L’Ordine dei medici di Cremona archivia il
procedimento deontologico nei confronti di Mario Riccio, che eseguì le
volontà di Piergiorgio Welby. Il presidente dell’Ordine nazionale a
Korazym.org: “Condivido”. Contrarietà da parte dei medici cattolici.
ROMA –
Archiviazione. E’ finito ieri, prima ancora di iniziare, il procedimento
deontologico aperto dall’Ordine dei medici di Cremona nei confronti di
Mario Riccio, il medico che il 20 dicembre scorso staccò il respiratore
che teneva in vita Piergiorgio Welby, decretandone la morte. Una
archiviazione “per acclamazione”, raggiunta all’unanimità nella notte di
mercoledì scorso: tutti d’accordo i quindici componenti il collegio. Il
procedimento aveva preso il via lo scorso 27 dicembre, con un primo
colloquio fra il presidente dell'Ordine di Cremona, Andrea Bianchi, e
Riccio: in quel faccia a faccia Bianchi aveva potuto ascoltare la
ricostruzione fornita dall’anestesista, che per avallare le sue
decisioni aveva presentato alcuni documenti e un diario con il racconto
degli ultimi momenti di vita di Welby. La commissione si era poi riunita
il 26 gennaio scorso, e in seconda battuta il 31 gennaio: a mezzanotte
la decisione di archiviare il caso.
Il dottor Riccio è soddisfatto: “Dal punto di vista deontologico c'è
stata la conferma che i pazienti possono sospendere una terapia, anche
quelle salvavita: il medico non è cioè deontologicamente perseguibile se
permette al paziente di sospendere la terapia, come si è trattato nel
caso Welby”. Qualcosa che “non ha niente a che vedere con l'eutanasia o
con il testamento biologico”. E “contenta" si è detta anche Mina, la
moglie di Piergiorgio Welby: "Me l'aspettavo. So che i medici sono
rigorosi in quello che fanno e tra di loro: sono contenta che sia finita
così. Il dottor Riccio ha aiutato Piergiorgio ad avere una morte
serena".
Eppure, la decisione dell’Ordine di Cremona fa discutere. Anzitutto
perché essa sarà acquisita agli atti dalla procura di Roma che sta
seguendo un’indagine sul caso Welby, per verificare se è stata la dose
di sedativo iniettata a causare la morte dell’uomo. Le indagini sono
condotte senza che sia stata formulata alcuna ipotesi di reato e senza
alcun indagato: quasi un atto dovuto, anche in risposta alla denuncia
che il presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, presentò
ai carabinieri dopo la morte di Welby, ipotizzando a carico del medico
il reato di “omicidio del consenziente” (art. 579 codice penale). E
proprio fra l’ex capo dello stato e il presidente dell’ordine cremonese
Bianchi ieri c’è stato un botta e risposta, con il secondo a giudicare
“fuori luogo” le accuse dell’ex capo dello stato e quest’ultimo a
ironizzare sulle dichiarazioni del primo e sull’importanza che – secondo
Bianchi – avrebbero avuto per la decisione dell’Ordine le parole spese
dal cardinal Martini nell’ormai celebre articolo pubblicato su Il Sole
24 Ore: “Un importante aiuto alla nostra decisione” – ha infatti
dichiarato il presidente dell’Ordine dei medici di Cremona – “è arrivato
dal cardinal Martini che con lucidità ha saputo distinguere tra
eutanasia e interruzione del trattamento: parlo da laico coinvinto, ma
in me e in tutti i membri della commissione disciplinare le parole del
cardinale sono state di grande supporto, indicando anche la necessità di
arrivare al più presto ad un equilibrio e a una legge sul testamento
biologico”.
La decisione dei medici cremonesi lascia però alquanto interdetto il
presidente nazionale dell’Associazione medici cattolici italiani (Amci),
Vincenzo Saraceni: “La decisione non risolve i problemi, perchè dobbiamo
chiarire se si è trattato di eutanasia, oppure no. Dire che il
comportamento di Riccio è stato ineccepibile - spiega Saraceni -
equivale ad affermare che non è stato un gesto di eutanasia, perché il
codice la vieta in maniera esplicita. Ed è proprio questo che non ci
sentiamo di accettare”. Secondo il presidente dei medici cattolici, "il
Codice deontologico quando si è espresso a favore della possibilità che
il paziente chieda la sospensione delle cure, voleva riferirsi alle
condizioni che possono configurare un accanimento terapeutico e non
invece ai provvedimenti salvavita di lunga durata”.
Non la pensa così invece il presidente nazionale dell’Ordine dei medici,
Amedeo Bianchi, che raggiunto da Korazym.org manifesta tutto il
suo apprezzamento per l’operato dei colleghi lombardi: “Come Ordine
nazionale abbiamo sempre rispettato la loro autonomia e competenza” – ha
detto – “e ciò che riferirò al Comitato centrale è che l’azione dei
colleghi è stata estremamente attenta e responsabile”. Quali sono stati
i passaggi seguiti? “Si è cercato anzitutto di capire se ci si trovasse
di fronte ad un atto eutanasico, e la cosa è stata esclusa; in secondo
luogo se quello di Welby fosse un caso di accanimento terapeutico, e la
risposta è stata negativa. In terzo luogo, infine, se si configurasse un
caso di abbandono terapeutico. E anche in questo caso ci si è risposti
di no. A questo punto la vicenda è stata ricondotta nell’ambito del
rispetto del principio di autodeterminazione del paziente, e
conseguentemente il dottor Riccio è stato sollevato da ogni
provvedimento disciplinare”. Dunque, è stata affermata la piena liceità
deontologica. Eppure, non resta un confine labile fra principio di
autodeterminazione nelle cure e principio di indisponibilità del proprio
corpo e della propria vita? “Certamente si” – risponde il presidente
nazionale dell’Ordine dei medici – “e infatti l’urgenza è quella di
trovare una coerenza fra le disposizioni costituzionali in tema di
trattamento sanitario e autodeterminazione delle cure e le norme
dell’ordinamento penalistico e civilistico sulla indisponibilità della
propria vita”. In definitiva, dunque, condivide l’operato dei suoi
colleghi di Cremona? “Il loro non era un compito facile, hanno dovuto
ricondurre tutta la vicenda al nocciolo fondamentale, agli elementi di
liceità deontologica. E personalmente condivido in pieno la loro
risposta”.
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