il termine fu coniato, pare, da Francesco Bacone) è un'altra cosa. È la pretesa del malato che il medico, o chi per lui, accorci "artificialmente" la sua vita (con un'azione, per esempio un'iniezione letale, o con un'omissione, per esempio negandogli il cibo se è ancora in grado di alimentarsi naturalmente). Siamo qui in una posizione speculare a quella dell'accanimento terapeutico. Come nell'accanimento si allunga artificialmente la vita, sottraendo l'individuo alla sua morte naturale in nome di un altrettanto moderno ed edonistico rifiuto della sofferenza e del dolore.

    E su questa possibilità oggi vietata dal codice penale perchè rientra nella fattispecie dell'«omicidio del consenziente» che dovrebbe aprirsi oggi il dibattito. Personalmente e per quanto vale la mia opinione, sono contrario. Oltretutto è evidente, come dice l'attuale presidente della Commissione Sanità del Sonato, Ignazio Martini, che se si impedisse l'accanimento terapeutico anche il problema dell'eutanasia avrebbe un minor rilievo: "Spesso si è costretti a interrogarsi sull'eutanasia perchè non si è fermato prima ciò che si configura come accanimento terapeutico".

    Del tutto inaccettabile mi pare invece un molto peloso «omicidio per pietà» senza il consenso del malato o dandolo per scontato in assenza di un "testamento biologico" e di un fiduciario autorizzato a decidere in sua vece. Perchè si aprirebbero le strade dell'abisso. Da qui infatti molto breve è il passo verso quella eutanasia "eugenetica" o economica, di hitleriana memoria, che prevede l'eliminazione degli handicappati allo scopo di migliorare la razza o la soppressione degli invalidi e dei vecchi per alleggerire la società da bocche inutili e costose.

    Massimo Fini
    Fonte: http://gazzettino.quinordest.it
    25.09.06


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